L’uomo con la pistola

Enrico Peyretti

In onore di Lev Tolstoj, nel centenario della morte

Contemplo il poveruomo davanti alla banca, in piedi tutto il giorno, il pistolone al fianco. L’uomo con la pistola, cioè con la morte alla cintura, diventa un accessorio della morte, pronta a servirsi di lui. L’uomo armato del potere di togliere la vita, è già senza vita. Col mettersi in grado di distruggere una vita umana, ha già distrutto la propria. L’arma non difende nulla, soltanto accresce il pericolo. Ma – si dice – il delinquente viene armato. Vediamo: chi ha cominciato? Non è forse lo stato, che è storicamente l’arma e la guerra legalizzate come istituzione? Se ogni arma diventa illegale, ci sarà certo chi se ne fornisce per minacciare, ricattare, uccidere. Ma l’arma legalizzata impedisce o accresce questi pericoli? Poniamoci davvero la domanda, prima di precipitarci nella risposta che ha dalla sua solo la forza dell’abitudine. L’estremismo illegale trova un fondamento nelle ortodossie.

«Noi abbiamo preso l’abitudine di mettere le violenze che condanniamo sul conto degli estremismi. Ma questi estremismi che noi rifiutiamo non sono possibili che grazie alle ortodossie che noi accettiamo. L’ortodossia della dottrina non è innocente dei misfatti e dei crimini ai quali quelli si abbandonano. Gli estremismi di cui noi vediamo dappertutto gli effetti distruttivi prendono dalle ortodossie gli argomenti. Certo, essi esagerano, ma precisamente ciò che essi esagerano, cioè ingrandiscono e amplificano, sono i principi dell’ortodossia. Giustificando “l’uso ragionevole della violenza”, le ortodossie giustificano già l’abuso degli estremismi.

Poiché la violenza non è ragionevole ed è in se stessa un abuso. La violenza che si crede legata pacificamente dentro l’ortodossia si risveglia da un momento all’altro, si scatena e diventa orrenda. Ma proprio l’ortodossia è il suo campo base da cui essa dirige le sue operazioni criminali. Per combattere la violenza degli estremismi bisogna arrivare a braccarla e stanarla nei punti precisi dove essa si ripara nel seno delle ortodossie. Perciò non è possibile sconfessare, ricusare e disarmare gli estremismi senza rimettere in causa le ortodossie che forniscono loro le giustificazioni. Per spezzare la logica di violenza degli estremismi, noi dobbiamo cominciare col rompere con tutto ciò che nella nostra propria cultura, legittima e onora la violenza come la virtù dell’uomo forte».

Così scrive Jean-Marie Muller (Il principio nonviolenza, Pisa University Press 2004, sintesi dalle pp. 25-26). Cioè, l’idea antica, ma non originaria nell’umanità, che la convivenza degli umani può essere assicurata solo da un controllo violento (il governo del più forte, la forza pubblica, il monopolio statale della violenza) quindi l’idea che solo la violenza governa davvero, ed è l’unico potere che impedisce efficacemente agli umani di distruggersi tra loro (peggio che homo homini lupus, perché i lupi non si divorano tra loro), questo è il germe infetto per cui chi vuole competere o prevalere sull’altro non si limita (e meno male, per lo più!) a destrezza e astuzia, ma arriva a sottomettere o distruggere l’altro con le armi mortali.

Se la violenza è la regina del mondo, come proclamano da una decina di millenni in qua, i troni, le bandiere, i governi, le teorie politiche, allora se sposo la regina io divento il re del mondo. Ci sono in effetti riusciti non i piccoli delinquenti ma i grandi imperatori. Ma anche gli imperatori dormono qualche ora ogni notte, e invecchiano, e il complotto di aspiranti imperatori è sempre pronto, e la paura e l’infelicità generale sempre incombono.

Allora, licenziamo quella regina e ripudiamo quella sposa maledetta, e facciamo davvero la repubblica, res-publica, la cosa e la casa di tutti. Condizione per vivere tutti è vivere con tutti. L’umanità può ritrovare questa idea. Tra cento o mille anni? Forse, se vi lavoriamo ogni giorno, adesso.

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