Aldilà del dualismo: riferire sui conflitti nel paesaggio mediatico post-elettorale

Jake Lynch

“Da un lato… d’altro canto…alla fin fine si saprà solo col tempo”. E’ la formula sorbitaci con il caffè mattutino a BBC World, dove presentai oltre mille bollettini TV di mezz’ora, considerata il segreto per una carriera di successo.

‘Sentire tutt’e due le campane’ è ovviamente il modo più sicuro di evitare accuse di partigianeria – ma trasforma in convenzione un modo di riferire che divide il mondo intorno a noi in diadi: questioni nazionali ed estere (‘boat people’); l’umanità contro la natura (alluvioni in Pakistan); noi e loro (‘i taliban’); sinistra contro destra.

Quest’ultimo aspetto si intreccia con un altro piatto forte giornalistico, il primato delle fonti ufficiali. Tali convenzioni sono artefatti della trasformazione storica delle notizie in una proposta di marketing nelle società consumiste. La pressione politica sulle emittenti pubbliche, offrire il giornalismo come tutto-quanto-a tutti-quanti, è un parente prossimo dell’imperativo nei media commerciali, per evitare di allontanare consumatori potenziali di tutte le opinioni politiche e di nessuna.

Se le notizie partono, diciamo, con una dichiarazione sull’economia del ministro del Tesoro, è una scelta, che però arriva già con un alibi incorporato. C’è solo un ministro del Tesoro, dopo tutto, e dal punto di vista del giornale o del programma trasmesso non è colpa nostra che sia proprio lui/lei a ricoprirne la funzione. Scegliere invece di mettere in primo piano le parole o le azioni di un sindacato, di un centro studi o di un cattedratico, esporrebbe immediatamente all’obiezione: perché proprio questo e non quello?

Tali convenzioni si combinano in un modo caratteristico – un marchio – di riferire le notizie, qui in Australia come altrove, che talvolta sa di atrofizzante ed è ora a rischio di rimanere fuori passo. I duelli al parlamento si nutrono dello schema dualistico e lo nutrono. La qualità notoriamente scarsa degli scambi verbali (‘mi ha mostrato il dito!’; ‘ha usato un termine volgare, signor Presidente!’) fa parte dello stesso paradigma. Finora c’è stata un’ovvia correlazione di obiettivi per la narrativa giornalistica del tipo l’ ha detto lui/lei: gli spettatori (come gli elettori) vengono tutti ammassati, in virtù del sistema elettorale australiano, a sostegno o dell’una o dell’altra parte.

Ma lo sono poi davvero? All’elezione federale di quest’anno, la proporzione di elettori che hanno seguito il consiglio dell’ex-leader laburista Mark Latham di esprimere un voto ‘informale’ ossia nullo è stata secondo i calcoli quasi raddoppiata, e i partiti minori si trovano improvvisamente a esercitare più influenza, con i Verdi a un inedito 13% del voto popolare e ago della bilancia al Senato.

Dovrebbe essere un’opportunità per il giornalismo australiano di attribuire maggiore importanza a quanto Pierre Bourdieu – uno dei pensatori più influenti in sociologia – chiamava la ‘doxa’: l’insieme di presupposti e credenze che restano generalmente inarticolate e (perciò) non contestate nel discorso pubblico.

Il giornalismo nei media mainstream – ‘ortodossi’ – tende a essere uno dei principali sostegni di questa situazione, in quanto le tematiche considerate sconvenienti da trattare da chi si trova in prima fila nei due schieramenti politici semplicemente scivolano via dall’agenda delle notizie.

Recentemente, però, i fili sono diventate più visibili. La perdita di militari australiani in Afghanistan tende a essere corredata di dichiarazioni solenni di ministri e delle loro ombre sulla necessità di ‘mantenere la rotta’ fino al ‘compimento della missione’. Se non altro è adesso un po’ più probabile sentire sollevare domande su che cosa consista la missione e quanto sia probabile che tale particolare aspirazione sia soddisfatta. Il che riduce il divario fra l’opinione politica e quella pubblica, che ha da tempo decretato, secondo le risultanze di vari sondaggi, la irrealtà di quella che si può definire la ‘posizione missionaria’ dei pronunciamenti ufficiali.

Lo ‘spazio doxico’ nasconde paradossi, comprese altre importanti questioni sulla sicurezza e sul posto nel mondo dell’Australia, evidenti per la loro assenza dalla ‘confezione’ del dibattito elettorale. Il paese avanza, surrettiziamente ma senza rimorsi, lungo il tavolo della lega globale degli ‘armivendoli’ via via verso i ‘primi dieci’ in classifica, pur senza avere effettivi nemici militari – a meno di contare la Cina, peraltro il nostro maggior partner commerciale e la maggior fonte dei nostri nuovi concittadini. Forse l’ultimo argomento tabù è una qualunque discussione fondamentale della nostra alleanza militare con gli Stati Uniti, dove è in corso proprio ora una lotta fra il Pentagono e un presidente in carica che cavalca un’onda di stanchezza della guerra che compromette le future operazioni di combattimento, che a loro volta nutrono il complesso militare-industriale.

