Marc Augé, Il bello della bicicletta – Recensione di Sergio Albesano

Marc Augé, Il bello della bicicletta, Bollati Boringhieri, Torino 2009, pagg. 65, € 8,00.

Per Gandhi l’oggetto simbolico della sua scelta di nonviolenza e di autoproduzione era l’arcolaio; nel nostro mondo occidentale, il corrispondente dell’arcolaio gandhiano, simbolo di scelte nonviolente ed ecologiche, è la bicicletta. Frutto di una decisione di semplicità volontaria, mezzo di trasporto rispettoso dell’ambiente, oggetto nonviolento che non permette comportamenti criminali neppure colposi (la maleducazione di alcuni ciclisti che sfrecciano sui marciapiedi è niente al confronto dei novemila morti che gli incidenti stradali causano solo in Italia), elemento che introduce nella nostra vita ritmi più lenti al confronto dei tempi frenetici della produzione capitalista (ma la frenesia industriale si volge verso se stessa, perché, se tutti usano automobili per andare più veloci, le strade si intasano e alla fine viaggiano più veloci i ciclisti), mezzo per rimettere in moto il nostro corpo atrofizzato.

Ma qui non dobbiamo recensire la bicicletta, preferendola all’automobile; qui stiamo parlando di un libro. Augé, già famoso per la teoria dei non luoghi, propone un testo difficile e filosofico sulla bicicletta come strumento che ha la possibilità di cambiare il mondo. Se mancava un testo di cultura alta come manuale di riferimento per coloro che ogni mattina inforcano la bicicletta per andare al lavoro e la usano come mezzo di trasporto e non solo come strumento ludico per le passeggiate domenicali, adesso c’è.

Vale la pena di dare un saggio del suo modo di scrivere, riferendo la proposizione finale del volume: “Il solo fatto che l’uso della bicicletta offra una dimensione concreta al sogno di un mondo utopico in cui la gioia di vivere sia finalmente prioritaria per ognuno e assicuri il rispetto di tutti ci dà una ragione per sperare: ritorno all’utopia e ritorno al reale coincidono. In bicicletta, per cambiare la vita! Il ciclismo come forma di umanesimo.”

Insomma, un libro non per tutti, neanche per tutti quelli che usano la bicicletta quotidianamente, senza accorgersi di far parte di un nuovo umanesimo.

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