Stati, stati nazione e legittimità

Giuliano Martignetti

Della ricca relazione tenuta dal prof. Galtung a Torino in occasione della giornata dedicata a festeggiare il suo ottantesimo genetliaco, mi sono annotato due osservazioni particolarmente interessanti. La prima è che oggi nel campo delle relazioni internazionali il diritto di veto deve considerarsi superato. La seconda che in tutti gli stati del mondo (192) ben 176 contengono delle minoranze nazionali più o meno ampie.

C’è un nesso tra le due affermazioni? Vediamo.

Osserviamo anzitutto che ancor oggi titolari di un diritto di veto sono tutti gli stati del mondo e ciò perché si considerano tutti – e sono formalmente riconosciuti – come stati indipendenti e sovrani: è infatti attributo intrinseco alla condizione di stato sovrano, di soggetto superiorem non recognoscens, la facoltà di esercizio del diritto di veto su tutte le decisioni che lo concernono (è così che può accadere che uno staterello di poche migliaia di cittadini, come l’isola di Tuvalu, possa impedire che venga adottata una risoluzione votata da tutti gli altri stati del mondo, come accaduto a Copenaghen nello scorso mese di dicembre).

Ma su che cosa si basa il diritto di ciascuno stato del mondo alla sovranità e all’indipendenza? Sul principio di nazionalità, ovvero sull’idea che ogni popolo unito dalla comune appartanenza a una nazione, abbia il diritto di costituirsi in stato indipendente e sovrano. Oggi tutti gli stati del mondo si dichiarano nazionali e legittimati a detenere sul proprio territorio il monopolio della forza in quanto nazionali. Il professor Galtung però ci dice che 176 stati su 192 non sono stati mononazionali ma in varia misura, plurinazionali. Dunque il fondamento della loro legittimità è quanto meno dubbia e il loro diritto di apporre un veto a un negoziato lo è in proporzione.

Se a ciò si aggiunge che alla domanda “Ma la nazione che cos’è?” la politologia dà ancor oggi delle risposte incerte e confuse, si può arrivare alla conclusione che da 200 anni a questa parte – vale a dire da quando è stato soppresso come fonte di legittimità il legittimismo, l’assurda idea che i prìncipi avessero il diritto di regnare per mandato divino – il mondo si regge su un principio altrettanto assurdo: in forza di esso il mondo è diviso in stati nei quali chi governa lo fa in nome di qualcosa che nella maggioranza dei casi arbitrariamente si atteggia a tutto pur essendo parte (è ciò che i grammatici chiamano una sineddoche e le minoranze etniche una bella porcheria), un tutto che non si sa bene cosa sia.

Ce n’è abbastanza per ritenere illegittimo l’intero sistema politico e non solo il diritto di veto e di convenire con il massimo giurista contemporaneo, Hans Kelsen, che «solo temporaneamente e niente affatto per sempre l’umanità si divide in stati, formati del resto in maniera più o meno arbitraria». Si può concludere allora che si deve negare ogni lealtà e legittimità alle leggi e allo stato, come sostengono gli anarchici? No, noi riteniamo che, come ha insegnato Gandhi, ad essi si debba rispetto e (dis)obbedienza civile, e che al tempo stesso occorra lavorare per rendere quanto più possibile breve il temporaneamente teorizzato da Kelsen.


 

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