Sri Lanka: e ora che succederà?
La notizia che il governo dello Sri Lanka intende chiudere i campi d’internamento dov’erano detenuti illegalmente migliaia di tamil a seguito della fine della guerra civile contro i ribelli delle Tigri Tamil avvenuta sei mesi fa, testimonia l’effetto della pressione internazionale. L’Unione Europea ha assecondato l’appello del giudice Navi Pillay, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, per un’indagine internazionale indipendente sulle imputazioni di crimini di guerra. E ha minacciato di ritirare allo Sri Lanka l’ambito status di membro del ‘GSP-plus’: il Sistema Generalizzato di Preferenze (Generalised System of Preference) che dà ai paesi in via di sviluppo un accesso commerciale privilegiato agli stati membri UE.
Il Dipartimento di Stato USA ha prodotto un corposo rapporto, che specifica i vari attacchi a civili durante la guerra ivi compresi 158 casi di fuoco d’artiglieria o bombardamenti che potevano provenire solo dal versante governativo: un dato che secondo gli autori rappresenta verosimilmente solo una parte del quadro completo poiché molti casi non furono riferiti al mondo esterno. Quando il Fondo Monetario Internazionale (FMI) quest’anno votò su un pacchetto di prestiti agevolati allo Sri Lanka del valore di 2 miliardi di dollari, gli USA scelsero insolitamente di dichiarare pubblicamente la loro astensione (si vota in segreto). L’accordo è soggetto a revisione trimestrale, sicché ci sono altre opportunità di far leva.
In Australia, al contrario, le strette di mano ufficiali si sono accompagnate a una vistosa pusillanimità nel dar seguito a una qualunque forma d’azione. Canberra ha una delle due dittature d’un gruppo di paesi del Pacifico-Asiatico nel consiglio d’amministrazione del FMI, che rappresenta il 3.4% del voto; se n’è stata zitta zitta su come sia stato usato, perciò c’è da presumere che abbia votato a favore. E il Ministro degli Esteri Stephen Smith è andato col cappello in mano a Colombo a chiedere aiuto nello scoraggiare i tamil dal cercare rifugio in Australia, dopo che l’arrivo di alcuni battelli aveva innescato il solito sbarramento isterico da parte dei politici e media di destra. Invece di un’azione governativa, è stata esercitata una pressione con campagne e lobbying della società civile, che miravano solo ai cosiddetti “fattori di spinta” che hanno portato all’approvazione al 95% delle istanze d’asilo da parte di tamil che hanno raggiunto l’Australia negli ultimi mesi.
Fra le parti più ovviamente colpevoli c’è Cuba, che sponsorizzò la mozione al Consiglio per i Diritti Umani ONU (HRC) di congratulazione col governo dello Sri Lanka per la sua ‘vittoria’; una mossa che probabilmente ha contribuito a far credere alle autorità di Colombo di potersela cavare nel detenere i tamil ben più a lungo che altrimenti. La mossa ha smontato molti sostenitori del governo socialista di Cuba, fra i quali alcuni nello stato indiano del Tamil Nadu. Amarantha Visalakshi, un autore e traduttore di libri sull’America Latina, ha reagito così:
“Noi qui in Tamil Nadu abbiamo celebrato l’80° compleanno del compagno Fidel con la pubblicazione di otto libri sulle conquiste di Cuba in vari campi … e siamo nel bel mezzo dei preparativi della commemorazione del 50° anniversario della Rivoluzione cubana …”
“Siamo ammutoliti e scoraggiati e disillusi da questo atto [la risoluzione HRC] da parte di quei paesi dell’America Latina sui quali abbiamo puntato le speranze per il futuro – il socialismo del 21° secolo.”
“Perché questi paesi auspicano l’eradicazione dei tamil dal suolo dello Sri Lanka al quale legittimamente appartengono? Quali sono le fonti d’informazione di questi paesi, per decidere contro i tamil e a favore del governo razzista dello Sri Lanka nel HRC dell’ONU?”
E ora?
Chiaramente, è necessaria una continua vigilanza su quanto succede a coloro che hanno trascorso gli ultimi sei mesi vivendo nelle terribili condizioni dei campi, traumatizzati dagli avvenimenti che in primo luogo li hanno scacciati da casa. Un reportage sul Washington Post della scorsa settimana sollevava preoccupazioni su coloro che erano già stati rilasciati dal carcere.
“Di fronte alla pressione del governo Obama e dell’Unione Europea, il governo dello Sri Lanka il mese scorso ha varato una campagna di reinsediamento delle decine di migliaia di detenuti della minoranza tamil”, ha scritto la reporter Emily Wax. “Ma interviste nel nord del paese devastato dalla guerra rivelano che molti civili sono solo stati spostati dai grossi campi a piccole zone di transito dove vengono trattenuti contro il loro volere. Altri sono stati rilasciati per essere poi ripresi pochi giorni dopo da casa e portati verso ignota destinazione”.
