Serbia, passato e futuro – Johan Galtung
Beograd: L’attacco NATO del maggio-giugno 1999 ha lasciato cicatrici ancora non rimarginate, come il Ministero dell’Interno bombardato (gli israeliani vogliono investire in quel sito per costruire un albergo). Ma la città è vibrante come sempre di cultura e ristoranti-caffè e intellettualismi d’ogni sorta. Una resilienza invidiabile. Ottimismo ortodosso?
Elaborare il passato non è facile. Il mio riassunto della storia serba è contenuto in tre parole: sconfitta, ritirata, ritorno. C’è l’idea abramitica del Popolo Eletto con una Terra Promessa, derivata da Genesi, focalizzata sul Kosovo-Kosova odierno. Ipotesi: qualunque altra cosa accada, ci sarà qualche tipo di ritorno. Per esprimere direttamente la mia opinione, vedo solo un equilibrio relativamente stabile non mantenuto dalla violenza o dalla sua minaccia (1):
* un Kosova indipendente nel nome dell’auto-determinazione,
* con una costituzione di tipo svizzero e un numero flessbile di cantoni,
* forse tre cantoni serbi nel nord, vicino a Pristina,
* ogni cantone governato nell’idioma di tale nazionalità come una federazione,
* con confini aperti verso le rispettive patrie Serbia e Albania, e
* quei tre paesi interconnessi in una confederazione.
L’attuale “indipendenza” – usare un finlandese [il diplomatico Ahtisaari, ndt] come strumento per fini USA-Occidentali non è sostenibile – si basava su tre punti:
* per i serbi ci vuole un bombardamento,
* fermare Rugova con ogni mezzo, se no potrebbe scapparci una soluzione pacifica,
* presentare alla Serbia un ultimatum: Kosova indipendente con una grossa base USA e magari un oleodotto, altrimenti bombardamento di Belgrado.
Il che insulta il bisogno identitario di base serbo, legato al territorio. Un “trattato di pace” che insulta i bisogni fondamentali non è un trattato di pace, ma una ricetta per sollevamenti futuri. Una politica di avidità, non di pace.
Ma ciò conta per il futuro a medio termine, per l’immediato futuro si tratta invece di associazione alla UE e alla NATO, l’organizzazione del trattato Nord-Atlantico, che agisce secondo il mantra “fuori area o fuori affari”. Gli alleati hanno bombardato la Serbia, l’Iraq e l’Afghanistan-Pakistan, senza prove né dell’ “Operazione Ferro di Cavallo”, né che l’11 settembre originasse in Afghanistan, né delle Armi di Distruzioni di Massa in Iraq.
Oggi la “comunità internazionale” si riferisce all’ex-Jugoslavia come Balcani Occidentali; un termine mal scelto dato che si considerano i Balcani: (a) come “angolo irrequieto” – invasi dagli Absburgo e dagli Ottomani lasciandosi dietro tante linee di faglia – (b) come ombra junghiana dove l’Occidente può depositare, proiettare le proprie inclinazioni – (c) come luogo dove, quando emerge l’”inquieto”, si può contare sui “bulli di quartiere” perché si precipitino per raccogliere le spoglie – o viceversa.
E di mezzo c’era la Serbia per non essere un passaggio privilegiato per i piani espansionistici della borghesia guglielmina nei Balcani, a Istanbul e oltre, a Baghdad. E Tito fece l’imperdonabile: rese la Jugoslavia relativamente indipendente mediante il non-allineamento, le diede una certa unità e molta grandezza. Quando politici jugoslavi come Leo Mates parlavano, il mondo stava ad ascoltare. Quando filosofi jugoslavi come il gruppo Praxis parlavano, il mondo accademico ascoltava, come per il mio amico Mihajlo Markovic che è appena defunto all’età di 87 anni. Tito morì nel 1980, la guerra fredda dieci anni dopo, e con essa quella nicchia fra Est e Ovest, Nord e Sud, che la Jugoslavia aveva occupato con tanto talento.
