Interventi civili di pace: la forza di pace nonviolenta in una prospettiva storica

Marco Oberosler

Durante il XX secolo c’è stato un notevole numero di interventi civili in conflitti armati. Gandhi stesso vagheggiava uno Shanti Sena (esercito di pace); suggerimento poi attuato in India da Vinoba Bhave e Jayaprakash Narayan; mentre in Occidente è divenuto una visione ricorrente che ha promosso azioni ricorrenti nell’ambito del Movimento per la Pace.

La sfida accettata negli anni 1980-90 dal Movimento per la Pace fu una grande sfida. Il Movimento si trovò ad affrontare la questione della guerra globale mediante interventi di pace diretti (attuati nei due maggiori conflitti armati degli anni 1990: Jugoslavia e Palestina/Israele). Il dibattito internazionale che ne seguì era teso a trovare i modi migliori di creare un’organizzazione mondiale che potesse efficacemente operare per la risoluzione dei conflitti armati. In tale fase l’intervento civile nonviolento fece un ambizioso passo avanti, dapprima con le Peace Brigades International e poi con la Nonviolent Peaceforce.

Quanto segue è un riassunto della mia tesi di laurea. Mi sono laureato in “Scienza per la Pace: cooperazione allo sviluppo, mediazione e trasformazione dei conflitti” all’Università di Pisa con la supervisione del professor Antonino Drago. In tale studio cerco di offrire un panorama degli interventi civili nonviolenti e una valutazione delle attività finora svolte dalla Nonviolent Peaceforce.

Siamo ancora all’inizio di studi scientifici nel campo degli interventi civili nonviolenti: la letteratura in merito non ne fornisce una definizione condivisa. Nella mia tesi, uso perlopiù i termini intervento civile di pace, intervento civile nonviolento e intervento popolare nonviolento per riferirmi a operazioni non-statuali, non-militari e non-coercitive, gestite da ONG con l’intento politico di mutare dal basso le strutture sociali che generano violenza. La tesi consta di tre capitoli.

Nel primo capitolo cerco di dare una valutazione fattuale degli interventi civili di pace fino a quando fu creata una forza civile nonviolenta su scala mondiale. Riassumo brevemente la progressione storica di interventi civili di pace su piccola e su vasta scala dagli anni 1930 alla costituzione della Nonviolent Peaceforce nel 2002. Il progetto di creare una forza civile di pace stabile allo scopo di operare in situazioni di conflitto trasse spunto dall’esperienza indiana del Shanti Sena in India. Poiché questa iniziativa fu numericamente più cospicua e di più lunga durata degli interventi nonviolenti di pace che furono fatti in seguito, riporto un quadro complessivo degli studi su di essa.

Nel secondo capitolo presento un sommario delle idee e teorie espresse nel Nonviolent Peaceforce Feasibility Study (Studio di Fattibilità della Forza Nonviolenta di Pace) [i] scritto prima che la Nonviolent Peaceforce fosse operativa sul campo. Il progetto prevedeva un numero crescente di partecipanti sino a raggiungere una dimensione di migliaia di persone, effettivamente conseguita in tale ambito solo dal Shanti Sena. Quelsto era l’obiettivo che si prefiggeva la Nonviolent Peaceforce per divenire un attore politico internazionale con un programma specifico volto a limitare le guerre e a opporvisi.

Per la carenza di studi analoghi, questo studio è particolarmente significativo in quanto costituisce il primo tentativo di ovviare a tale carenza sotto la guida di un gruppo internazionale di ricercatori e attivisti.

Nel Nonviolent Peaceforce Feasibility Study si sostiene la volontà di raggiungere una capacità professionale tale da intervenire su scala mondiale. La studio esamina azioni intraprese da ONG, enti governativi e intergovernativi già operativi in ambiti di guerra e di post-guerra, per apprenderne lezioni utili e prassi valide da riprendere nel lavoro futuro.

Dieci anni dopo la pubblicazionedi tale studio, si ha l’opportunità di valutarne i risultati conseguiti durante i primi otto anni di attività. Nella parte finale della mia tesi presento tale valutazione, inserendola nell’ambito più ampio delle politiche di pace sia statuali sia intergovernative.