Un informatore nel porto di Trincomalee, Devender Kumar, il cui fratello fu appunto rilasciato per poi essere portato via dalla polizia senza spiegazioni, ha detto a Wax: “Pensavamo che questa guerra fosse finita. Ma per i tamil è come cadere dalla padella nella brace”. Solo a Trincomalee 30 uomini sono spariti subito dopo essere rincasati. Un “alto funzionario USA”, citato nel W.P., ha lodato lo “sforzo sincero” di rilasciare la gente dai campi di detenzione, ma aggiungendo “Finora non siamo stati in grado di rintracciare dove stiano esattamente andando. Speriamo di avere presto prove visive che sono effettivamente stati reinsediati”. Wax ha riferito di aver visto “campi d’erbacce dove un tempo si coltivava solo riso e cashew [specie di noce, ndt]”.
Brami Jegan, un importante attivista della società civile qui a Sydney e co-organizzatore del Progetto Diritti Umani nello Sri Lanka presso il mio Centro dell’Università di Sydney, in un’intervista alla TV pubblica ABC, ha inoltre fatto presenti le preoccupazioni per ex-internati tuttora dispersi nelle loro comunità d’origine: “Alcuni mancano dai campi, sono stati semplicemente portati via e mai più visti e altri sono stati rilasciati, senza peraltro venire reinsediati nelle loro zone di provenienza, ex-aree di conflitto note come Vanni. Sono stati deportati in zone dove non abitavano prima”.
Nella stessa intervista, Jegan, portavoce Tamil per il Parlamento Australiano, ha inoltre osservato che “non ci sarà pace fino a che ci sia giustizia, riconciliazione e i tamil vengano trattati come tutti gli altri abitanti dello Sri Lanka: da uguali”. Ecco dove la crisi prodotta dalla guerra, la protezione dei civili sotto il fuoco e ultimamente i campi, devono diventare un’opportunità, sostenuta dalla pressione continua della comunità internazionale per trovare un qualche modo per trasformare il conflitto in una nuova fase.
Auto-determinazione
Le Tigri Tamil avevano adottato, come grido di battaglia, la causa di una patria indipendente – Tamil Eelam – al nord e all’est del paese, ma le esigenze di giustizia e uguaglianza erano ben precedenti l’emergere della lotta armata.
“Tutti i popoli hanno diritto all’auto-determinazione; in virtù di tale diritto determinano liberamente il loro status politico e perseguono liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale”. Così dice la Risoluzione 1514 dell’Assemblea Generale ONU, che l’anno prossimo compirà cinquant’anni dall’approvazione. Essa stabilisce inoltre: “qualunque tentativo mirato allo sfaldamento parziale o totale dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale di un paese è incompatibile con gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite”.
Il che comporta chiedersi chi possa essere considerato un “popolo” e quali siano i confini legittimi di “un paese”. A quel tempo, si stava intensificando la sottomissione del popolo tamil nello Sri Lanka con la famigerata legislazione per soli cingalesi, recentemente imposta, che negava ai tamil il diritto di usare la propria lingua nella vita pubblica. Nel 1972, la protezione accordata alle minoranze nella costituzione dello Sri Lanka del 1948, fu deliberatamente revocata, e il buddhismo – la religione dei cingalesi – fu istituito a religione ufficiale del paese.
Quella misura inoltre recise i legami rimanenti fra l’isola e il suo ex-padrone coloniale, la Gran Bretagna, il che diede nuovo impeto all’appello per istituire una patria tamil separata. Secondo un rapporto del Comitato Internazionale dei Giuristi:
“I proponenti di Tamil Eelam sostengono che le province settentrionale e orientale dello Sri Lanka coincidono con i confini storici del regno di Jaffna asserendo che la sovranità su questi territori non sia mai stata ceduta ad alcun conquistatore, e che anche qualora una tale concessione sia mai stata fatta in passato, la rescissione unilaterale dei collegamenti con il Regno Unito che ebbe luogo all’assunzione dei poteri del governo della Srimavo Bandaranaike nel 1972 resuscitò la sovranità tamil, solo latente fino ad allora… Nella teoria astratta del diritto internazionale sembrerebbe che i tamil abbiano quanto meno argomenti dibattibili e forse sostenibili”.
Fu così che i leader politici tamil giunsero alla cosiddetta Risoluzione di Vaddukkoddai nel 1976, così chiamata dalla città del distretto di Jaffna dove fu redatta. Tale risoluzione fu messa alla prova nelle elezioni generali del 1977 e gli elettori delle regioni tamil (nord e est di Ceylon/Sri Lanka) confermarono 18 dei 23 candidati della piattaforma per l’indipendenza. Era un’asserzione del diritto all’auto-determinazione, di fronte alla discriminazione sistematica e alla violenza sponsorizzata dallo stato, e i suoi sostenitori oggi la rivendicano come ultima occasione effettiva per i tamil di farsi sentire in un contesto politico, perché “tutte le elezioni tenutesi da allora sono avvenute sotto la minaccia delle armi o con molti tamil impediti a votare dalle forze governative o paramilitari”.
