Cina e crisi economica – Johan Galtung

galtung-bn-webChongqing: Il Comitato della Società degli Amici (American Friends Service Committee, ovvero i Quaccheri, ndt) e l’Associazione Popolare Cinese per la Pace e il Disarmo – una ONG sostenuta dallo stato come molte in Occidente – hanno tenuto una conferenza il 18-21 ottobre sulla crisi economica e sul conflitto e l’armonia sociale.
Sono state condivise con gli esperti cinesi esperienze mondiali nella risoluzione dei conflitti e nella cooperazione stato-società civile, per affrontare le tematiche poste in evidenza nel discorso di Hu Jintao al 17° congresso del Partito Comunista Cinese nell’ottobre 2007: enorme diseguaglianza sociale, collasso ecologico e deficit di democrazia. L’approccio: dialoghi, ricerca congiunta di soluzioni.
La violenza poliziesca e militare o terroristica non risolve alcunché. Un percorso passa per la nonviolenza del tipo di Gandhi e King, ma lo stato sarebbe saggio a cominciare dapprima con i dialoghi. La gente è sfruttata e repressa; non dovrebbe rischiare per giunta di venire uccisa.
Molto utili sono stati programmi radio per dialoghi diretti tra la gente e il governo (scorciatoia cambogiana ai lenti percorsi tramite partiti e parlamenti), e per l’addestramento della polizia come mediatori nel conflitto sociale anziché in violenza e arresti. I cinesi hanno contribuito con le vecchie petizioni ad autorità locali in favore di persone in difficoltà (milioni). Ma serve ben altro.
Sullo sfondo la crisi denominata in modo fuorviante “finanziaria” mentre un fattore chiave è la sconnessione fra una crescita dell’economia reale stagnante o perfino negativa (il peggio colpito è stato il Giappone con -12%, poi gli USA con -6% nel primo trimestre 2009) e un’economia finanziaria incontenibile. Al disotto, un capitalismo che crea miseria e morte nella base sociale e un enorme eccesso di liquidità al vertice, in rotta per una speculazione alla frazione di secondo basata sul computer. E al disotto ancora, un impero USA in decadenza che “perde” risorse che potrebbero venir spese meglio che uccidendo i poveri afghani, pakistani, irakeni e palestinesi.
Come se la passa la Cina in questa crisi “made in USA”? Ovviamente è stato uno shock, che ha causato disoccupazione, particolarmente nell’Est costiero orientato all’esportazione. Ma la Cina è meno vulnerabile poiché il 60% della crescita si basa sull’aumentata domanda nazionale. L’aver promosso 400 milioni di persone dalla povertà a un potere d’acquisto da ceto medio inferiore fra il 1991 e il 2004 ha creato la situazione opposta agli USA, dove forse due terzi della popolazione non hanno goduto di aumento del potere d’acquisto dai primi anni 1970.
Entrambe le economie sono orientate al capitale ma quella cinese è inoltre orientata all’umano. Quando la crisi colpì, si poterono usare riserve come stimolante, non per il salvataggio, poiché le istituzioni finanziarie cinesi erano state più responsabili, forse per via dell’etica confuciana.
Alla fabbrica privata d’automobili Lifan a Chongqing, che ha subito un calo del 30%, è stato citato un altro fattore: l’azienda come una dzha, famiglia, che non licenzia nessuno. In altri termini, impiego a vita, probabilmente ispirato al modello classico giapponese che gli USA fecero in modo di distruggere in un Giappone succube (Toyota si rifiutò, ma può avere adesso problemi alla Lifan). La fabbrica ha ottenuto sconti fiscali e altra assistenza dallo stato e usa il rallentamento attuale per addestrare i propri operai a livelli più alti di produzione.
