Messaggio per il sig. Nessuno: “Fare largo ai turisti”
Allora, è una gara di polli. Smettete di espandervi con insediamenti sulla nostra terra, poi parleremo con voi: il messaggio a Israele del presidente palestinese Mahmoud Abbas, avallato – per una volta – dalla Casa Bianca. Cominciate a parlarci e smetteremo di espanderci con gli insediamenti, dice il presidente israeliano Shimon Peres, che a un incontro con il suo omologo egiziano Hosni Mubarak la settimana scorsa ha promesso: “Il momento stesso in cui cominceremo a negoziare non ci saranno nuovi insediamenti, né confisca di terre. Non ci saranno investimenti finanziari in nuovi insediamenti, ci sarà uno smantellamento degli insediamenti realizzati senza autorizzazione”.
E’ un esempio della sofisticheria di cui Peres ha fatto il suo marchio, ovviamente. Tutti gli insediamenti sono stati realizzati senza appropriata autorizzazione, dato che sono situati su terra rubata ai palestinesi, e dovrebbero essere immediatamente smantellati secondo il diritto internazionale: ciò cui si riferisce sono i cosiddetti avamposti che perfino Israele considera illegali. E il messaggio del suo anfitrione ha costituito un benvenuto raggio di chiarezza nel salone degli specchi che attornia e oscura le tematiche chiave di giustizia, diritti e libertà che alimentano il conflitto; Mubarak ha infatti detto: “Userò parole non soggette a interpretazione. Israele sta distruggendo l’opportunità di pace con i suoi piani di popolare Gerusalemme di ebrei e isolare con scavi la moschea di al-Aqsa”.
Al monito del presidente Barack Obama che i piani israeliani di costruire un nuovo insediamento a Gilo, Gerusalemme-est, potrebbero condurre a una situazione “pericolosa” – dicendo a Fox News che tali sviluppi rendono più difficile per Israele fare pace nella regione e “esacerbano i palestinesi” – il Jerusalem Center for Women ha presentato nuove prove che i palestinesi nella città santa vengono estromessi dalle case in cui le loro famiglie risiedono da generazioni, per fare spazio a nuovi sviluppi immobiliari. Il JCW ha avuto notizia di decine di domicili palestinesi minacciati di sgombero per far largo a un nuovo massiccio sviluppo a sostegno statale per il turismo religioso, che potrebbe lasciare ben 1.500 palestinesi senza tetto.
Al Bustan, un quartiere di 88 case nella zona di Silwan, a sud della Città Vecchia, è situato su terreno ritenuto l’ubicazione dell’antico Palazzo di re David, ed è ora identificato da Israele per la costruzione in programma della cosiddetta Città di David, un complesso progettato per attrarre turisti religiosi.
Mousa Odeh, un residente, ha ricevuto un ordine di demolizione municipale, in cui figurava come “destinatario ignoto” benché il suo nome e indirizzo siano chiaramente scritti in tutte le bollette comunali che riceve e che paga regolarmente. Il sig. Nessuno è in grado di nominare ciascuna delle dieci generazioni che l’hanno preceduto, che hanno tutte abitato nello stesso posto a sud del complesso di al Aqsa. Ma, nella Gerusalemme Occupata lo spazio per gli abitanti palestinesi sta continuamente restringendosi, indipendentemente da quanto indietro risalgano le loro radici.
La Città di David programmata a Silwan fa parte della politica israeliana di ebreizzazione di Gerusalemme e di pulizia etnica della sua popolazione palestinese in modo da renderla la “Gerusalemme Ebrea unita” attualmente pubblicizzata in giro per il mondo dal governo Netanyahu. Si stanno estromettendo i residenti palestinesi per far spazio a residenti ebrei. Questo silenzioso trasloco iniziò con la deportazione di forse 5.000 palestinesi in Giordania subito dopo l’annessione illegale della parte orientale della città nel lontano 1967.
Il piano regolatore comunale – ‘Gerusalemme 2020’ – comprende disposizioni per un riequilibrio demografico dove i palestinesi non sono più del 20% dell’intera popolazione. La loro proporzione odierna è il 35% e secondo stime israeliane dovrebbe raggiungere il 40% nel 2020.
Dispositivi burocratici e legali congiurano nel rendere la vita impossibile ai palestinesi. A Wadi Qaddum, un altro quartiere palestinese nella zona di Silwan, la circoscrizione comunale israeliana non provvede ad alcun servizio, sebbene gli abitanti paghino le tasse. Fadwa al Razem, una donna del posto che ha contattato JCW per consigli legali, è stata costretta a demolire il piano superiore del suo edificio, riservato alla famiglia di suo figlio. Sbatter giù quei muri era l’alternativa al pagamento di migliaia di shekel per i bulldozer del comune che avrebbero dovuto demolire quell’ampliamento in corso senza permesso. Quello di Al Razem non è un caso isolato: mentre il comune di Gerusalemme continua a espandere insediamenti per soli ebrei a Gerusalemme-est, è quasi impossibile ottenere permessi di costruzione per palestinesi seppure su terreno privato.
Col sostegno della Olof Palme Foundation, il JCW gestisce una clinica legale per donne palestinesi a casa della signora Al Razem, per facilitare la partecipazione femminile. Oltre a offrire consulenza legale nel labirinto di norme israeliane, giordane e perfino ottomane che governano la loro vita, tali incontri sono divenuti occasioni di consulenza e sostegno a madri e mogli che non hanno altro che i loro vicini ai quali rivolgersi, aiutando a rafforzare i legami di comunità e a creare una rete di solidarietà femminile.
Alcune famiglie palestinesi sono ora costrette a vivere in tenda dopo essere state sgombrate sotto minaccia delle armi da subentranti ebrei protetti dalle forze israeliane. La famiglia Al Ghawi, a Sheikh Jarrah, un altro quartiere palestinese vicino alla Città Vecchia, ha appunto preso residenza in una tenda. Senza sostegno da uno stato ebraico che non concede uguali diritti e benefici ai palestinesi sotto occupazione, nessuna protezione da un’Autorità Palestinese imbelle e poco sollievo giudiziario in un sistema di tribunali a dir poco partigiani, la famiglia Al Ghawi è una delle tante famiglie di Gerusalemme rese senza tetto dall’ebreizzazione strisciante, che tuttavia si rifiutano cocciutamente di andarsene dalla loro città.
Comunque, le prospettive sono nere. Una stima ONU calcola che circa 60.000 palestinesi di Gerusalemme-est siano a rischio di sgomberi forzati, demolizioni e sfollamento. Mariam Ikermawi, direttrice del Jerusalem Center for Women e lei stessa residente nella Gerusalemme-est occupata, ha commentato: “Oggi tocca agli Al Ghawi, domani potrebbe toccare a casa mia”.
Il JCW opera a sostegno della popolazione palestinese di Gerusalemme, specialmente per le donne, nel loro tentativo di resistere alla pulizia etnica che le spazzerebbe via dalla città e di arrivare a un giusto compromesso sul futuro della città come capitale di due stati. Il JCW si appella a tutte le parti interessate perché esigano dalle autorità israeliane la cessazione delle loro attuali politiche discriminatorie e perché tutte le parti coinvolte pongano Gerusalemme in cima all’agenda politica di futuri negoziati e per una risoluzione del suo status.
COMMENTARY ARCHIVES, 27 Nov 2009 Jake Lynch
con il Jerusalem Centre for Women (JCW)
Titolo originale: “MESSAGE TO MR NOBODY: MAKE WAY FOR THE TOURISTS”
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Sereno Regis
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