Vittimizzazione smaccata

Jake Lynch

L’ Australia è spesso un buon posto per osservare come si svolge l’attività politica. Qui c’è una tale smaccatezza nel nesso fra causa e conseguenza, e un’alacrità con cui gli interessi settoriali sfruttano le procedure, che è sia sconvolgente, sia – in certo modo perverso – attraente al tempo stesso. I partiti politici e le lobby d’affari sembrano non sentirsi indotte alla dissimulazione: non c’è quella sensazione di dover passare attraverso molte sottigliezze per scoprire cosa stia “davvero succedendo”, come può avvenire, per dire, a Washington, Londra, Parigi, Delhi o Jakarta.

Così, una revisione di spesa per la difesa, ordinata dal governo di Canberra, si manipola con il semplice espediente di dare l’incarico delle udienze pubbliche a un trafficante d’armi e fare fungere ex-trafficanti d’armi da consulenti. Un ‘intervento’ in risposta a un’inchiesta che rivela il grado di abusi minorili nelle comunità aborigene risulta aver bisogno di un (altro) arraffamento di terreno per finanziare l’estensione di servizi pubblici decenti ad alcuni fra i più poveri cittadini australiani. Taluni han fatto notare questa settimana l’abitudine delle società minerarie di fronte agli appelli alla programmazione da parte di gente i cui villaggi sono assegnati per gli scavi, di parlare di quello che faranno quando esse vinceranno – non se (non essendo mai deluse).

Anche i media si presentano spesso come un ‘libro aperto’. L’emittente pubblica, l’ABC, ha adottato una dichiarazione di valori nei notiziari per esimersi da dover adempiere ai propri obblighi a trattazioni equilibrate, onde essere sicura di non turbare il comodo consenso politico a una spesa per la difesa in costante aumento (nonostante un’opinione pubblica scettica). James Packer e Lachlan Murdoch, rampolli delle due più rinomate famiglie d’affari australiane, vengono trattati da celebrità nonostante la loro ovvia mancanza di carisma o di risultati significativi. E recentemente gli australiani sono stati fuorviati – di nuovo – fino a credere che il proprio modo di vivere sia minacciato dall’arrivo di immigrati clandestini via mare in cerca di asilo.

Il numero complessivo di rifugiati giunto sulle nostre coste dal mare durante 20 anni è di circa 35.000; il che vuol dire che con questo tasso di arrivi ci vorrebbe quasi un secolo perché essi possano riempire lo stadio principale del paese, l’iconico Campo da Cricket di Melbourne. Inizialmente provenivano dal Vietnam, ma, come in ogni altro paese sviluppato, la diffusione geografica delle richieste d’asilo dell’Australia offre un quadro dei conflitti e delle crisi dei nostri tempi. Due dei gruppi più folti degli ultimi anni sono arrivati dall’Afghanistan e dallo Sri Lanka.

Questo è un anno di elezioni, e il governo laburista di Kevin Rudd, triste a dirsi, non mostra alcun segno di autorevolezza sul tema. Sta anzi rassettando le vele di fronte alla gelata dell’opposizione liberale che ha presentato i richiedenti asilo come una minaccia alla ‘sicurezza dei confini dell’Australia’: un’opportunità per disporre l’agenda politica a loro favore. Come altri partiti nominalmente social-democratici al mondo, i laburisti stanno scoprendo l’acqua calda dell’impossibilità di ‘triangolare’ su questioni relative all’immigrazione – invariabilmente intrecciate con la razza – perché non c’è scrupolo né limite a quanto possano essere sfruttate da un dichiarato partito di destra. Tale terreno continuerà semplicemente a slittare verso destra, diventando nel mentre sempre più disagevole.

Una recente mossa d’azzardo ministeriale è stata di dichiarare che non verranno prese in esame richieste d’asilo di provenienti dall’Afghanistan o dallo Sri Lanka per un periodi di mesi, fintanto che l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati riveda le proprie valutazioni dei due paesi. L’implicazione è che le condizioni in quei paesi stiano migliorando. Immediatamente prima di quest’annuncio, il giornale Australian di Murdoch – pioniere fra i media ‘seri’ delle notizie allarmiste sulle ‘ondate’ d’arrivi di rifugiati – pubblicava un articolo di un oscuro ‘esperto’ che asseriva che lo Sri Lanka ormai debba essere considerato sicuro, e che l’Australia perciò non ha più bisogno di accettare altri tamil in cerca d’asilo.

Noi ci siamo se non altro presi la briga di stampare una lettera di secca smentita, reperibile al seguente indirizzo:

http://www.theaustralian.com.au/news/opinion/panglossian-picture/story-fn558imw-1225851121519

Le vittime stanno venendo vittimizzate una seconda volta, e gli australiani e anzi il mondo in generale effettivamente sono sollecitati a non parlare di guerra. L’anno prossimo il governo dello Sri Lanka lancerà una gran campagna pubblicitaria tesa a riconquistare il movimento turistico, e i suoi giocatori di cricket si presenteranno qui fra pochi mesi, come se nulla fosse delle perduranti violazioni di diritti umani e – nelle fasi finali della guerra civile, un anno fa – del diritto internazionale a proposito della protezione dei civili durante la guerra.