Tito aveva carenze, e una era la capacità limitata della Jugoslavia di nordovest di comprendere il sudest, come il Kosovo/a. Il post-Tito fu confusione, incapacità di cogliere l’opportunità di politica morbida di Rugova in modo da prevenire l’UCK utilizzato dagli USA. Il risultato fu la guerra del 1999, che mostrò come la NATO potesse facilmente mobilitarsi per quello che volevano gli USA o l’Anglo-America: una Serbia ammansita, privatizzata, ridotta di misura; in modo cieco alla storia proprio come gli austriaci con l’annessione di Bosnia-Herzegovina nel 1908 come retroterra per Sarajevo 1914.
La carta geografica USA era quella della guerra fredda: Serbia come l’URSS, Belgrado come Mosca, ovviamente comunisti, Croazia come Polonia simili a musulmani agitati del sud da aiutare. Ma una cosa sono forti forze centrifughe, tutt’altra prendere posizione contro una di esse.
L’entrata della Serbia nella UE ha senso, come per la Norvegia e l’Islanda dato che l’impero USA che le usava per ragioni di sicurezza sta declinando e cadendo. Entro la UE potrebbe emergere una comunità jugoslava lasca – con visti e controlli di frontiera già aboliti – come pure una rinata comunità Nordica. Avrebbero entrambe affinità su cui costruire al di là della UE.
Ma entrare nella NATO sarebbe un grave errore, per 4 ragioni:
[1] La NATO è fuori teatro e fuori mercato. Non ha risolto né il caso BiH né quello Kosovo/a, e può trovare sepoltura in Afghanistan, come avvenne ed avviene a un paio di imperi.
[2] L’articolo 5 reca la solita definizione di alleanza, per cui un attacco a un suo membro è un attacco a tutti e scatena un’azione congiunta contro l’aggressore. Il bersaglio più probabile sono gli USA. Con 244 interventi militari in altri paesi, 74 dopo la seconda guerra mondiale, ci sono in tutta probabilità moltissimi 11 settembre in gestazione. Essere nella NATO vuol dire essere d’accordo a uccidere afghani, irakeni e “terroristi” ovunque, come in Pakistan, Somalia, Yemen. L’Occidente e la Russia sono intervenuti violentemente dal 1830 in 26 paesi musulmani, quindi ce ne sono altri 21 con gravi rivendicazioni. La Serbia davvero vuole combattere per conto di Occidente-Russia in tutti quei luoghi?
[3] La Serbia verrà attirata nella NATO con l’offerta di materiale ed expertise, probabilmente a un livello inferiore di quanto offriranno gli USA alla Croazia. L’argomentazione sarà che si può risparmiare denaro nel bilancio e che scorreranno gli investimenti. Loro investimenti, per i loro scopi, sì; ma per politiche sostenibili serbe?
[4] Essere un buco non-NATO attorniato da membri NATO è meno assurdo che fare lo stesso errore dei vicini entrando in un’organizzazione avviata nel 1949 per contenere i russi, e gli “alleati” come alleati. Il trucco USA è di trasformare un paese distrutto dai bombardamenti in un alleato cosicché la prossima volta che qualche frammento dell’ex-Jugoslavia si agita, la Serbia sa che fare: bombardarlo! Una buona idea?
[5] L’associazione alla NATO viene usata dagli USA per controllare l’UE. Buona idea?
Qual è l’alternativa? Una vecchia risposta, un buco attorniato da quattro membri UE e tre membri NATO: la Svizzera. Una nuova risposta: la Turchia, in procinto di smuoversi, di fare notevoli progressi come pacificatrice con i Kurdi, con vicini come la Siria e gli armeni e i bulgari e i greci – allentando i legami con paesi più remoti come Israele e gli USA. In quanto non-allineata – non-neutrale, che vuol dire priva di una posizione, insignificante nel mondo attuale – la Serbia potrebbe essere una pacificatrice. Con i suoi vicini, che sono parecchi. Alzati per l’occasione, cara Serbia!
Note
(1) Vedi 50 Years: 100 Peace & Conflict Perspectives, TRANSCEND University Press 2008, capitolo 27; www.transcend.org/tup.
15 febbraio 2010
Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis
Titolo originale: SERBIA PAST AND FUTURE
http://www.transcend.org/tms/article_detail.php?article_id=2683
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