Per Andrea Cozzo. La solidarietà del Centro Studi Sereno Regis e della Segreteria MIR-MN

redazione

Vorremmo rivolgerci anzitutto al protagonista negativo, probabilmente un giovane poliziotto impreparato al suo compito civile, che ha colpito in faccia Andrea Cozzo, e poi al “provocatore delle bottiglie”, dalla giacca arancione fosforescente, ben individuato e segnalato inutilmente alla polizia.

Vorremmo dire loro di cercare il prof. Andrea Cozzo, non solo per scusarsi con lui, ma per chiedergli una lezione gratuita per cominciare ad imparare come si gestisce un conflitto sociale, in cerca delle giuste ragioni, dei diritti più conculcati, e del bene comune, senza offendere l’umanità altrui e la propria.

È accaduto che martedì 19 gennaio, a Palermo, durante una manifestazione di solidarietà con un gruppo di profughi sudanesi rifugiatisi in una struttura vuota (laboratorio Zeta), gestita da un gruppo a fini sociali, da cui erano stati buttati in strada e costretti a dormire in tende all’addiaccio, nel corso di una improvvisa carica, anche il prof. Andrea Cozzo, promotore di cultura e pratica dei metodi nonviolenti, formatore e istruttore del personale delle forze dell’ordine, è rimasto ferito per opera di un poliziotto.

Sabato 23, c’è stato un nutritissimo corteo di 5.000 persone (dunque molte più delle circa duecento di martedì 19), solidali con il laboratorio Zeta e quanti erano stati manganellati, e subito di seguito il prefetto ha indetto un tavolo di trattative riaprendo dunque tutta la questione della sottrazione dei locali allo Zeta e ai rifugiati politici che vi erano ospitati. Speriamo dunque in una soluzione giusta per i profughi senza tetto.

Ad Andrea Cozzo e agli altri colpiti o fermati senza aver fatto violenza, va tutta la nostra solidarietà umana e civile. Inoltre, questo episodio, simile ad altri in varie località, ci fa riflettere. L’accoglienza dei rifugiati come degli immigrati per lavoro, può diventare oggi un tema dell’impegno nonviolento positivo, da condurre con pazienza e costanza, per democratizzare e ri-umanizzare la nostra società imbarbarita da una politica di calcolata esclusione, che utilizza e aggrava i peggiori istinti. Dobbiamo volere che non sia mai troppo tardi.

Centro Studi Sereno Regis e Segreteria Mir-Mn, Torino

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Lab Zeta, notte in tenda per i rifugiati tra i fermati c’è un professore di religione

di Claudia Brunetto

Hanno dormito in macchina e dentro alcune tende montate sul marciapiede i 32 rifugiati del Darfur che ieri sono stati sgomberati dal Laboratorio Zeta di via Arrigo Boito a Palermo. Assieme a loro hanno passato la notte alcuni giovani del centro sociale. In serata le porte e le finestre della struttura che l’Istituto autonomo case popolari aveva assegnato da tempo all’associazione Aspasia, sono state murate per evitare che i ragazzi dello Zeta provassero a rioccuparla.

Sono scesi dal tetto il capogruppo di Idv al Consiglio comunale, Fabrizio Ferrandelli e altri due ragazzi del centro sociale che sono rimasti lì per oltre dodici ore. La polizia, intanto, ha reso noti i nomi dei tre fermati, in seguito ai tafferugli di ieri che hanno accompagnato lo sgombero. Si tratta di Kevin Giacalone e Fabio Lauretta, di 26 anni, e del professore di religione di 55 anni Gandolfo Sausa. Il giudice della terza sezione del tribunale, deciderà, oggi, se convalidare gli arresti in flagranza e accogliere l’istanza del pm che ha chiesto per i tre l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Andrea Cozzo, il docente di greco alla facoltà di Lettere, promotore di seminari sulla non violenza, che ieri era rimasto ferito è stato trasportato all’ospedale di Villa Sofia dove gli hanno diagnosticato una frattura scomposta al setto nasale che gli costerà 25 giorni di prognosi.

Dal Comune, intanto, si attende una nuova sede nella quale ospitare da stanotte i 32 immigrati del Darfur, molti dei quali sono già stati riconosciuti rifugiati politici. L’ipotesi più probabile è l’ex sede dell’assessorato all’Urbanistica in piazzetta della Pace.

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Pomeriggio di violenza allo Zetalab.

http://sergiopetronabaviera.wordpress.com/2010/01/20/pomeriggio-di-violenza-allo-zetalab/

Fino a quando non si assiste alla violenza non è possibile credere che sia possibile. Ieri, 19 gennaio 2010, è stato versato del sangue in via boito a Palermo, senza nessun motivo.

