Peace Research and Peace Activism

Jake Lynch

“Quando le ricerche per la pace furono lanciate come campo accademico… l’idea iniziale era che avrebbe dovuto essere una sociologia applicata con un impegno di valore: la pace con mezzi pacifici”. Così scrive Johan Galtung, in Searching for Peace, a proposito della fondazione del Peace Research Institute of Oslo (PRIO), nel 1959.

Alcuni anni dopo veniva fondata l’International Peace Research Association (IPRA), come artefatto distintivo di ciò che Katsuya Kodama chiama una nuova parte della storia umana: “dopo Hiroshima”, quando il mondo si risvegliò alla possibilità della propria totale distruzione auto-inflitta, rispetto al periodo precedente, che poteva essere considerato “prima di Hiroshima”. Perseguire la pace, come modo di scongiurare un’Armageddon nucleare, aveva fatto progressi misurabili nell’agenda accademica globale.

Il PRIO è uno dei tributari che Kodama identifica, nella History of IPRA che pubblicò per commemorare il nostro 40° anniversario, nel 2004, in quanto aderì alla fondazione della nostra Associazione. Un altro fu la Women’s International League for Peace and Freedom (WILPF, Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà), che istituì un Comitato Consultivo Internazionale sulla Ricerca per la Pace, presieduto da Elise Boulding. Una delle più importanti iniziative del WILPF in anni recenti è stato il suo progetto Reaching Critical Will (RCW, Raggiungere una Volontà Critica).

Secondo il suo sito web, RCW “ambisce all’abolizione delle armi nucleari [perché] RCW riconosce che esse giocano un ruolo integrale nel militarismo, nella distruzione ecologica, e nell’ingiustizia sociale che affliggono il nostro mondo oggi. Perciò, RCW opera non solo per l’abolizione nucleare ma anche per il disarmo totale e universale, la riduzione della spesa militare globale, e la demilitarizzazione della politica e della società”.

Così la Ricerca per la Pace, dalle sue prime iterazioni, è sempre stata esplicita sui valori: adoprarsi per qualcosa. Questo è intessuto nella storia dell’IPRA e nella sua tradizioni: tradizioni onorate e continuate alla nostra conferenza a Sydney quest’anno, con la commemorazione di Elise Boulding, che – insieme a un’altra figura fondatrice, John Burton – è morta poco prima dell’evento; la prolusione chiave fu tenuta da Johan Galtung con un contributo plenario di Dimity Hawkins, che fu una figura importante nel lancio del progetto RCW quando era al WILPF.

L’enfasi nella dichiarazione RCW sulla giustizia sociale deriva anche dalle passate iniziative IPRA. Kodama, eletto a Sydney per svolgere insieme a me la funzione di co-segretario generale, puntualizza l’origine del concetto di “pace positiva” di Johan Galtung, strutturando gli imperativi di giustizia sociale e ambientale quali elementi indispensabili per un senso olistico di pace, in un contributo di uno studioso indiano, S. Dasgupta, del Gandhian Institute of Studies (Istituto Gandhiano di Studi) di Varanasi, per il secondo incontro generale dell’Associazione nel 1967, dove sosteneva che fame e povertà dovrebbero essere considerate condizioni di “assenza di pace”.

L’IPRA è dunque a favore sia del disarmo e della smilitarizzazioneis, sia della giustizia sociale, o forse – come indicato da Galtung nella sua nota – dell’“equità”, come elementi di pace. Queste preoccupazioni si riflettono tutte nella ricca serie di commissioni e gruppi di lavoro specialistici di cui consta la nostra Associazione nella sua forma attuale. Inoltre noi, come associati IPRA, generalmente non ci limitiamo a essere astrattamente “a favore” di certe cose, sperando semplicemente che la nostra visione si realizzi. Impegnarsi nella ricerca per la pace vuol dire assumere una responsabilità di impegno che porta a intraprendere azioni per favorire la realizzazione di tali obiettivi.

Dice Galtung che al lancio della Journal of Peace Research “si è chiesto ai collaboratori di aggiungere qualche implicazione politica”. Ciò potrebbe far pensare che si dia per scontato l’accesso ai decisori politici, ma se così fosse non si terrebbe conto di un fenomeno descritto da vari colleghi sociologhi come una “crisi di rappresentanza” o “crisi di legittimità politica”. Essa è particolarmente evidente da quando, dopo la fine della guerra fredda, è avvenuta l’ascesa del neo-liberismo, un periodo durante il quale sono andati al governo in vari paesi partiti politici apparentemente di centro sinistra che hanno attuato politiche bellicose, ambientalmente distruttive e/o socialmente inique.

Per averne un esempio, non è necessario guardare oltre il nostro stesso partito Laburista australiano, che ha promesso quel che effettivamente è un impegno indefinito alla guerra in Afghanistan, e aumentato significativamente la spesa militare, nonostante l’opposizione della maggioranza dell’opinione pubblica in entrambi i casi, secondo quanto risulta dai sondaggi d’opinione..

