Il caro armato
Massimo Paolicelli e Francesco Vignarca, Il caro armato, Edizioni Altreconomia, Milano 2009
Ricco di numeri e informazioni, questo libretto offre, per chi abbia la pazienza di leggerlo interamente, una panoramica della varietà di vie attraverso le quali gli italiani finanziano le Forze Armate: dall’acquisto di costosissime macchine da guerra (aerei, navi, carri armati), agli stipendi di un esercito in cui ‘sono più i comandanti che i comandati’, alla manutenzione del sistema (esercitazioni, aggiornamento, ecc.) fino agli sprechi.
Il libro spiega in modo chiaro come mai sia difficile avere dati sicuri sulle spese militari, che vengono attribuite solo in parte al Ministero della Difesa, e in misura non trascurabile al Ministero per lo Sviluppo Economico. In questa prospettiva non stupisce, quindi, che qualcuno possa sostenere ‘cifre alla mano’, che i finanziamenti per la Difesa siano diminuiti, mentre altri dimostrino un incremento notevole delle spese militari, tanto più significativo se si tiene conto della crisi economica e delle restrizioni imposte dalla Finanziaria. Gli Autori forniscono questi numeri relativamente al 2009: stanziamenti approvati direttamente dal Ministero della Difesa pari a 14,28 miliardi di Euro, stanziamenti complessivi (comprensivi dei fondi erogati da altri Ministeri) pari a 23,5 miliardi di Euro.
E’ difficile rendersi conto dell’entità di una simile cifra: per renderla più significativa la si può confrontare con la cifra stanziata dal nostro Paese per il Servizio Civile: 171 milioni di Euro…
Il libro si sofferma non solo sulle spese militari per l’acquisto di ‘prodotti’ (come la portaerei Cavour, del costo di 1 miliardo e 390 milioni di Euro), ma anche dei ‘processi’ che stanno dietro a queste decisioni: appalti, commesse, interessi, che negli ultimi anni hanno assunto una dimensione internazionale che rende difficile assicurare la trasparenza.
Dalla lettura apprendiamo di essere un Paese che – nonostante l’articolo 11 della Costituzione Italiana reciti che la Repubblica italiana ripudia la guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (ovvero consente l’uso di forze militari per la difesa del territorio in caso di attacco militare da parte di altri paesi, ma non con intenti espansionisti) – nell’aprile 2009 Senato e Camera hanno dato il via all’acquisto di 131 cacciabombardieri (Joint Strike Fighter), per una spesa prevista (senza tener conto dei costi per l’addestramento dei piloti) di 13 miliardi di euro.
Gli Autori fanno ripetutamente riferimento a prospettive di rinnovo del sistema militare italiano, rinnovo che dovrebbe adeguare strutture, sistemi di addestramento, organizzazione generale a una nuova visione delle Forze Armate, non più basate sulla leva obbligatoria ma sul servizio volontario professionale. Ma – a quanto emerge dalla lettura – sembra che sia molto difficile innescare un vero processo di trasformazione, con conseguente strascico di sprechi e inefficienze.
Una parte del testo è dedicata alle missioni internazionali – un tema di grande attualità – ed è fornita una utile tabella dalla quale i lettori possono rendersi conto della varietà di interventi ai quali l’Italia partecipa. Altro paragrafo interessante è dedicato a ‘Militari in città’, con alcune osservazioni critiche sulle scelte fatte.
Infine, nell’Appendice 1 sono riportate le spese militari in Europa e nel mondo, da cui emerge chiaramente la follia di una ‘civilizzazione’ in cui “ogni abitante del pianeta ha speso per il settore militare quasi 150 Euro nel 2008 e circa 128 nel 2007”. L’Italia è all’ottavo posto nella classifica della spesa militare mondiale, con circa 27,6 miliardi di Euro nel 2008 ‘tutto compreso’ secondo la stima del SIPRI.
Come fanno notare gli Autori, l’immensa mole di denaro che confluisce nell’ambito militare e di difesa viene drenata da altri possibili utilizzi di natura sociale, e fondamentali per la vita di una parte considerevole della popolazione mondiale. Per dimezzare la povertà nel mondo, e per dare accesso all’acqua potabile e al servizio sanitario a metà della popolazione che attualmente ne è priva basterebbero rispettivamente l’1,2 % e il 3,4% delle spese militari mondiali annue.
Il tono generale del libro è molto cauto: dalla lettura sembra che gli Autori si sforzino di ‘mettersi nei panni’ di chi crede alla necessità di un esteso apparato militare e di un sistema di difesa armata del Paese, forse per tentare un dialogo con la controparte e arrivare insieme a superare almeno alcune delle disfunzioni più palesi del sistema. Resta comunque nel lettore lo sconforto di vivere in un tempo e in un luogo in cui si calpestano i più elementari diritti umani, per costruire e tenere insieme una costosissima macchina di distruzione e di morte.
Due piccole osservazioni critiche: l’abbondanza di dati e il linguaggio talvolta tecnico rendono un po’ faticosa la lettura di certe pagine; manca (magari sarà oggetto del loro prossimo sforzo) una riflessione articolata sui consumi di energia e di natura che stanno dietro alla produzione di armi e all’uso di territorio nel nostro Paese.
(note di Elena Camino)
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