Nel terzo capitolo, considerando le difficoltà di creare una metodologia di valutazione degli interventi civili di pace da un punto di vista sociale, valuto la (dis-)continuità fra Shanti Sena e Nonviolent Peaceforce, creando a tal fine alcune griglie analitiche che mi permettono di comparare sistematicamente queste due esperienze.

Propongo inoltre un’altra serie di parametri (che includono anche le Peace Brigades International) che, almeno nelle mie intenzioni, dovrebbero diventare una struttura di riferimento per lo studio dell’intervento civile di pace in generale.

Infine, cerco di riconoscere la (dis)continuità fra quattro influenti teorie sull’intervento civile di pace, specificamente proposte da Alberto L’Abate, Jean Marie Muller, Antonino Drago e Christine Schweitzer, cercando anche di valutare quanto tali modelli siano orientati nella stessa direzione.

La rassegna storica esposta nel primo capitolo sugli interventi internazionali civili di pace mostra che essi hanno avuto un retroterra prevalentemente occidentale (Europa e Nord America). Con l’eccezione del progetto di “Reinsediamento di Cipro” e poche altre collaborazioni fra lo Shanti Sena e i veterani della World Peace Brigade, sono stati pochi i partecipanti non-occidentali a queste attività.

La scelta fatta dalle ONG del Movimento per la Pace di concentrarsi su attività nonviolente al di fuori dei rispettivi paesi rende ancor più difficile il loro compito. Esse operano in contesti poco noti, in concorrenza con attori già legittimati dagli stati a intervenire in conflitti violenti, come i militari delle forze armate nazionali e intergovernative. C’è inoltre il problema del sostentamento finanziario e logistico delle azioni ovunque nel mondo.

Il primo capitolo mostra anche che il fine politico di cambiare dal basso le strutture sociali generatrici di violenza non è sempre predominante, come nel caso della Nonviolent Peaceforce. Molti interventi civili di pace hanno solo avuto un significato simbolico.

La rassegna teorica offerta dal Nonviolent Peaceforce Feasibility Study indica una chiara scelta per un approccio nonviolento pragmatico. Il personale civile è considerato funzionalmente migliore di quello militare nello svolgimento di vari compiti, come la distribuzione dell’aiuto umanitario, il monitoraggio della violenza, il disarmo, la smobilitazione e reintegrazione di ex-combattenti, ecc. Apparentemente, il fattore chiave è il possesso di un’arma da fuoco, che pone alternativamente il soldato in una posizione dominante o sottomessa nel fare il proprio lavoro.

Le precondizioni per il successo di un intervento nonviolento civile sono identificate con l’analisi delle esperienze delle squadre di operatori di pace, dei servizi civili di pace, delle organizzazioni di soccorso e sviluppo, delle missioni civili governative su larga scala e degli interventi a base militare condotti dall’ONU. Vengono trattate anche altre tematiche, come le relazioni sul campo del personale, fra questo e le organizzazioni invianti e infine fra le varie organizzazioni presenti sul campo. L’analisi tratta anche del reclutamento e addestramento del personale.

Il confronto fra lo Shanti Sena e la Nonviolent Peaceforce mostra la sostanziale differenza fra le basi ideologiche delle rispettive organizzazioni. Shanti Sena è separato, se non in opposizione, rispetto alle strutture istituzionali e si dedica a un preciso programma sociale costruttivo. La Nonviolent Peaceforce è politicamente vincolata alla prospettiva ONU e statuale e non ha ancora elaborato una strategia a sostegno del salto qualitativo per l’intervento civile di pace programmato. Finora non ha affrontato nessun conflitto armato rilevante.

Il fatto che Shanti Sena non abbia intrapreso azioni in un contesto internazionale (tranne il “Progetto di Reinsediamento di Cipro”), ma abbia piuttosto concentrato i propri sforzi entro i confini indiani (mediante il lavoro costruttivo in zone rurali e il peacemaking e attività d’interposizione durante gli scontri locali fra hindu e musulmani) rende molto difficile il confronto con la Nonviolent Peaceforce, che interviene esclusivamente a livello internazionale.

