Il tremore del Cile – Antonio Castillo

Venerdì scorso, (27 febbraio 2010) i cileni sono stati colpiti dal peggior terremoto degli ultimi 50 anni. Con un’intensità di 8.8 gradi Richter è stato il quinto più forte della storia mondiale [registrata]. Il violento spostamento e attrito della placca continentale ha provocato non solo un enorme spostamento del terreno ma pure uno tsunami devastante: le barche da pesca trascinate da onde alte ben otto metri dentro le città costiere del Cile del sud evocano eventi apocalittici.

Al momento in cui scrivo si contano almeno 700 morti e il bilancio continua a crescere. Ci sono centinaia di dispersi, un milione e mezzo di senza-tetto e una grave distruzione delle infrastrutture – specialmente ponti, porti, aeroporti e ospedali.

Il terremoto ha colpito all’ultimo weekend delle vacanze estive, allorché migliaia di cileni stavano come al solito tornando a casa. In Cile, a marzo la vita riprende normalmente, con la scuola, il lavoro. Quest’anno invece marzo è un mese di dolore e sepolture.

I terremoti sono frequenti e spietati in Cile, questa striscia di terra lunga e sottile, un corridoio di 180 km fra le magnifiche Ande e l’oceano Pacifico, situata sull’Anello di Fuoco del Pacifico altamente sismico.

Trema? si chiedono disinvoltamente i cileni – quasi un saluto quotidiano – percependo di tanto in tanto vaghi tremori nelle profondità; convivono con essi, esprimendo di rado paura. Questione d’abitudine, almeno fintanto che non capita un cataclisma come l’altra settimana. I terremoti sono incisi profondamente nell’identità cilena. Il poeta cileno, premiato con un Nobel, Pablo Neruda fu così toccato dal sisma di grado 9.5 del 1960 che distrusse la città meridionale di Valdivia da sentirsi spinto a scrivere Terremoto in Cile, la Barcarola:

“Per i muri caduti, i piangenti nel mesto ospedale, per le strade coperte di macerie e paura, per l’uccello che vola senza un albero e il cane che ulula senza occhi, madrepatria di acqua e vino, figlia e madre della mia anima, permettimi di stemperarmi con te nel vento e le lacrime così che lo stesso destino furibondo obliteri il mio corpo e la mia terra”.

La violenza della terra in Cile indusse anche il romanziere tedesco Bernd Heinrich Wilhelm von Kleist (1777–1811) a scrivere Il terremoto in Cile, una storia di due amanti colti nella devastazione del terremoto del 1647 che distrusse la capitale, Santiago.

Concepción, la seconda maggiore città del Cile, è stata la più colpita dal terremoto del weekend essendo a 115 km dall’epicentro. Conosco bene questa città, ho studiato alla sua università, culla del leggendario Movimento della Sinistra Rivoluzionaria (MIR in spagnolo).

Ci sono stato poco più d’un mese fa, in visita a vecchi compagni e a mia sorella e alla sua famiglia, che finora non sono stato in grado di ricontattare. So che non c’è elettricità né acqua, né gas. Anche i beni alimentari scarseggiano. I veicoli restano abbandonati per mancanza di benzina. Le banche hanno esaurito il denaro. I disperati si danno al saccheggio. Concepción è una città già distrutta più volte; tante che in realtà non esiste più un centro storico. Eppure i penquistas — così si chiamano i suoi abitanti — ne vanno fieri. In passato vi avrebbero detto con orgoglio del nuovo aeroporto ultramoderno, della nuova superstrada appena aperta; vi avrebbero mostrato i nuovi edifici appena finiti e quelli in costruzione. Era una mini-Shanghai — un grande cantiere. Quasi tutto sparito adesso.

Concepción — e il suo possente fiume Bio-Bio — era il luogo dove i Mapuche, fiera nazione indigena, fermarono l’avanzata verso sud dei conquistadores spagnoli.

Durante la conquista — nel sedicesimo secolo — gli spagnoli combatterono non solo contro i Mapuche ma anche contro i devastanti effetti dei terremoti cileni. Città appena insediate furono vittima di terremoti che apparivano e sparivano. “Un improvviso tremore e squasso di terra arrivò in quella città [Concepción], così forte che gran parte delle case cadde e la terra spalancata in tanti punti era una cosa sbalorditiva a vedersi”, scrisse nel 1570 Alonso de Góngora, conquistador e cronista spagnolo.

Altro che ritorno alla vita normale a marzo: adesso i cileni cercano segni di vita sotto le macerie. “La nostra storia è costellata di risorse [sic] naturali che mettono alla prova la volontà, la determinazione e la solidarietà che ci caratterizza come nazione”, ha detto la presidente Michelle Bachelet poche ore dopo la tragedia che ha colpito questo paese di 16 milioni di abitanti.

L’11 marzo, la presidente Bachelet cederà il potere a Sebastián Piñera, il miliardario di destra eletto presidente. La ricostruzione del paese sarà una sfida colossale. Si è stimato che i danni potrebbero essere di ben 30 miliardi di $.

Non sarà un tempo facile per questa nazione emergente. Tuttavia, come già avvenuto in passato, questo disastro ha il potenziale per catalizzare profondi cambiamenti nelle prospettive politiche e sociali del paese.

Per 18 anni — durante la dittatura del generale Pinochet — il Cile è stato una nazione di nemici. Forse questa tragedia senza pari diventerà un punto di svolta. Forse diverrà un’epoca di solidarietà e soprattutto di riconciliazione finalmente raggiunta fra i cileni.

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Antonio Castillo insegna alla facoltà di Media e Comunicazioni dell’Università di Sydney. Ha pubblicato: Testigos Molestos (Testimoni molesti, CEDIC 1993), un resoconto della lotta di giovani giornalisti indipendenti all’opera durante il regime militare cileno degli anni 1973–1989.

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis

Titolo originale: CHILE’S TREMBLE

http://www.transcend.org/tms/article_detail.php?article_id=2787

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