Chongqing, la città più grande al mondo (oltre 30 milioni), fa parte della politica cinese di spostamento verso occidente per ridurre la diseguaglianza regionale, e potrebbe presto produrre 1/3 dei computer del mondo. Lifan esporrà le prime 20 auto elettriche a Shanghai nel marzo prossimo, con progetti di produzione su larga scala. Ma l’auto ibrida Toyota potrebbe avere un miglior rapporto qualità/prezzo, con l’assenza di-emissioni di CO2 come parte del concetto di qualità.
La Cina ha giusto superato i 10 milioni d’auto prodotte all’anno, come Giappone e USA, ma potrebbe presto sorpassarli. Ovviamente l’economia cinese diminuirà, ma il suo PIL potrebbe eguagliare quello USA nel 2030, e doppiarlo nel 2050, e il PIL pro-capite superare quello USA nel 2100.(1)
Tornando ai tre deficit di Hu Jintao: guidati dal Giappone e dalla teoria delle oche volanti di Kaname Akamatsu, il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan hanno saputo gestirli. Ma il fondamento erano la sanità, l’istruzione e le infrastrutture. [Keitel: “La Cina maoista ha lasciato alle generazioni future alti livelli di alfabetizzazione e una sanità pubblica decente”.] Al Giappone ci sono voluti quasi 40 anni prima della crescita economica, alla Cina ce ne vorranno forse 30. La gente deve esserci, esserne a favore, parte e autrice. Solo un tale genere di persone può costituire una forte società civile.
Disparità regionali: causate dal commercio coloniale basato sull’attività portuale; aerei, ferrovie e strade possono ora facilmente trasferire il lavoro dov’è la gente.
Degrado ambientale: il Giappone fu indicato negli anni 1970 come paese più inquinato al mondo; con le sindromi di minamata-itai itai che causavano sofferenze inenarrabili. Nonostante un’eroica nonviolenza davanti alle sedi delle grandi aziende e ai ministeri ci volle molto tempo, ma la società infine s’impose e crebbe. I cinesi potrebbero essere effettivamente più, non meno, sensibili dei giapponesi.
Deficit di democrazia: Park Chung Hee nella Corea del Sud, Chiang Kai- Shek a Taiwan, e una dittatura de facto LDP (Partito Liberal-democratico, ndt) in Giappone furono compatibili con una crescita elevata. Ma questo è il passato, ora anche il Giappone sembra una democrazia. Tali paesi sono manifestazioni dello stesso modello soggiacente confuciano-buddhista-occidentale, quello giapponese più liberale e ispirato al denaro, e quello cinese più marxista, umanista. Le elezioni nazionali multi-partitiche sono un’altra questione (2), ma ci sarà ugualmente democrazia e dialogo e partecipazione ovunque.
Previsione: non ci sarà una diffusa “tensione sociale” nell’Asia dell’Est, bensì dialogo stato-società civile e in Cina un massiccio innalzamento delle comunità più isolate verso un’alta domanda economica. Non ci saranno economie basate sulla sussistenza. I paesi dipendenti dall’esportazione per una crescita dell’economia reale sono più esposti a “tensioni sociali” che possono produrre un vero cambiamento, nonostante il FMI, la Banca Mondiale e l’OMC (WTO).
NOTE:
(1) Da China’s Economic Rise–Fact and Fiction, Policy Brief 61 di Albert Keidel, luglio 2008, dal Carnegie Endowment, Washington; scritto prima dell’inizio ufficiale della crisi con il fallimento Lehman Brothers del 15.09.08 (procurato mediante short-selling?, operazione di speculazione finanziaria, ndt) quindi forse troppo ottimistico riguardo agli USA.
(2) Per una teoria in merito vedi Johan Galtung, “Democracy and Social Justice, The Case of China” in Galtung Scott, Democracy * Peace * Development, TRANSCEND University Press, 2008, vedi www.transcend.org/tup

26 ottobre 2009
Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis
Titolo originale: CHINA AND THE ECONOMIC CRISIS
http://www.transcend.org/tms/article_detail.php?article_id=1980

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