Forse non dovremmo essere troppo duri con l’Australia. Forse questa smaccatezza è un prodotto di quella che Edward Hall chiama una cultura di “basso-contesto”, in cui ci si aspetta che atti ed esternazioni siano espliciti, logici e lineari. Che, dopo tutto, è quello che ha permesso di prosperare a generazioni di persone arrivate qui, provenienti da una miriade di culture di origini differenti: le barriere nascoste alla partecipazione sono meno numerose, e più basse, che in molti altri luoghi. Eppure, questo in qualche modo ha portato gli abitanti di una colossale isola-continente ricca in modo frastornante e popolata qua e là a temere movimenti di persone che sono, in termini generali, una goccia nell’Oceano Indiano.

E’ doppiamente importante, ora, tenere lo Sri Lanka ben al centro dell’attenzione e insistere su una pace con giustizia. Che alla fin fine deve comportare giustizia politica per i tamil, e ci dev’essere qualche sua componente che rifletta l’inaccettabilità dell’uccisione di civili, documentata in un rapporto del Dipartimento di Stato USA dell’anno scorso con non meno di 158 denunce di bombardamento e cannoneggiamento attribuibili solo al versante governativo. L’impunità incentiva la ripetizione, e non solo nello stesso luogo: ‘ha funzionato lì, perché non dovrebbe qui?’

Si colga anche possibilmente l’occasione per leggere l’eccellente articolo di Sam Thampapillai, mio collega nel Progetto Diritti Umani nello Sri Lanka presso il nostro Centro Studi su Pace e Conflitti all’Università di Sydney, sulla perdurante emergenza nei diritti umani nello Sri Lanka, reperibile all’indirizzo:

http://newmatilda.com/2010/04/16/has-life-sri-lanka-really-normalised

ESTRATTI da http://newmatilda.com

Normalizzazione?

Ancora (fonte Min. Esteri Austral.: according) oltre 90,000 civili tamil detenuti in campi a gestione militare, nonostante promessa governativa di chiusura entro gennaio 2010.

Altri (further) 11,000–14,000 tamil — compresi oltre 500 minori (pdf) sospetti ex-combattenti LTTE — detenuti in aree segrete vietate, come i suddetti campi, a ONG e media internazionali. Senza chiari registri, non valutabili neppure gli effettivi rilasci rispetto al totale di tali detenuti.

Oltre all’incarcerazione, la popolazione tamil deve affrontare ulteriori insicurezze fisiche, come documentato nell’ultimo report del Dipt. di Stato USA del marzo 2010.

Come già per le uccisioni extragiudiziarie e le sparizioni, quasi tutte le vittime erano/sono giovani tamil che devono tuttora affrontare vessazioni delle forze di sicurezza e di gruppi militari fiancheggiatori, comprendenti tortura, rapimenti, prese in ostaggio ed estorsione – che non accennano a diminuire con la fine della guerra e sono parte di una militarizzazione straripante (The Times reported: guarnigioni ampliate in ex-zone belliche), utilizzata peraltro a danno dei diritti civili di tutti i cingalesi in un perdurante stato di emergenza e di abuso, che ha colpito anche alleati del regime Rajapaksa: il gen. Sarath Fonseka, artefice della vittoria militare, condannato dalla corte marziale con vaghe accuse dopo essersi candidato a competere con il presidente, oltre al giornalista dissidente cingalese Prageeth Eknaligoda recentemente rapito (abducted) a quanto pare con sostegno statale e sparito, e oltre ai vari casi documentati negli ultimi 4 anni da Reporter senza Frontiere di almeno 34 assassini di operatori dell’informazione e ben altri casi ancora di rapimento/aggressione, per lo più attribuiti (attributed) a paramilitari sostenuti dallo stato.

Inoltre il governo ha rifiutato di considerare qualunque forma di rendiconto sulle violazioni ai diritti umani, favorendo l’impunità tuttora quanto mai temibile da vittime e testimon. L’ Alto Commissario ONU ai Diritti Umani, Navi Pillay, ha ripetutamente criticato (criticised) il governo dello Sri Lanka per non aver esaminato le accuse (allegations pdf) di crimini commessi nele ultime fasi della guerra, fra le quali il cannoneggiamento di ospedali, l’uso di bombe a grappolo e l’esecuzione di prigionieri disarmati. L’ex-portavoce ONU nello Sri Lanka, l’australiano Gordon Weiss, stimava (estimated) in 40,000 i civili tamil uccisi sul finire della guerra. Dato il rifiuto governativo di cooperare, il Segretario Generale ONU Ban Ki-Moon sta a quanto pare formando (convening) una commissione d’esperti per indagare su tali violazioni.

Nell’attuale ambiente sociopolitico nello Sri Lanka, anche il tenere regolari elezioni non è di per sé un’assicurazione di governo democratico.


(TMS) 19.04.10

Titolo originale: Blatant Victimisation

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Sereno Regis

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