Kodama caratterizza l’inizio di tale periodo come anni di “maturazione” per l’IPRA. Nello spazio lasciato libero dalla politica di partito sono sorti “nuovi movimenti per la pace” e ONG che “riescono a giocare ruoli definiti come forze che mettono in pratica molti risultati ottenuti dagli studi per la pace”. Tale attività è nata dalla ricerca di modi per superare il “divario di interdipendenza” fra i vari livelli della società, come lo ha definito un altro dei nostri ricercatori di punta, John Paul Lederach.

Come ha osservato il mio immediato predecessore Kevin Clements nelle sue note di segretario generale nel programma della conferenza IPRA, “la rapida espansione di un gran numero di reti non-gerarchiche sociali, economiche e politiche negli scorsi 25 anni… intende costituire una solidarietà connessa in rete attraverso i confini nazionali”; e, implicitamente, aggirando le strutture istituzionali non-reattive che frappongono barriere all’influenza delle nostre conquiste mentali sulla formazione delle politiche entro gli stati nazionali.

In ciò consiste, credo, la nostra maggiore sfida. L’impeto al progresso verso l’attuazione dei valori della ricerca per la pace proviene dai movimenti sociali che rendono non ignorabili da parte dei decisori gli imperativi della pace, della giustizia sociale e dei diritti umani. I membri di tali movimenti vi s’impegnano non perché vogliano essere neutrali e raggiungere conclusioni equilibrate, ma perché sono a favore di qualcosa e contro qualcos’altro. Essi, e le loro rappresentazioni delle tematiche al centro del proprio attivismo, sono necessariamente parziali, in entrambi i sensi del termine.

Per avere qualunque prospettiva realistica di far sì che i risultati della nostra ricerca abbiano un peso sulle azioni e motivazioni dei contendenti in un conflitto, dobbiamo impegnarci con dei movimenti sociali: proposta che dipende dalla loro disponibilità a impegnarsi con noi. In molti casi, una tale predisposizione sarà comprensibilmente preceduta dal voler sapere ‘dove stiamo’. In quanto ricercatori per la pace, abbiamo una posizione – o magari posizioni – in tal senso?

Sono emersi esempi alla conferenza stessa. Il nostro Centro ha contribuito agli sforzi qui in Australia e nella comunità internazionale per far sì che Israele renda conto delle sue seriali/ripetute/abituali infrazioni al diritto internazionale, promovendo la campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni. Abbiamo interpellato attivisti per unirsi a noi nel boicottaggio dell’Istruzione Superiore israeliana – la ricerca accademica, nostro campo specifico. I promotori della richiesta di boicottaggio la definiscono una forma gandhiana di resistenza nonviolenta globale. E citano spesso Martin Luther King: “star zitti davanti all’ oppressione non è essere neutrali ma a fianco dell’oppressore”.

Considerare una tale sfida entro le strutture dell’IPRA può portare qualche ricercatore per la pace in qualche scomoda posizione. Kodama stesso, nella sua storia dell’Associazione, rievoca un’occasione in cui la conferenza IPRA nel Sussex, Inghilterra, nel 1986, coincise con il bombardamento della Libia da parte del governo Reagan. Si fecero appelli affinché la conferenza si unisse alla dimostrazione di protesta a Londra, ma alla fine i convenuti tennero invece una speciale sessione plenaria per discuterne le implicazioni.

“La maggioranza dei membri IPRA era ben convinta”, riporta Kodama, “di non dover prendere posizione su temi politici in nome dell’IPRA… l’IPRA cerca di fornire conoscenze utili allo scopo di costruire un mondo più pacifico. Impegnandoci in tale ricerca, dovremmo avere visioni di futuri più pacifici, che speriamo la nostra conoscenza aiuti i decisori a conseguire. Ma sarebbe un grande errore che i membri IPRA impegnassero il proprio tempo ad agire come un’istanza normativa, tentando di raggiungere una posizione comune su questioni politiche”.

La ricerca per la pace, come branca accademica, non è la stessa cosa che l’attivismo per la pace. Sono sforzi contigui, non identici. Quando dimostrammo alla conferenza IPRA di quest’anno, con un appello per una maggior diffusione del giornalismo di pace al quartier generale della Australian Broadcasting Corporation, si trattò di un avvenimento mattutino ‘secondario’. Ma le agende per la ricerca per la pace hanno bisogno, secondo me, di essere formulate attorno alle seguenti questioni: come può l’attivismo sociale ovviare alla crisi di rappresentanza su pace e giustizia sociale, e di cosa c’è bisogno per aiutarlo a tale scopo, da parte dell’accademia per la pace così esplicita sui valori?


Giornalismo di pace di TRANSCEND Media Service

Titolo originale: Peace Research and Peace Activism

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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