Argomenti contro la guerra in Afghanistan: e un sentiero per la pace

Jake Lynch

1. La ribellione contro le truppe a guida USA in Afghanistan si sta trasformando in un’insurrezione generale

Paul Rogers, professore di ricerca per la pace a Bradford, richiama l’attenzione su un attacco alle forze USA in due avamposti nel distretto di Kamdish, provincia del Nuristan, presso il confine con il Pakistan, istituiti per permettere agli americani di reprimere il continuo infiltrarsi di forniture militari in Afghanistan.

L’assalto durato una giornata da parte di 300 combattenti paramilitari e costato la vita a otto militari USA oltre a parecchi altri feriti, è stato addebitato ai talebani e ad al Qaida, la qual cosa però, come fa notare Rogers, è stato un rabberciamento frettoloso dell’analisi iniziale secondo cui si trattava di un intervento della “milizia tribale del Nuristan” e che “le fonti di conflitto nella zona dipendono da complesse dinamiche tribali, religiose ed economiche”.

Secondo Rogers: “L’intensità e il numero d’attacchi in Afghanistan tra settembre e ottobre 2009 rendono evidente che le forze anti-ribelli americane e britanniche hanno ora di fronte un’insurrezione in evoluzione, radicata molto più nelle comunità locali che nei paramilitari talebani itineranti. Il contesto di questa situazione è che molti talebani sono probabilmente ben più annidati nelle comunità locali di quanto supposto – o che vi si aggiungano o siano sostenuti da milizie locali motivate ad agire anzitutto contro gli occupanti stranieri, piuttosto che indotte da una focosa ortodossia religiosa”.

2. Siamo noi il principale ostacolo alla pace

Il sistema di governo presidenziale afghano fu scelto nell’ambito di una costituzione adottata per alzata di mano alla Loya Jirga del 2003, dopo che la bozza definitiva era stata discussa per poco più d’un’ora. Hamid Karzai, ex-dirigente petroliero Unocal, era il preferito da Washington per l’incarico, e tentò ripetutamente di corto-circuitare le obiezioni di eccessiva concentrazione di potere presidenziale minacciando di non starci, nelle prime elezioni previste per il paese di lì a sei mesi, se non si faceva a modo suo.

Anche allora, alcune salvaguardie che erano nella bozza approvata dalla Loya Jirga erano scomparse già al momento della pubblicazione del documento. USA e GB fecero presto a strumentalizzare il loro alleato, costringendo all’adozione di una legge anti-narcotici (che ha effettivamente funzionato, allora) il giorno prima del giuramento del nuovo parlamento, per timore che i deputati facessero qualche sconveniente obiezione.

Durante gli anni di Karzai, l’Afghanistan è precipitato giù nell’indice mondiale di corruzione, dal 118° posto prima dell’invasione del 2001 al 175° quest’anno, su 179. Questa combinazione di corruzione e potere centralizzato si auto-amplifica, trasformando le elezioni in disperate gare tutto-o niente, che possono sfociare in violenze tra fazioni – ne sono esempi recenti il Kenya e l’Iraq. Ecco perché è contrario agli istinti di molti afghani attribuire tutto il potere a un solo centro, contrariamente ai principi consensuali dei processi decisionali tradizionali tipo jirga e shura.

Tali istinti erano manifesti nei risultati di un raro sondaggio d’opinione fra gli afghani, condotto dall’International Republican Institute nel maggio di quest’anno. Gran parte dei rapporti sulle loro indagini vertevano sull’appariscente caduta di sostegno a Karzai e sulle conseguenti implicazioni per le elezioni di quest’anno, ma c’è un interessante notiziola semisepolta nell’ultima pagina del comunicato stampa IRI: “68% degli intervistati credono che il governo dovrebbe riconciliarsi con i talebani, 14% no”.

Ciò che impedisce che questo avvenga è la guerra condotta dalle truppe internazionali. Una conferma viene dalle diverse spiegazioni date per l’incidente di Kamdish, ‘I talebani’ è un termine applicato a un gruppo di persone ben più eterogeneo e diffuso di quanto si riferisca comunemente, ma i comandanti in capo non sono in vena di compromessi al momento perché credono di star vincendo, e con valide ragioni: hanno recentemente preso l’effettivo controllo di buona parte di Kandahar, la cui caduta dall’Allenza del Nord sostenuta dagli USA sembrò confermare la rotta dei talebani nel lontano 2001.