Questo è quanto si afferma in una proposta di referendum fra tamil della diaspora, che ormai si contano a milioni. Quelli fuggiti come profughi nel corso degli anni e le loro famiglie all’estero sono frattanto quasi certamente più numerosi dei tamil rimasti nello Sri Lanka. Il referendum è previsto che avvenga in vari paesi fra cui la GB – che ospita circa 300.000 profughi secondo le stime – dove avrà luogo in gennaio. Quelli che vivono fuori dallo Sri Lanka, afferma il documento, sono gli unici a potersi esprimersi liberamente.
Il rapporto della Commissione Europea, compilato per orientare i ministri UE nel prendere la propria decisione finale sull’estensione o meno del GSP-plus, annota perduranti preoccupazioni per abusi ai diritti umani: “La polizia non è intenzionata o in grado di indagare sulle violazioni dei diritti umani. Il sistema d’indagini sui crimini e il sistema giudiziario si sono dimostrati inadeguati a indagare sulla violazione dei diritti umani. La NHRC (National Human Rights Commission, Commissione Nazionale per i Diritti Umani) è indebolita, incapace di svolgere il suo ruolo e ha perso il riconoscimento internazionale. La legislazione d’emergenza mette a riparo i funzionari dall’ incriminazione”.
Il rapporto osserva che lo Sri Lanka aveva in passato adottato molte clausole chiave del diritto internazionale sui diritti umani, comprese la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, la Convenzione sui Diritti del Bambino e la Convenzione Contro la Tortura. Tuttavia:
“In quanto all’effettiva applicazione delle convenzioni, si dimostra che uccisioni illegali perpetrate dalla polizia, da soldati e gruppi paramilitari sono un problema preminente. Lo Sri Lanka ha sì una intensa prassi di misure legislative per criminalizzare la tortura, ma in pratica essa rimane ampiamente diffusa sia da parte della polizia sia delle forze armate. I poteri di detenzione conferiti dalla legislazione d’emergenza hanno permesso arresti arbitrari senza possibilità effettiva di revisione sulla legalità della detenzione. Ci sono state un gran numero di sparizioni attribuibili ad agenti dello stato o fazioni paramilitari complici del governo; quindi lo Sri Lanka ha mancato di attuare i suoi obblighi per impedire le sparizioni da parte di agenti dello stato e altre forze di cui è responsabile”.
In questa situazione, le opportunità per i tamil di farsi sentire efficacemente nel paese sono severamente limitate. Il referendum della diaspora potrebbe perciò considerarsi come un’ulteriore effettiva asserzione del diritto di auto-determinazione, e – mettiamola in questo modo – sarebbe una grossa sorpresa se non producesse un risultato decisamente a favore di uno stato tamil indipendente.
C’è ovviamente una differenza fra l’asserzione del diritto di auto-determinazione e il suo esercizio. Quest’ultimo, quasi per definizione, deve attuarsi mediante negoziati, poiché inevitabilmente influisce su diritti altrui. La creazione di un nuovo stato può essere il risultato finale di tali negoziati – o anche non. La proposta creativa di Johan Galtung di “federalismo non-territoriale” può assumere un particolare rilievo, sottolineando che la radice del conflitto non è ‘per’ la terra ma per diritti e libertà, come indicato da Jegan.
Con la sconfitta delle Tigri, la scusa del non trattare coi terroristi viene meno. La storia mostra che quando si affrontano richieste di auto-determinazione con tentativi di reprimerle, con la forza e/o sanzioni amministrative, esse acquistano ulteriore forza e sono propense a tradursi in violenza. Quando le si affronta con negoziati in buona fede, possono produrre un apprezzabile miglioramento nelle prospettive per tutte le parti coinvolte. Per precedenti che suscitino speranza – pur con diversi risultati – basta guardare le due estremità dell’Indonesia, Aceh a ovest, che ora gode di un alto grado d’auto-governo entro lo stato, ed Timor Est nella parte orientale, ora impegnata in un nuovo capitolo storico come stato-nazione indipendente.
Alla comunità tamil nello Sri Lanka dev’essere permesso di eleggere leader credibili che possano negoziare significativamente su misure politiche atte a realizzare un futuro condiviso di giustizia e uguaglianza. Quindi dev’essere loro permesso di parlare e organizzarsi liberamente, con pieno accesso alle ONG internazionali e – nel caso di chi viene arrestato perché sospettato di appartenere alle Tigri Tamil – al Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Si possono far valere nei confronti del governo di Colombo le imputazioni per i crimini di guerra documentati nel rapporto del dipartimento di Stato USA come mezzo per incentivare la cooperazione, insieme alla stretta finanziaria di UE e FMI. A meno che ci sia presto una mossa per il riconoscimento del legittimo diritto di auto-determinazione tamil e trattative al riguardo, tutto quanto il circolo vizioso riprenderà nuovamente, prima o poi. Questa dev’essere pertanto la preoccupazione urgente della comunità internazionale, a cominciare dall’incontro dei capi di governo del Commonwealth a Trinidad e Tobago il prossimo weekend.
COMMENTARY ARCHIVES, 22 Nov 2009 Jake Lynch
Titolo originale: SRI LANKA: WHAT HAPPENS NEXT?
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Sereno Regis
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