Dal 2001 nella strada, traversa della centralissima via Notarbartolo, un asilo abbandonato è stato occupato ed è diventato un centro sociale. Dopo un inizio assolutamente lineare con la storia di tutti i centri sociali occupati, lo Zetalab è diventato qualcosa di diverso a partire dal 2003 quando ha deciso di ospitare una trentina di persone provenienti dal Sudan che richiedevano l’asilo politico. L’assoluta incapacità dimostrata dall’amministrazione comunale, che già allora era guidata dall’inane Cammarata, nel fornire l’accoglienza per i richiedenti asilo come previsto dalle leggi in materia, aveva trasformato lo Zetalab in un’esperienza inedita di cogestione tra gli attivisti e i sudanesi. Nel corso dei mesi e poi degli anni, il centro sociale si è distinto per la sua attività antirazzista, per la coerenza del suo operato e per l’accoglienza dimostrata agli immigrati che avevano bisogno di un posto dove vivere.

Nonostante un riconoscimento di fatto ottenuto dal Comune, che aveva deciso di fornire l’acqua tramite acquedotto alla struttura occupata, la tensione con l’amministrazione è continuata di fatto per tutta la storia dello Zetalab che è stato anche oggetto di attentati intimidatori e minacce. La situazione è ulteriormente peggiorata dal 2008. L’associazione “Aspasia” ha infatti ottenuto in concessione il bene occupato e, preso atto dell’occupazione, ha avviato le pratiche legali per lo sgombero. Di recente, una sentenza esecutiva ha ordinato la liberazione dei locali ed è stato aperto un tavolo di trattative tra le parti in causa cui hanno partecipato anche esponenti politici locali dell’opposizione che cercavano di mediare tra le posizioni delle istituzioni e quella degli occupanti dello Zetalab. Ci sono stati alcuni brevi momenti di tensione a quanto riportato anche dall’edizione locale di Repubblica http://palermo.repubblica.it/multimedia/home/22592452

Ieri mattina alle ore 9 l’ufficiale giudiziario, scortato da uno spiegamento impotente di forze dell’ordine ha provveduto allo sgombero dei locali. I trenta sudanesi sono stati messi sulla strada e sono rimasti sul tetto soltanto due attivisti dello Zetalab ed il consigliere comunale Fabrizio Ferrandelli. C’è stato un ultimo tentativo di intavolare una trattativa, sponsorizzata ormai anche dal comune di Palermo che ha proposto ad Aspasia l’assegnamento di un bene alternativo. Aspasia ha rifiutato.

Nel corso delle ore un piccolo gruppo di dimostranti si è radunato in via Boito. Io sono arrivato verso le 16 ed ho trovato un’atmosfera tranquilla, quasi rassegnata. Al di là del cordone protettivo della polizia che si era disposta su due file per chiudere l’accesso al centro sociale, continuava una trattativa ormai chiaramente vana dopo il rifiuto di Aspasia di tornare a discutere. C’erano sicuramente meno di cento persone tra attivisti, simpatizzanti e semplici curiosi. Si sentivano battute, si scambiavano commenti, si arrivava perfino a prendere bonariamente in giro gli amici sul tetto. Quasi tutti i presenti erano convinti di assistere alla morte lenta di una realtà sociale che avevano imparato a conoscere e apprezzare nel corso degli anni.

Dopo il tramonto, due attivisti del centro sociale hanno cominciato una piccola assemblea di autoconvocati, gestita col megafono. Sono state esposte le ragioni del presidio, la decisione di non mollare e l’appello alla convocazione della cittadinanza. Come detto prima, le presenze in via boito non raggiungevano il centinaio. Dopo gli attivisti del centro, apparsi sconfortati e nervosi fin dal primo pomeriggio, una donna appartenente al movimento degli insegnanti precari ha deciso di intervenire per spiegare il sostegno ricevuto nell’organizzazione dei loro incontri proprio dallo Zetalab. In quel momento, senza nessun preavviso, senza alcun motivo, la polizia ha deciso di caricare. Nessuno guardava il cordone, l’insegnante parlava dando le spalle al centro sociale: improvvisamente i manganelli hanno cominciato a roteare e colpire le persone nella prima fila. Come potete immaginare c’è stato un fuggi fuggi generale. Le botte venivano inferte con violenza contro teste scoperte e schiene in fuga, i bersagli erano scelti a casaccio.