Per la leadership centrale dei talebani, cacciare le truppe a guida USA dalla propria terra sarebbe una ragionevole definizione di vittoria. La determinazione di tali truppe a rimanere, perciò, sta rimandando la prospettiva di negoziati che portino a una riconciliazione come base per un processo politico inclusivo in sostituzione di quello di divisione rappresentato dall’elezione presidenziale e (ora) dal ballottaggio.

3. I popoli dei paesi occupanti sono disgustati dalla guerra e vogliono che le proprie truppe tornino in patria

Un raduno a Sydney per l’8° anniversario dell’invasione del 2001 ha avuto modo di ascoltare da Jim Casey, funzionario del FBEU (Fire Brigade Employees’ Union, sindacato dei Vigili del fuoco) quella che lui ha chiamato la “prospettiva di un pompiere”.

Per chi non lo sappia, i pompieri australiani sono molto rispettati in tutta la comunità per il loro coraggio e perizia nel salvaguardarci dagli incendi della boscaglia. Sono una combinazione di professionisti e volontari e non sarebbe azzardato considerarli australiani tipici. Ecco che cosa ebbe da dire Casey:

“Sono qui oggi da parte del FBEU che rappresenta i sindacalizzati del New South Wales, cioè di tutti i pompieri a tempo pieno retribuiti dello stato. Prima di tutto vorrei ringraziare la Stop The War Coalition per aver dato al mio sindacato l’opportunità di parlare in quest’occasione.

Il mio sindacato è contrario al continuo invio di truppe australiane in Afghanistan. Questa guerra è semplicemente sbagliata e il nostro coinvolgimento censurabile. Passerò brevemente in rassegna quelli che per me sono alcuni temi fondamentali:

Noi rappresentiamo l’opinione della maggioranza in merito. Nonostante la totale mancanza di dibattito pubblico sul nostro coinvolgimento in Afghanistan la maggioranza della gente di questo paese pensa che le truppe dovrebbero tornarsene a casa. Ma entrambi gli schieramenti della politica lo ignora. E’ nostra responsabilità farli ascoltare e agire.

Sono otto anni ormai; otto anni di spreco terribile, terribile. E alla fine non una delle ragioni addotte per l’invasione è stata rispettata. Vi ricordate di Bin Laden? Non l’hanno ancora trovato. Liberarsi dei talebani? Adesso hanno unità attive in oltre l’80% del paese – caso mai l’invasione li ha rafforzati. E portare la democrazia alle povere masse conculcate? Le elezioni di agosto sono state uno scherzo prodotto dalla corruzione. Gli stessi signori della guerra, gli stessi caporioni, gestiscono l’Afghanistan come sempre. Non c’è democrazia lì.

Il coinvolgimento USA è costato niente meno che 430 miliardi di dollari. E con quelli hanno efficacemente distrutto un paese.

Noi non dovremmo stare lì. La guerra è sbagliata, è ora che ce ne tiriamo fuori, e cominciare a investire qualche risorsa per ricostruire quel che abbiamo aiutato a distruggere.

Chiarirò adesso in un paio di punti perché il mio sindacato ha avallato specificamente quest’azione.

La FBEU ha una lunga e fiera storia di partecipazione al movimento per la pace, scolpita nelle nostre regole. Nei 99 anni dacché esiste ci sono molti esempi di pompieri levatisi contro la guerra.

Ma la pace travalica la FBEU, dovrebbe essere affare di ogni sindacato. Sono lavoratori e lavoratrici che combattono le guerre, ci muoiono, ne soffrono le conseguenze. Sono i contadini del Sud dell’Afghanistan, o i coscritti per motivi economici dei sobborghi poveri di Washington DC, che combattono questa guerra – non i politici e capi e signori della guerra che prendono le decisioni, e s’avvantaggiano del conflitto.

Per il movimento dei lavoratori non è solo appropriato prendere posizione su questa guerra, è nostra responsabilità farlo.

Ma per l’FBEU c’è un’altra ragione ancora più immediata. In tutte le zone di guerra al mondo si trovano uomini e donne che fanno il mio lavoro. Quando scoppiano le bombe, sono i pompieri a intervenire per primi per spegnere gli incendi, scavar fuori i sopravvissuti, e raccogliere i pezzi. E sono loro a morirci – da Kabul a New York, da Baghdad a Londra.

Quindi per noi essere qui oggi vuol dire solidarizzare non solo con i lavoratori in generale ma con i pompieri in particolare. A Kabul oggi ci sono quattro stazioni di pompieri e 13 camion antincendio in grado di funzionare. Questo per una città di quattro milioni. In tutto il paese hanno 53 camion funzionanti. Col che ci si aspetta che affrontino tutte le emergenze collegate al vivere dentro una guerra.

