Sei amico o nemico

Sei amico o nemico?

Rita Vittori

Quando si instaura un clima di paura nel sistema sociale, è facile che si instaurino dinamiche sociali ove si ha bisogno di avere qualche “nemico” a cui attribuire la responsabilità del nostro senso di insicurezza. Quello che sta accadendo oggi nei confronti dei cittadini “stranieri”. Sei amico o nemico?

Vediamo le fasi in dettaglio.

La costruzione del “noi”

Nella prima fase all’interno di uno o di più gruppi sociali troviamo la costruzione di una precisa identità; il conflitto non nasce dall’identità in sé, ma da una “identità narcisistica”, anima del nazionalismo, tribalismo e etnicismo. Alla radice di una tale identità di gruppo c’è spesso una dinamica paziente di costruzione “artificiale”, di carattere intellettuale, funzionale a giustificare la supremazia di un gruppo su un altro.

L’elemento religioso, la lingua, la condivisione di un territorio, di costumi e tradizioni sono importanti, ma non sufficienti per costruire l’identità di un gruppo. Infatti l’ aspetto religioso è presente in alcuni conflitti (es. in Kosovo, dove gli albanesi sono musulmani e i serbi ortodossi), in altri invece non c’è (es. in Ruanda, dove hutu e tutsi sono in larga maggioranza cattolici o in Darfur, dove le comunità africane e arabe condividono la fede musulmana). Lo stesso si può dire della lingua (il serbo-croato era infatti l’idioma comune nella federazione dell’ex Jugoslavia)

Ecco quindi che laddove le differenze non sono decisive intervengono altri fattori, come una pretesa “razza” come nel caso “dell’Alleanza Araba”, che alla fine degli anni ’80 riunisce quanti, nel Darfur, affermano la supremazia della razza araba.

La “demonizzazione” dell’altro

La fase successiva è la stigmatizzazione dell’altro, a cui si accompagna la creazione dell’immagine del nemico, spesso rappresentato in termini “diabolici” (si pensi “all’Impero del male” di Reagan o alla retorica che ha accompagnato la definizione degli “Stati-canaglia”). Il primo passo diventa la “cancellazione del volto” dell’altro, per “preparare il terreno” e giustificare ogni successivo comportamento . In questa fase molti politici e i intellettuali cominciano a utilizzare stereotipi sociali e per riuscire a manipolare le percezioni e creare una situazione di continua tensione che giustifichi successivi comportamenti violenti.

Nella demonizzazione, inoltre, è fondamentale il ruolo dei media; stampa, radio e televisioni giocano infatti un ruolo decisivo per creare un sistema generale che provochi nel gruppo sospetti, paura, risentimento e voglia di vendetta.

“Noi” contro gli “altri”

All’interno di ciascun gruppo allora si forma una precisa distinzione tra “noi” e “ loro”, dove ogni aspetto negativo viene attribuito all’altro gruppo. “È da loro che provengono tutti i nostri mali. Non possiamo fidarci di loro. Quella gente non è come noi” sono frasi che si sentono spesso ripetere. Inoltre, sulla base della “percezione selettiva”, le informazioni a nostra disposizione cercando conferme dell’immagine che abbiamo rispetto all’altro gruppo (e laddove l’immagine è negativa, tenderemo a interpretare ogni azione dell’altro solo in termini negativi).

In breve, si apre la strada all’idea che gli “altri”, con la loro semplice presenza rappresentino un pericolo.

È soprattutto in questa fase che gli strumenti della propaganda tendono ad affermare la naturale superiorità del proprio gruppo e la natura inferiore degli “altri ” .

Il nemico ha precisi progetti contro di noi

La nostra percezione così comincia a formulare delle ipotesi di “ complotto” anche quando l’altra parte mostra un atteggiamento di dialogo (che viene interpretato come “subdolo” e che accresce ancora di più la paura), alimentando così nelle diverse parti comportamenti che favoriscono ulteriormente il clima di sfiducia . La dinamica delle percezioni è spesso offuscata da quella che viene definita la “patologia della memoria” ossia l’uso della leggenda e del mito per esaltare in termini positivi le glorie del proprio gruppo (“tutti onesti e coraggiosi”) e in termini negativi le relative sofferenze (“tutti martiri”).

La stessa generalizzazione riguarda gli “altri”, che acquistano un senso come appartenenti a un gruppo e non come singoli individui (es. Putin quando etichetta tutti i combattenti ceceni come “terroristi”). La logica del binomio “amico-nemico”cancella ogni individualità e finisce per prevalere un’immagine astratta di nemico. Pertanto,le posizioni si radicalizzano e ciascuno, all’interno dei due gruppi, interpreta il conflitto come inevitabilmente destinato allo scontro. Nei momenti di forte tensione le posizioni moderate svaniscono a favore di quelle estreme e non è ammessa alcuna voce contraria; anzi, chi non condivide la posizione dominante e/o propone soluzioni alternative viene considerato un anti-patriota e un traditore.

La logica del “o con noi o con loro” (“la nostra sopravvivenza è possibile solo attraverso la distruzione dell’altro”) porta le persone a doversi schierare e cominciare a sentire paura e odio nei confronti di tutti quelli che rientrano nella categoria in oggetto.

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