La prima carica si è arrestata quasi subito. Purtroppo qualcuno tra i manifestanti ha deciso di reagire ed ha lanciato due bottiglie, nascondendosi vigliaccamente in mezzo alla folla attonita, ancora sconvolta dalle prime botte. La reazione della polizia non si è fatta attendere. Questa volta la carica è stata davvero molto violenta ed i manifestanti sono stati inseguiti fino a via Notarbartolo. Ci sono stati tre arresti e la violenza micidiale contro quelli che sono rimasti indietro. Posso dirlo da testimone oculare: la polizia si è accanita con chi era caduto durante la fuga, manganellando a terra, riempendo di botte ragazze e fuggitivi. Da quel momento in poi i manifestanti hanno cercato di tenersi lontani dalla violenza della polizia.

Avendo rivisto in mezzo a noi il provocatore delle bottiglie, un uomo sulla quarantina vestito con una giacca arancione fosforescente, ho chiamato a me uno dei politici presenti chiedendo che venisse isolato. Purtroppo la mia richiesta non è stata ascoltata ed il lanciatore è rimasto in mezzo ai manifestanti, chiacchierando amabilmente con tutti e dimostrandosi se non interno al movimento per lo meno conosciuto da esso. A quel punto ho capito che le cose avevano preso una piega non coerente con le mie opinioni ferme sulla non violenza. Per questo motivo ho deciso di abbandonare la via boito, dopo essermi accertato che i miei amici non fossero feriti. Sono andato via verso le venti. Sul tetto dello Zetalab c’erano ancora i tre del pomeriggio, vicino all’ingresso i sudanesi.

Il presidio davanti allo Zetalab è rimasto anche durante la notte. In particolare, i sudanesi hanno dormito all’addiaccio con tende e coperte portate dai manifestanti. A prescindere dall’opportunità o meno di una manifestazione di protesta, assolutamente pacifica fino al primo assalto della polizia, lo scandalo è rappresentato davvero da queste persone abbandonate che hanno lasciato il Darfur per sfuggire alla violenza e l’hanno ritrovata nella città di Palermo, durante l’anno 2010, in un gelido pomeriggio di gennaio.

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Documentazione:

1 ) 21-01-2010

Esprimo la più viva solidarietà al prof. Andrea Cozzo, di cui conosco l’autentica convinzione e capacità di azione nonviolenta. Se qualcuno ha provocato violenza, mescolandosi alla manifestazione di solidarietà coi diritti dei profughi, le forze dell’ordine dovevano avere la capacità professionale e lo scrupolo morale, secondo il loro dovere, di chiaramente distinguerlo da chi agiva per una causa giusta, senza commettere alcuna violenza.
Enrico Peyretti, Torino

2) Caro Enrico, grazie di cuore per il tuo messaggio di solidarietà e per le tue affettuose parole. Ciò che è accaduto sta avendo, comunque, un senso: ormai parecchie decine di mail, sms e telefonate che ho ricevuto in questi due giorni da amici, conoscenti – ma anche da persone assolutamente a me sconosciute- mi fanno capire che la gente non è disposta a far finire tutto qui: sia per quel che riguarda il comportamento delle forze dell’ordine, sia per la situazione dei migranti buttati sulla strada e per i locali strappati al Laboratorio Zeta che da anni suppliva alle deficienze delle istituzioni. Resta tra l’altro, per ora, un presidio di persone che dorme davanti a quei locali; come ieri, anche oggi e domani si terranno lì davanti delle assemblee e sabato da lì partirà un corteo , speriamo lungo e partecipato. Un caro saluto. Andrea

3 ) Grazie delle notizie precise. Ti rinnovo solidarietà e amicizia. L’accoglienza dei rifugiati (anche qui per un anno, nell’ex-clinica san Paolo occupata, nel nostro quartiere, ma senza scontri; poi sono stati sistemati in altre strutture) come degli immigrati per lavoro, potrebbe diventare un tema positivo, alla lunga, con pazienza e costanza, di democratizzazione e ri-umanizzazione della ns società. Dobbiamo volere che non sia mai troppo tardi. Buona salute, buon coraggio, buona resistenza, buona speranza!
Ciao, Enrico

4) 24 gennaio

Caro Enrico, ti invio l’articolo del “Giornale di Sicilia” del 21 gennaio da cui si evince la dinamica della carica alla manifestazione. Intanto ti comunico anche che ieri sera, a seguito dei fatti di martedì 19, c’è stato un nutritissimo corteo di 5.000 persone (dunque molte più delle circa duecento che eravamo martedì), solidali con il laboratorio Zeta e quanti eravamo stati manganellati, e subito di seguito il prefetto ha indetto un tavolo di trattative riaprendo dunque tutta la questione della sottrrazione dei locali allo Zeta e ai rifugiati politici che vi erano ospitati. Possiamo dunque sperare, no? Un abbraccio. Andrea Cozzo