Il confronto fra le quattro teorie degli autori citati mostra che non c’è accordo sui fini politici e la forma organizzativa che l’intervento civile di pace dovrebbe assumere (per esempio, si noti che ciascun autore usa un termine diverso per definire tale intervento). Né c’è una posizione comune sulle tematiche sensibili della collaborazione con il potere militare, o sulla necessità di optare per un ruolo di terza parte nel conflitto.

Usando i parametri della griglia proposta ho cercato di valutare globalmente l’esperienza della Nonviolent Peaceforce e ne sono scaturite le seguenti considerazioni:

Obiettivi interni

– C’è stato un salto qualitativo negli obiettivi politici che il Movimento per la Pace ha deciso di conseguire (affrontare direttamente le guerre) e nella programmazione preventiva dei propri interventi (uno studio condotto a livello accademico).

– L’obiettivo finanziario (operazioni da 5 milioni di $) non è stato raggiunto.

– La dimensione di scala programmata non è stata raggiunta (benché il numero degli attivisti della Nonviolent Peaceforce sia maggiore della media degli enti intergovernativi attivi sul campo).

– Si è verificata una carenza nella scelta della migliore strategia (in quasi dieci anni d’attività la Nonviolent Peaceforce ha affrontato solo conflitti minori evitando di coinvolgersi in quello più rilevante per la politica internazionale: Israele/Palestina).

– La Nonviolent Peaceforce non è riuscita a unificare e/o dare un indirizzo comune alle organizzazioni d’intervento civile di pace a livello globale.

– La Nonviolent Peaceforce non è riuscita a mobilitare un movimento di solidarietà politica che appoggi gli interventi civili di pace nei paesi esteri facendo pressione sui governi e sull’opinione pubblica dei principali paesi occidentali.

– Il periodo d’attività delle Peace Brigades International (1982-2010) e della Nonviolent Peaceforce (2002-2010) ha creato alcune novità politiche ma non è riuscito a modificare l’attivismo politico spontaneo.

Obiettivi esterni:

– La Nonviolent Peaceforce è stata insignita dello status consultivo all’ECOSOC, il che non la differenzia granché da molte altre organizzazioni.

– La Nonviolent Peaceforce ha avuto accesso al finanziamento di molti (sette) stati, cambiamento significativo, benché non fosse tra gli obiettivi iniziali dell’organizzazione.

– Non ci sono legami con università, corsi accademici (il corso sull’intervento civile di pace all’università di Pisa sembra essere l’unico del genere).

– La Nonviolent Peaceforce non ha promosso attivamente iniziative parlamentari, limitandosi al suo iniziale carattere non-governativo.

– La Nonviolent Peaceforce ha avuto una influenza limitata su organizzazioni simili: i Volontari ONU, altre organizzazioni volontarie, il genio civile, i caschi bianchi, forze di peacekeeping e peacebuilding ONU e OCSE.

Tutto considerato, fra gli obiettivi esterni non troviamo risultati positivi rilevanti. In pratica la Nonviolent Peaceforce non ha prodotto alcun mutamento significativo in nessuno dei conflitti armati importanti a livello globale. Ma tenendo conto di quanto i tempi attuali siano difficili per il Movimento per la Pace, la Nonviolent Peaceforce ha il merito indiscutibile di rappresentare un lieve avanzamento (o, per essere più ottimisti, una lenta crescita) in un quadro politico fossilizzato. Ha anche mantenuto l’attenzione concentrata sull’intervento civile nonviolento.

Il mio interesse accademico per argomenti correlati alla pace come gli interventi di pace nonviolenti ha molto a che fare con l’impegno personale in parecchie ONG, specialmente nell’area balcanica. Dal gennaio 2006 al giugno 2007 ho lavorato come Delegato dell’Agenzia di Democrazia Locale di Prijedor, in Bosnia-Herzegovina, coordinando tutte le attività di tale istituzione e mantenendo le relazioni con partner locali e internazionali.


Note

[i] Documento scaricabile liberamente presso: http://www.nonviolentpeaceforce.org/resources/research


05.07.10

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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