Lettera aperta a un Premio Nobel in guerra

redazione

Esce in Francia il 7 maggio 2010 un libro di Jean-Marie MULLER, SUPPLIQUE A UN PRIX NOBEL EN GUERRE – LETTRE OUVERTE A BARACK OBAMA, Collection Repères, 96 pages – 12 € IBSN 978-2-917088-05-0

Come può il Presidente di un paese in guerra ricevere il premio Nobel per la pace? Non c’è una profonda contraddizione nel fatto che gli Stati Uniti d’America, impegnati in molti conflitti armati, possano essere in questo modo onorati, nella persona del loro Presidente, con questa notevole onorificenza?

Il progetto del libro

In una lettera aperta, che è come una bottiglia affidata al mare, Jean-Marie Muller esorta il Presidente degli Usa alla nonviolenza nel compimento dei suoi compiti di uomo di stato, invitandolo a mettere in atto gli impegni che ha dichiarato ricevendo il Premio Nobel per la Pace.

«La violenza non è una fatalità. Essa non impone mai da sola le sue leggi. Ma, dal momento che gli uomini l’hanno scelta, diventa fatale che essi subiscano le sue leggi. Leggi che sono implacabili, inflessibili, schiaccianti, crudeli, feroci, immorali, insomma disumane».

Questo libro è un’arringa per la pace. Rispondendo punto per punto al discorso pronunciato da Obama al momento del conferimento del Premio Nobel (Oslo, dicembre 2009), l’autore lo interroga sul valore dei suoi impegni e sui vicoli ciechi in cui si pone il suo paese. Ma soprattutto mira a rilevare le contraddizioni tra i propositi di pace del premiato e gli atti di guerra degli Usa:

Si può costruire la pace per mezzo della guerra?

È accettabile la nozione di «guerra giusta»?

Combattere il terrorismo si può ridurre allo sterminare i terroristi?

La maggiore potenza del mondo si dimostra un esempio in fatto di giustizia e di pace?

Con un largo giro d’orizzonte, Muller dimostra che non solo la pratica politica attuale non permette di arrivare a una pace durevole, ma che essa chiude un po’ alla volta gli esseri in un circolo vizioso e mortifero, perché la violenza genera violenza…

Qualche sviluppo

La violenza genera violenza

«Quando gli uomini hanno creduto di dover ricorrere alla violenza per eliminare ogni tragedia dalla storia, non hanno fatto altro che aggiungere omicidio a omicidio. Allora si sono trovati di fronte all’assurdo».

Jean-Marie Muller vuole dimostrare che è assurdo pensare di poter costruire la pace con la guerra. Per lui è urgente delegittimare l’uccidere: è una premessa necessaria ad ogni alternativa nonviolenta. Egli critica il termine di «guerra giusta» proponendo l’idea che dalla natura dei mezzi impiegati dipende la natura della causa perseguita.

«Proprio nel momento stesso in cui la violenza ci appare necessaria importa che ci ricordiamo che essa non è mai giusta e che, di conseguenza, non può essere giustificata».

La nonviolenza come forma di azione

«Sempre e dappertutto ciò che fa la forza dei regimi totalitari, è l’obbedienza servile dei cittadini, e ciò che fa la forza delle democrazie è la loro disobbedienza civile. In definitiva, se nessuno ha mai pensato che un movimento nonviolento avrebbe potuto fermare l’esercito di Hitler, è ragionevole pensare che una resistenza nonviolenta avrebbe potuto fermare Hitler quando si era ancora in tempo».

L’autore si impegna, a questo punto, a dimostrare che la scelta non sta unicamente tra l’inazione (e quindi la viltà) e la violenza. Secondo lui, la nonviolenza è anch’essa un’azione, e un’azione potente…

Egli sostiene l’idea per cui bisogna studiare e sperimentare tutte le risorse della nonviolenza come forma di azione, per provarne la forza e non soltanto continuare a ripetere che ha dei limiti.

Infatti, non solo la violenza non è morale, ma inoltre non è efficace. L’obiettivo è riconciliare esigenza morale e realismo politico, dando alla morale i mezzi d’azione della nonviolenza.

Come militante della pace e della nonviolenza, l’autore ha voluto entrare in dialogo argomentando, dimostrando, esortando il Presidente del paese più potente del mondo a considerare che la violenza è il veleno che minaccia con maggiore certezza l’umanità; e tenta di convincerlo che la piccola fragile fiamma della nonviolenza, accesa recentemente da Gandhi, è una delle poche possibilità di far fronte alle terribili sfide del XXI secolo.

Un altro modo di lottare contro il terrorismo

Jean-Marie Muller affronta il tema della lotta al terrorismo da un’angolatura poco praticata: spinge il Presidente e tutti i governanti a cercare di comprenderlo invece di tentare invano di annientarlo con le armi, invece di disumanizzarlo con l’assimilare i terroristi puramente e semplicemente a dei barbari.

Egli raccomanda il dialogo e il compromesso. Del resto, non è proprio perché il dialogo è sembrato loro impossibile che i terroristi sono arrivati a quel punto? Mentre la violenza contro di esso alimenta il terrorismo e gli fornisce una ragione, o amplifica quelle già esistenti, Muller propone di privare i terroristi delle ragioni che invocano per giustificare le loro azioni.

Diventare un modello

Quale credibilità può avere la più grande potenza del mondo se essa stessa non rispetta i principi che intende fare rispettare in tutto il pianeta? Per diventare il modello che pretendono di essere, gli Usa devono:

+ riaprire il dossier sulla Corte Penale Internazionale, prima giurisdizione penale internazionale permanente, e fare ratificare finalmente dal Congresso la Convenzione di Roma. Senza questa ratifica, nessun cittadino americano, che sia funzionario o soldato, può essere chiamato davanti ad una Corte di giustizia internazionale per rispondere dei suoi atti;

+ firmare le convenzioni sulla proibizione delle mine anti-persona e delle armi a frammentazione [à sous-munition];

+ condannare le violenze di Israele, accusato di violare il diritto internazionale;

+ sostenere la resistenza iraniana;

+ mettere in pratica il disarmo nucleare, disarmo che lungo gli anni si è trasformato in semplice riduzione delle armi nucleari.

Una cultura della violenza: pena di morte e armi da fuoco

La violenza è profondamente radicata nel sistema americano. È legittimata dalla esistenza della pena di morte e della libera vendita delle armi da fuoco. Jean-Marie Muller dichiara dunque al Presidente che per rimediare in profondità al problema della violenza, è necessario affrontare questi due punti, anche se si rischia di provocare una resistenza.

La pena di morte è il segno che lo Stato istituzionalizza la violenza omicida: «Il rifiuto assoluto della pena di morte è il primo test che permette di sapere se una civiltà è fondata o no sul rispetto della vita».

Quanto alla libera vendita delle armi da fuoco, essa esalta la violenza: «È sempre lo stesso circolo vizioso: ognuno si arma pretendendo di difendersi contro gli altri e, alla fine, ognuno si ritrova minacciato dalle armi degli altri».


Originale in: http://www.ilotsderesistance.fr/ReperesSupplique

Traduzione di Enrico Peyretti per il Centro Studi Sereno Regis

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