Il crollo di due imperi. Ma come?

Johan Galtung

Nessuno si aspetterebbe che l’impero USA e l’impero regionale Israele cadano in modo indolore, scegliendo delle alternative. Le alternative, più modeste, egualitarie, più adatte al XXI secolo sono ovvie: una regione Nord Americana che comprenda Messico-USA-Canada, un Mexuscan per il primo impero, e una soluzione a sei stati, Israele con i cinque paesi arabi confinanti, in una Comunità del Medio Oriente, per il secondo impero. Cercando la sicurezza nel solo modo con cui la si può trovare, attraverso la pace, in particolare con i vicini, e forse una forte difesa difensiva. Ma queste alternative non sono presenti nelle loro agende.

Quello che c’è nella loro agenda va oltre le tre guerre di Obama (ereditate, è vero, ma non era obbligato ad accettarle) al terrorismo, all’Afghanistan, all’Iraq, e la guerra di Netanyahu alla flotilla (la flotta di pace, ndt). Ce ne sono altre in arrivo: uccisioni extragiudiziarie in giro per il mondo, con le “forze speciali” USA che operano in segreto in 75 paesi – tra cui Spagna, Francia, Belgio – e le esecuzioni di Israele del tipo che abbiamo visto in quell’hotel di Dubai, senza dubbio nell’intenzione di mettere in guardia gli altri e per questa ragione ben pubblicizzate. “Prevenzione generale”: funzionerà?

C’è un enorme armamento nucleare USA, 180 miliardi di dollari, come riportato nel Washington Post del 14 e del 26 maggio: “modernizzazione” del complesso delle armi nucleari nel prossimo decennio per 80 miliardi e 100 miliardi di dollari per “sistemi di lancio nucleari strategici come bombardieri, e ICBM basati a terra e sui sottomarini”. Ma non dovevano disarmare? Sì, alla vecchia maniera.

Poi ci sono tre sottomarini nucleari israeliani al largo della costa dell’Iran, forniti dalla Germania, dotati di missili nucleari.

Ben coordinato, come ci si deve aspettare da due paesi che sono nati nello stesso modo, per “mandato divino”.

George Bush senior scoprì negli anni 1990 che il miglior argomento per ottenere sostegno per la guerra contro l’Iraq a quel tempo era la possibile minaccia nucleare, non la “vena giugulare” del petrolio. Il Bush junior lo ha seguito, non furono trovate armi, né nel 1991, né nel 2003, così come non ci furono prove che l’11 settembre fosse stato realizzato dall’Afghanistan. E naturalmente non c’è un arricchimento dell’uranio per scopi militari in Iran. Le sanzioni non sono relative a ciò, ma sul cambio di regime, con “forze speciali” e colori verdi per l’opposizione iraniana (come quella arancione che fallì in Ucraina) e sostegno alle minoranze, il solito schema. Con tutta probabilità non funzionerà, ma rafforzerà il governo.

Brasile e Turchia hanno fatto un accordo con l’Iran secondo le linee proposte dall’IAEA e hanno votato contro le sanzioni. Cina e Russia hanno votato a favore, probabilmente perché essi sono ancor più contrari a una guerra. Per USA-Israele l’approccio Brasile-Turchia era pericoloso perché poteva dimostrare che l’ipotesi nucleare non era vera, e pertanto doveva essere eliminato, come quando gli USA ritirarono gli ispettori in Iraq temendo che essi avrebbero smentito le ragioni per fare la guerra.

Gli USA sono programmati dal Destino Manifesto amministrato dalla CIA+, e Israele dal Sionismo amministrato dal Mossad+. Tuttavia, ci sono due CIA, una più morbida e una più dura (+). La CIA morbida sostiene che non ci sono armi nucleari in Iran, quella dura il contrario. Il Sionismo morbido è favorevole alla coesistenza pacifica, il Sionismo duro la nega. Il loro progetto è di deprivare i palestinesi dei loro diritti, chiedendo lealtà allo stato di Israele, no alla storia della Naqba, sperando che se ne vadano in seguito a questa pressione, se non espellendoli come in Giordania, che Netanyahu considera parte della Palestina, ovvero di Israele.

La somiglianza con la repressione degli ebrei da parte della Germania nazista verrebbe respinta con rabbia sostenendo l’alta soglia sotto la quale opera Israele: nessuna camera a gas, in maniera simile a coloro che difendono la massiccia belligeranza USA sostenendo che non vengono usate armi nucleari (“solo” uranio impoverito). Le tattiche sono simili: più si delegittima un paese attraverso le sanzioni, e una nazione privandola dei diritti, più facile diventa il passo successivo: guerra-invasione-occupazione, “trasferimento” forzato, espulsione.

Questa è anche la ragione per la quale Israele teme la delegittimazione, per esempio mediante una inchiesta obiettiva sull’attacco alla flottiglia. Essi vogliono essere al comando, come la BP nelle acque profonde del Messico e la Halliburton preferiscono senza alcun dubbio guidare qualsiasi inchiesta sulla vicenda del petrolio e Goldman Sachs sulla questione dei derivati. E temono ancor più la nonviolenza che la violenza e i loro gruppi di esperti la considerano un attacco allo stato di Israele proprio come un attacco militare, e pertanto da trattare nello stesso modo. Essi vivono in una bolla di autismo.

Anche qui entra in gioco la Germania. Qualsiasi successo della nonviolenza sarebbe una pugnalata nel cuore della storia della shoah: non c’era nulla che potevamo fare; solo un massiccio intervento straniero avrebbe potuto aiutarci. Il significato della nonviolenza della Rosenstrasse nel cuore di Berlino nel pieno della guerra viene trascurato, proprio come Obama ha trascurato di parlare del ruolo della nonviolenza nel porre fine al colonialismo e alla guerra fredda nel suo discorso per il premio Nobel della pace, probabilmente il più belligerante mai fatto (e il suo disprezzo per il premio fu accentuato dall’aver donato il denaro a organizzazioni che non hanno nulla a che fare con la pace).

Siamo di fronte a tempi duri e difficili. Molta più saggezza sarebbe necessaria per navigare nelle acque tempestose che si prospettano. Finora, Turchia e Brasile hanno tracciato un percorso. Possano altri seguirlo.


14 giugno 2010, Transcend Media Service

Traduzione a cura del Centro Studi Sereno Regis


 

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