5) 24 gennaio

Carissimo Andrea,
ti ho conosciuto e sono diventato tuo amico grazie al tuo impegno per la nonviolenza. Ora la notizia di quanto e’ accaduto a te e a tua moglie nel corso della manifestazione per il centro sociale Laboratorio Zeta di Palermo mi ha profondamente scosso. Dopo la conversazione telefonica con il nostro amico Rocco Altieri ho pensato che non bastasse esprimerti privatamente la doverosa, sentita solidarieta’.

In questo caso non basta esprimere i sentimenti di umana solidarieta’ con chi e’ vittima della violenza e subisce gravi danni fisici, ma serve riflettere a fondo su quanto sta avvenendo dopo l’entrata in vigore della legge 94 del 2009, cosiddetta “sulla sicurezza”.

Riprendo la notizia. “Dopo Rosarno, lo sgombero del centro sociale Laboratorio Zeta di Palermo si configura come l’ennesimo tentativo di dispersione di migranti sul territorio nazionale. Un tentativo che passa anche attraverso gli arresti ed i ferimenti degli antirazzisti che a Palermo si battono per difendere i diritti fondamentali dei rifugiati, a partire dal diritto all’alloggio. Tra gli altri e’ stato colpito duramente con manganellate sul viso ed ha una prognosi di oltre venti giorni per la rottura del naso un professore universitario fondatore di un laboratorio per la nonviolenza. Un cittadino come tanti altri che partecipava al presidio di protesta per lo sgombero della struttura che era intervenuto in difesa della moglie presa a manganellate durante una delle cariche degli agenti di polizia” (Fulvio Vassallo, sul sito: www.terrelibere.it).

La notizia mi e’ sembrata incredibile. Come e’ stato possibile che proprio “un professore universitario fondatore di un laboratorio per la nonviolenza” venisse colpito gravemente dai manganelli della polizia? Questa e’ una domanda che deve impegnare la riflessione delle persone amiche della nonviolenza.

I manganelli della polizia non hanno colpito, tra gli altri, una persona qualsiasi, ma un ricercatore che “da anni tiene corsi di formazione per operatori della Guardia di Finanza, Carabinieri e Vigili Urbani”.

Questo caso mi sembra singolare, proprio perche’ la personalita’ di Andrea Cozzo si qualifica per la coerenza tra il pensiero e l’azione, tra la teoria e la pratica della nonviolenza.

Questa vicenda dolorosa deve servire per promuovere la conoscenza del pensiero e dell’opera del docente universitario vittima della violenza della polizia.

Caro Andrea, noi crediamo fermamente nella forza della nonviolenza. Quanto ti e’ successo deve servire a rafforzare il nostro impegno ed i nostri rapporti. Ti considero amico e sono orgoglioso di far parte con te della redazione della rivista “Quaderni Satyagraha”. Questa lettera esprime anche i sentimenti ed il pensiero di Rocco Altieri, direttore della rivista.

Non posso qui non ricordare il tuo libro pubblicato da Gandhi Edizioni nel 2007 su Gestione creativa e nonviolenta delle situazioni di tensione, col sottotitolo “Manuale di formazione per le Forze dell’ordine”. E mi fa impressione notare che la prefazione sia di Nicola Zito, questore di Livorno, e la postfazione di Patrizio Lo Prete, assistente capo della Polizia di Stato.

Voglio infine ricordare per i lettori un altro tuo libro, Conflittualità nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Milano, Mimesis, 2004.

Sappiamo bene che il cammino della nonviolenza e’ lungo e tortuoso. L’impegno per promuovere la cultura della nonviolenza e’ molto difficile e proseguendo nel nostro cammino incontreremo ancora la violenza. La tua ricerca ed il tuo magistero si rivelano sempre piu’ necessari.

Raffaello Saffioti, Centro Gandhi – Quaderni Satyagraha
Palmi, 24 gennaio 2010

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GLI ATTIVISTI RIOCCUPANO. Zetalab RITORNA A CASA

di Antonello Mangano – PALERMO

Un insegnante di greco che tiene corsi sulla nonviolenza ai poliziotti. Un autore di documentari sui migranti. E trenta sudanesi fuggiti dal Darfur. Sono tra le vittime dello sgombero violento del centro sociale palermitano. Ma ora la storia ricomincia.

http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/argomenti/numero/20100126/pagina/15/pezzo/269951/


 

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