Il trascendimento del conflitto come forza trainante nella storia

Johan Galtung

La teoria della mediazione di TRANSCEND apre cinque possibilità ai conflitti semplici e molte di più per conflitti più complessi, come esposto in A Theory of Conflict (Una teoria del conflitto, in corso di stampa presso la Transcend University Press, ndt). Ma esse sono nascoste nella storia.

Trascendere è andare oltre, in una nuova realtà che accoglie tesi opposte, come i fini degli attori. A livello banale questo comprende una veranda, trasparente, tale da assecondare sia il desiderio di una visione non ostacolata sia quello di protezione contro i rischi della natura. Due fini ragionevoli, legittimi, entrambi conseguibili con l’ingegnosità umana [i].

Viviamo in molte soluzioni del genere, materiali, sociali e mentali, ma senza l’addestramento per chiedere “di quale conflitto questa è una soluzione?” E in quanto ai fini di stati e regioni, classi e nazioni, possono i conflitti venire superati senza violenza, dal livello personale e sociale passando per l’inter-statale sino all’inter-regionale? La capacità di trascendere il conflitto è una condizione, di preferenza prima della violenza, ma anche dopo.

Prendiamo come esempio la Spagna e la guerra civile. Quando chiedo nel corso di un incontro pubblico in Spagna “chi ha vinto?”, creo un vuoto, che è una buona risposta.

La posizione fascista, fasces, guidata da Franco, era sociale e nazionale: sociale, los poderes facticos (i poteri di fatto), latifondisti, militari e chiesa avrebbero continuato a dominare e la Spagna sarebbe stata una, grande, libre, tutta di spagnoli, senza catalani, baschi, ecc.

La posizione repubblicana era anche sociale e nazionale: repubblica democratica, ma sempre più sostenuta dal comunismo della sola URSS per le armi, con un anarchismo più genuinamente spagnolo articolato in Catalogna e Andalusia. Divergenze nazionali importanti erano presenti nell’ambito di un solo stato.

L’opposizione guidata da Franco aveva un’immagine più chiara dell’obiettivo, i repubblicani avevano la legittimità. Sia la Germania nazista sia l’URSS venivano considerate più positivamente in quel tempo, meno gli USA e il Regno Unito, depressi.

I nazionalisti vinsero militarmente nel 1939 e imposero il proprio ordine, gradualmente diluito, finché Franco morì nel novembre 1975.

In quanto alla classe: quello che si ebbe fu una democrazia con una maggioranza a favore né dell’opzione fascista, né di quella anarco-comunista, bensì una generica socialdemocrazia capitalista dell’Europa occidentale, con varie accentuazioni e profili ma entro tale formula generale.

In quanto alla nazione: quello che si ebbe fu il compromesso di 17 autonomie entro uno stato unitario; come gran parte dei compromessi, non soddisfaceva gli obiettivi.

Il partito che succedette al Movimiento di Franco, il Partido Popular, è a destra sulla posizione né-né e sul compromesso, ma in qualche modo entro di essi.

Generalmente ci sono cinque risultati in un conflitto bilaterale: prevale l’uno, prevale l’altro, né l’uno né l’altro, compromesso, e sia l’uno-sia l’altro. Il risultato post-Franco fu essenzialmente né-né: aveva prevalso il vincitore militare, ma con un progetto insostenibile; né aveva prevalso l’opzione repubblicana. Quello che si ebbe dopo 40 anni fu un’imitazione del resto dell’Occidente, che distanziò la Spagna dai perdenti della seconda guerra mondiale e della guerra fredda, ma anche una dialettica interna in una Spagna isolata dall’influenza estera dal boicottaggio e dalla censura.

Il risultato fu lungi da quanto avevano in mente i contendenti, e si presta a una semplice ipotesi: i risultati imposti dai vincenti saranno generalmente inferiori agli assetti né-né, di compromesso o sia-sia. Una ragione sta nel fatto che il perdente può anche avere punti validi che non vengono considerati, come il sostegno sociale formato nella struttura della DDR, la pratica di sviluppo economico in Giappone, la campagna anti-fumo della Germania nazista. Inoltre il vincitore può trovarsi arretrato rispetto alle opzioni di una storia che si dispiega.

Si guardi la democrazia. Due classi furono aizzate l’una contro l’altra: i chierici-aristocratici e poi le tiers etat, la borghesia senza pedigree. La grande revolucion consistette in potere strutturale dall’alto contro una rivolta diretta proveniente da molto più in basso. Chi vinse? L’aritmetica, la contabilità, con un’espansione dell’elettorato estenuantemente lenta e ancora in corso.

E l’economia? Né Smith né Marx. La socialdemocrazia capitalista li assorbì entrambi; più che un compromesso, ma meno che la soluzione sia-sia pienamente trascendente trovata nella cooperazione giapponese stato-capitale e capitale-lavoro. Sia Smith che Marx concepivano la storia in termini dualistici: per Smith valori antichi e sentimenti di aiuto reciproco e solidarietà contro il mercato apertamente competitivo; per Marx modalità di produzione feudali contro quelle capitaliste contro quelle socialiste articolate in termini di aristocratici contro borghesi contro classe operaia.

Ma Smith e seguaci tralasciarono i sentimenti morali, scommettendo sul capitalismo competitivo, che condusse a un crollo economico dopo l’altro, all’anomia e all’atomia, senza alcun sia-sia in vista. E Marx pensava solo in termini di Dualismo-Manicheismo-Armageddon (DMA), dove l’Armageddon era la rivoluzione, con la rivoluzione russa a imitare quella francese fin nei particolari 128 anni più tardi. A Marx mancò il né-né (le economie verdi, locali), il compromesso (la socialdemocrazia capitalista) e il sia-sia (la modalità giapponese), scommettendo sul socialismo guidato dalla classe operaia.

Come possono passare impunite teorie bacate del genere? Perché la storiografia occidentale è dominata dalla sindrome DMA in quanto gli occidentali la riflettono nelle loro storie, e per tale motivo sono non solo deboli in storia contro-fattuale ma considerano la storia determinata dal DMA, come nel proprio modo di pensare. E, più importante, non riescono a considerare teorie più inclusive dei risultati del conflitto, come le economie verde, rosa e gialla citate, sfidando sia Smith sia Marx. E così, il Giappone e la Cina, non essendo occidentali, sono meno succubi del dualismo Smith-Marx e sviluppano le proprie formule sia-sia, ormai in procinto di conquistare il mondo, probabilmente alla fin fine anche le fortezze smithiane USA-Regno Unito (negli USA fortemente incoraggiate da Ayn Rand, come testimoniato da Greenspan).

Sicché, la storia come marcia da un vincitore all’altro a imporre la propria volontà è cattiva storiografia, essendo spesso inadeguato “chi vince si prende tutto”. Possono prevalere le altre tre modalità, e magari far progredire la storia.

Nota

[i]: Per una teoria generale delle trasformazioni trascendenti si veda, dell’autore, Transcend & Transform ( PLUTO Press, Londra 2004; Paradigma, Boulder CO 2003; in 25 lingue. Edizione italiana: Affrontare il conflitto, PLUS, Pisa 2008).


19.07.10 – Discorso fatto all’Associazione Sociologica Internazionale – Göteborg, Svezia; luglio 2010

Titolo originale: Conflict Transcendence as Driving Force in History

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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