La casta dell’acqua. Come la privatizzazione sta assetando l’Italia

Cinzia Picchioni

Giuseppe Marino, La casta dell’acqua. Come la privatizzazione sta assetando l’Italia, Nuovi Mondi, Modena 2010, pp. 202, € 12,00

La casta dell'acquaNon facciamoci «imbottigliare»!

Il libro si intitola La casta dell’acqua e il motivo è spiegato a p. 175.

Nemmeno la TV è capillare quanto l’acqua. Chi controlla quest’ultima è presente in ogni casa d’Italia: il sogno di ogni manipolatore del consenso. Migliaia di chilometri di tubi ci collegano tutti: a valle il cittadino-utente, a monte la casta liquida, il sottobosco politico-economico che dell’acqua ha fatto la propria linfa. Noi apriamo il rubinetto e loro prosperano[…].

Qualche altro dato per cominciare a «masticare» l’argomento, comprendendo che l’acqua è un bene preziosissimo (e non solo per noi, qui nel ricco Occidente) che invece si spreca, e come:

Il 60% del prelievo idrico è destinato all’agricoltura, il 16% all’uso civile e il restante 24% al settore industriale, nel quale è compresa anche la produzione di energia elettrica (p. 11).

[…] 267 litri al giorno pro capite, ed è il più alto in Europa […]. Città come Milano, ma anche come Bari, mostrano consumi compresi tra i 500 e i 600 litri al giorno per abitante, un record nel continente.

Il libro racconta anche per filo e per segno la vicenda di Aprilia (www.acquaprilia.altervista.org), per chi vuole conoscerla, e anche lo scandalo dell’acqua rossa che esce dai rubinetti di Melendugno, nel Salento: i suoi battagllieri cittadini sono riusciti a far avviare un’inchiesta giudiziaria con risultati clamorosi, descritti nel libro, al capitolo 18 Possiamo fidarci del nostro rubinetto? (tra l’altro, l’udienza era fissata per l’11 gennaio 2010, chissà com’è andata? L’accusa è per due funzionari dell’Acquedotto pugliese: «Distribuivano acque contrattualmente dichiarate potabili ma risultate non essere tali» (p. 152).

Ma buone notizie vengono da un comune in provincia di Latina che si è fatto scolpire questo principio nello statuto:

Il comune di Bassiano riconosce l’acqua come bene comune pubblico e patrimonio dell’umanità e di tutte le specie viventi, e l’accesso all’acqua potabile come un diritto umano fondamentale degno di protezione giuridica. Essendo l’acqua un bene comune dell’umanità, la gestone delle risorse idriche non deve essere assoggettata a norme di mercato interno (p. 91).

Se è poi vero che «in Sicilia l’acqua è potere, dunque uno strumento di dominio per la mafia» (p. 107), anche al Nord non se la passano meglio, come illustrano le pagine 114-115, in cui si narra di un mal di pancia per i turisti in vacanza sul Lago di Garda nel 2009.

Io, che sono del tutto contraria all’acquisto dell’acqua in plastica e che da anni bevo l’acqua «del sindaco», ho adorato il capitolo 15, quello intitolato Il business della minerale:

[…] comprare i miliardi di bottigliette che acquistiamo annualmente nel nostro paese ha lo stesso senso di acquistare i barattoli di “aria di montagna” messi in vendita in un grande magazzino di Londra. Eppure il marketing è riuscito a convincerci che non possiamo farne a meno. E addirittura che ci conviene scegliere l’acqua “povera di sodio”, magari pagandola di più. […] Nel mondo i recipienti in PET sono apprezzati più che da noi solo negli Emirati Arabi Uniti e in Messico, paesi che non hanno certo a disposizione la quantità di acqua potabile pulita di cui gli italiani dispongono semplicemente aprendo il rubinetto.

E se leggendo le poche righe qui sopra vi è subito venuto in mente l’orrendo sapore di cloro dell’acqua che esce dal vostro rubinetto di italiani, il libro fornisce pagine utili di «istruzioni per l’uso». Un paragrafo intitolato Notizie in gocce (pp. 135-40) ci insegna come gustare l’acqua «San Rubinetto», come eliminare il sapore di cloro, cosa fare se l’acqua ha un colore rossastro, quale filtro installare ecc. Per sfatare un po’ il mito che «l’acqua di rubinetto è cattiva» sono riportati i risultati di un test di Legambiente, che nel 2007 ha fatto assaggiare una serie di campioni d’acqua a un gruppo di consumatori, chiedendo loro di riconoscere quali provenissero dalla bottiglia e quali dal rubinetto: nemmeno due su dieci hanno indovinato!

Se invece temete che il calcare contenuto nell’acqua possa far male al vostro organismo (e vi vengono in mente le agghiaccianti scene trasmesse in tv, dove una casalinga entra in cucina trovandola allagata perché la lavatrice si è rotta a causa del calcare), è bene sapere, una volta per tutte, che

[…] il calcio disciolto nell’acqua, che pure danneggia gli elettrodomestici, per il nostro organismo non è affatto un problema. Al contrario: l’associazione Altroconsumo ha […] analizzato le acque di 35 città italiane, concludendo che è sicura per la salute e ottima da bere ovunque (fa eccezione la sola Reggio Calabria) […]. Le fa eco la nutrizionista Evelina Flachi, intervistata dal Giornale: “Le acque del territorio nazionale […] vengono regolarmente controllate. E sono sicure. Ci sono livelli che per legge vanno rispettati, quindi i conumatori possono stare tranquilli. L’acqua del rubinetto può compteere con quelle in bottiglia (p. 130).

Un altro Notizie in gocce ci svela la situazione dell’acqua in bottiglia, regione per regione (la Calabria non ha fornito le notizie richieste…), con i numeri della minerale in Italia.

In Italia il fenomeno della minerale in bottiglia sia decisamente eccessivo e irragionervole: un grande business mosso da un ricorso massiccio alla pubblicità, tanto che tra i top spender pubblicitari italiani si contano ben cinque gruppi delle acque minerali. Gli ultimi dati resi pubblici sono i 45 milioni di euro investiti nel 2006 da Cogedi, la società di Rocchetta e Uliveto, […] L’acqua minerale è un bene non necessario, un bene di cui buona parte degli italiani, per lo meno in casa, potrebbe fare tranquillamente a meno: ecco perché è necessario spendere tanti soldi per convincerci del contrario (p. 120).

Infine il capitolo 20 Le nuove (incerte) regole dell’acqua, cerca di fare chiarezza sugli ultimi tempi e sulla famosa «privatizzazione» (non chiamatela così, per carità!) e poche pagine dopo la conclusione non è delle più felici e ottimiste (p. 179)

Già la responsabilità. Il sistema che abbiamo tentato di analizzare in queste pagine ne è decisamente a corto. Di chi è la colpa se la metà degli investimenti previsti non sono stati mai realizzati? E per quale motivo l’acqua di Agrigento costa quattro volte più cara di quella di Milano? L’estrema variabilità delle tariffe lungo lo Stivale rappresenta un segnale clamoroso del fallimento del sistema […].


 

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