Cibo locale. Come produrlo nella tua comunità

Cinzia Picchioni

R. Hopkins-T. Pinkerton, Cibo locale. Come produrlo nella tua comunità, Arianna Editrice, Bologna 2010, pp. 184, euro 18,00

Mangiare consapevolmente equivale a vivere liberi

È proprio così come recita il sottotitolo: come produrre cibo locale dove si vive. Il libro è zeppo di indicazioni pratiche su come fondare una cooperativa alimentare, su come organizzare eventi sul cibo locale, su come coinvolgere le scuole con progetti su misura, su come scambiare i semi, mappare il territorio e il cibo, creare un orto comunitario.

Non a caso la Prefazione riporta queste parole: «È un manuale rigoroso, che può fornire gli strumenti per evolvere verso l’autosufficienza locale e la sostenibilità dei nostri sistemi alimentari». Ma secondo me la descrizione forse più calzante si trova a p. 16: Questo è un libro per tutti coloro che vogliono riprendere il controllo di quello che mangiano, partendo – come è facile immaginare – dal discorso del cosiddetto «picco del petrolio» e dal concetto di «transizione» e «transition town» (città in transizione). Uno degli autori infatti – Rob Hopkins – ha già pubblicato, sempre con Arianna Editrice, il best-seller «Manuale pratico della Transizione»); l’altra autrice, Tamzin Pinkerton, è impegnata nel progetto della «Città di Transizione» di Totnes). Insieme, dalle pagine del libro che vi proponiamo, rispondono alla domanda «Si può costruire una comunità locale e solidale partendo dalla produzione del cibo?»: «Date una rapida occhiata alla vostra cucina e valutate quanti alimenti sono arrivati lì con l’ausilio di combustibili fossili – ad esempio, i fertilizzanti, gli erbicidi e i pesticidi, con trasporto e imballaggio compresi – e quante abilità (e materiali) siano occorse per vendere quelle tazze, e/o altri oggetti simili, intanto che l’energia a basso costo diminuisce» (p. 30).

Cominciando così si arriva presto alla definizione di «cibo locale»: il cibo locale può provenire da una distanza che va da 0 a 240 km e trovarsi all’interno della comunità, del paese, della città, ma anche della regione. E allora il cap. 16, a p. 155, spiega proprio il progetto di cibo locale, indica i vari passaggi, con i suggerimenti e le modalità di condivisione e di collegamento con altri dentro e fuori la comunità: formate un gruppo, chiedete aiuto, pianificate, rispettate gli anziani, sono alcuni dei passi consigliati, tutti spiegati anche con testimonianze di chi c’è già passato. Ma il libro è un po’ tutto così; vi si trova «vita vissuta» e non solo teoria, per quanto affascinante. Il libro riporta prevalentemente esperienze anglosassoni, ma troverete progetti realizzati in varie parti del mondo (effettivamente realizzati, con nomi, luoghi, indirizzi, anno d’inizio, sito di riferimento).

Belli anche i sette (sempre il numero magico!) princìpi per fondare progetti di alimentazione locale (tratteggiati sulla falsariga delle iniziative per la Transizione): da «pensare positivo» a «prendere decisioni giuste», passando per l’accesso a informazioni corrette (p. 26).

Non è stato facile scrivere la recensione di questo libro, perché più che altro è uno strumento da usare, e perciò ho deciso di riportare anche una specie di «autorecensione» che ho trovato a p. 21: «[…] troverete del materiale di riferimento sulla categoria, seguito dai racconti dei progetti realizzati e dalle testimonianze delle persone che li hanno portati avanti. […] I membri del progetto […] hanno offerto i loro suggerimenti per altri che volessero imbarcarsi in una simile avventura: troverete tali suggerimenti alla fine di ogni capitolo. Siti web, libri, organizzazioni e contatti rilevanti accompagnano ogni capitolo […] sotto la voce “Fonti” […] seguita dalle indicazioni per collegarvi alle altre iniziative del “Movimento generale di alimentazione locale”». È vero, è tutto vero, complimenti come sempre alla casa editrice Arianna per le utili diciotto pagine finali di note, fonti, sitografia, bibliografia e indice analitico.

Non perdetevi infine il bel contributo «“Manuale”: l’alchimia nel fare il pane» (p. 34), testimonianza poetica di una «attivista del pane» – come si definisce l’artista norvegese che l’ha scritto. www.sustainbread.org/realbread e l’iniziale citazione di Wendell Berry (subito dopo il frontespizio) che termina con questa frase: «[…] mangiare consapevolmente equivale a vivere liberi».


 

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