C’è poi quella curiosa cospirazione del silenzio sulle diseguaglianze crescenti nella società australiana, e un partito laburista che sembra accontentarsi di esserne connivente: trasferendo fondi pubblici a scuole private e riducendo le quote d’imposta per i benestanti, mentre espone alla tirannia delle risorse le esenzioni e i vantaggi a danno dei redditi medi. Non sanno delle abbondanti risultanze documentali a dimostrazione che le società più disuguali sono luoghi meno ospitali e più ostili – certamente più propense a votare per paura e avidità che per speranza e solidarietà? Forse i giornalisti dovrebbero dirglielo.

“I media”, ha detto Michael Schudson “sono formalmente staccati da altri enti di governo reale perché devono badare alla propria legittimazione tanto quanto alla legittimazione del sistema capitalista nel suo insieme”. In parole povere, i giornali e i notiziari non possono prmettersi di apparire meno ben informati, o più creduloni, che i propri lettori o ascoltatori/spettatori.

Così, il terremoto elettorale australiano, per quanto esiguo, potrebbe essere il la per scuotere il monotono dualismo di reportage della cosa pubblica. E’ vantaggiosa la creatività per dischiudere la doxa e trovare modi di concentrarsi sulle questioni di sostanza, esemplificata dall’influente campagna Earth Hour del Sydney Morning Herald: a suo tempo un modo per inserire nell’agenda pubblica un tema di stretto interesse dei lettori – cioè, il cambiamento climatico antropogenico – che il governo del momento preferiva evitare.

Naturalmente, le opportunità per i singoli reporter, perfino per i redattori, sono circoscritte da una serie di altri fattori aldilà del proprio controllo. Considerando le possibilità di mutare il modo di riferire dei giornalisti, dobbiamo equilibrare l’ambito d’iniziativa individuale rispetto ai vincoli imposti – pratici, politici, economici – dalle strutture entro le quali operano.

La nuova congiuntura mette inoltre in primo piano la necessità di una riforma strutturale. Potremmo cominciare col provare a far funzionare bene le risorse di servizio pubblico di cui già disponiamo. In comune ad altre emittenti pubbliche altrove, l’influente Australian Broadcasting Corporation è tenuta, nelle sue Direttive Editoriali, a “presentare le principali opinioni rilevanti per questioni d’importanza”, ma ciò è sopraffatto da un insieme di “valori sulle notizie” redatti da vari manager per esimersi da obblighi sconvenienti di scrutare aldilà del Tal ministro e della sua controfigura, il Talaltro:

  • “Rilievo: status, potere della fonte d’informazione, o degli individui o istituzioni coinvolte in uno specifico avvenimento;
  • Personalizzazione: coinvolgimento di persone famose seppur in vicende per loro comuni”.

E’ un’eredità del bullismo politico che l’ABC ha sopportato sotto il precedente governo di coalizione liberal/nazionale di John Howard, in particolare, ma qualunque concezione dell’interesse pubblico dovrebbe indurci a insistere che venga rovesciato l’ordine di priorità: non può essere giusto che si limitino le principali opinioni rilevanti ai potenti e ai famosi, il che chiaramente rischia di escludere sostanziose porzioni del pubblico di elettori e spettatori.

Poi ci si potrebbe agganciare alle preoccupazioni dei manager nel settore commerciale, su come finanziare un giornalismo investigativo ad alta intensità di manodopera rispetto a bilanci ridotti e a proventi pubblicitari in calo. Se un buon giornalismo non può più essere sostenuto dai meccanismi del mercato, vale la pena sostenerlo con mezzi extra-mercato – denaro pubblico, di fondazioni, di donatori.

Ma che nessuno ci dica che non si può fare altrimenti. A Londra, la mia vecchia fiamma di Westminster, dove ho lavorato da corrispondente politico per Sky News, si sta adeguando alla nuova realtà della politica di coalizione e, a giudicare dalle impressioni, sta diventando almeno un tantino più incoraggiata a decidere per conto suo le questioni e l’agenda.

E’ un’osservazione consueta che qualunque governo britannico attraversi fasi alterne rispetto ai media: ai suoi piedi e alla gola. Finora, David Cameron, il nuovo Primo Ministro, ha goduto generalmente di buona stampa. Ma questo non ha impedito qualche coinvolgimento davvero forte in certe importanti e spinose questioni.

Così facendo, i giornalisti per i loro titoli si sono protesi aldilà della ‘cerchia incantata’ delle fonti ufficiali: uno studio di un think-tank, che mostra come il nuovo Bilancio gravi soprattutto sui poveri; un rapporto filtrato che indica che l’esercito nazionale afghano non sarà mai in grado di rilevare la sicurezza in base ai termini attuali, in patente contraddizione alla linea di Downing Street; un sondaggio d’opinione, commissionato da una università, che mostra come i britannici per lo più preferirebbero ridurre il deficit statale mediante una tassa sul patrimonio ai ricchi invece che con i tagli nei servizi pubblici. Sono state tutte storie recenti importanti, indicative di un ‘quarto stato’ in ritrovata salute.

Il giornalismo si è decentrato, nell’era della blogosfera, ed è a rischio di svalutarsi. Se redattori e giornalisti professionisti devono guadagnarsi la pagnotta, non possono permettersi di rimanere inscatolati nella doxa. Venite fuori, ragazzi e ragazze, non abbiate paura di giocare.


TRANSCEND Media Service Peace Journalism

Titolo originale: Beyond Dualism: Reporting Conflicts in the Post-Electoral Mediascape

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis

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