C’è un luogo in Afghanistan con una protezione decente dagli incendi: le basi militari. La questione della protezione antincendi è sintomatica di come gli invasori siano riusciti a ridurre lo stato afghano. Protezione antincendi, ospedali, scuole, strade – tutto a rotoli. Gli unici luoghi dove tali servizi sono disponibili sono gli accampamenti armati dove vivono i militari.

Concludo ora, ma ribadendo: rappresentiamo la maggioranza su questo punto. Però abbiamo chiaramente ancora parecchio lavoro da fare.

Dobbiamo riprendere l’argomento con coloro che hanno ancora illusioni sulla guerra. C’è una minoranza non trascurabile di pompieri con appunto tale posizione – è mio compito convincerli altrimenti. E tutti voi dovete tornarvene ai vostri posti di lavoro, le vostre comunità, riprendendo l’argomentazione sul bisogno di ritirare adesso le nostre truppe. Se siete membri di un sindacato, scoprite che cosa sta facendo la vostra organizzazione. Se la risposta è nulla, allora cominciate a organizzarvi. Non succederà nulla se non lo facciamo succedere noi.

Questo è quanto, per me. Grazie a voi tutti per l’ascolto. Termino dicendo: stanno proseguendo questa guerra terribile in nostro nome. E’ ora che la smettano.

4. Un sentiero per la pace

Ho parlato allo stesso raduno che Jim Casey e sono stato intervistato da una televisione locale. Fra quelli che hanno parlato e ho potuto ascoltare c’erano parecchi afghani. In seguito, uno di loro mi ha scritto individuando alcuni principi utili a concettualizzare un percorso verso la pace:

Egregio Sig. Lynch,

l’Associazione di Sostegno alla Comunità Afghana del New South Wales l’ha sentita ieri sera alla TV SBS parlare a una manifestazione di protesta antibellica a sostegno di “Fuori le Nostre Truppe dall’Afghanistan”. Il suo discorso e le sue idee per risposte risolutorie in Afghanistan hanno già ispirato molte migliaia di migranti afghano-australiani qui in Australia. La maggioranza dei quali, desiderando la pace, profila la soluzione afghana come segue:
1. Si dovrebbe annunciare una cornice di riferimento per il ritiro delle truppe straniere, col che tutti i combattenti avversari che continuano a combattere e reclutare la giovane generazione dell’Afghanistan smetterà di attaccare le truppe straniere e coopererà. Questo preparerebbe ai negoziati fra le parti coinvolte. Gli afghani accetteranno qualunque cosa equa ma mai la forza. La ragione per cui questa guerra ha cominciato a diventare davvero brutta è che il popolo afghano crede di essere stato ingannato dai suoi alleati prossimi come USA e Australia e Europa. Essi credevano che quando stavano combattendo contro l’Unione Sovietica  l’Occidente li stesse aiutando; e non si aspettavano che i loro amici li tradissero col pretesto della guerra al terrorismo.
2. Un governo ad interim o di transizione dovrà  lavorare imparzialmente entro limiti ben precisi di tempo per un’elezione generale.
3. Per coloro che si preoccupassero di chi debba assumere l’onere della sicurezza in Afghanistan: le forze di peace-keeping dovrebbero provenire da paesi islamici, non dall’Iran e dal Pakistan ma da Turchia, Malaysia, Indonesia ed Egitto; col compito di badare alla sicurezza dei seggi elettorali e dei civili.
4. Il nuovo governo dovrebbe essere riconosciuto da tutti i paesi ed aiutato. La nostra gente crede che al mondo ci siano ancora persone intelligenti e ringraziano Allah per le persone come lei che dicono la verità. La verità è sempre fonte d’ispirazione indipendentemente da chi la pronuncia. Preghiamo tutti per i suoi sforzi di riuscire a portare la pace non solo in Afghanistan ma anche in altre parti del mondo. Allah (nostro creatore) scelse tutti i suoi profeti per diffondere il messaggio di giustizia che si sottopone alla verità, il che reca la pace.

Cordialmente Mohammad Sharif Amin –
Funzionario di Pubbliche Relazioni del New South Wales a sostegno della Comunità Afghana


ANGLO AMERICAMILITARISMCENTRAL ASIACOMMENTARY ARCHIVES, 24 Oct 2009 Jake Lynch

Titolo originale: ARGUMENTS AGAINST THE WAR IN AFGHANISTAN: AND A PATHWAY TO PEACE

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

 

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