SPIRITUALITÀ E LAVORO SUI CONFLITTI – Johan Galtung
C’è un nesso importante: con un po’ di spiritualità il lavoro sui conflitti è molto più facile, che sia diretto al passato in quanto conciliazione dopo la violenza—e dopo aver trovato una soluzione— al presente come mediazione, o al futuro come peace-building, tessendo reti di pace positiva quale protezione da un’involuzione violenta dei conflitti. Un esempio: l’ubuntu ‘io sono in te e tu in me’ rende più facile la conciliazione. Ma che cos’è la spiritualità?
L’Occidente ha rifiutato la religione con l’illuminismo-modernità-secolarismo, e sta ora facendo l’esperienza di una qualche rinascita della religione. La spiritualità viene allora introdotta come concetto sovrastante, edificato su elementi presenti in gran parte delle religioni e su valori secolari. La spiritualità è una risposta non-dogmatica alla ricerca religiosa che connette quello qui dentro, in noi, con quello là fuori, il tat tvam asi (tu sei quello, ndT). Ma come sono, in che cosa consistono l’epistemologia, l’ontologia, e l’etica sue proprie? Come pensiamo all’esistenza da un’angolazione spirituale, come emerge e cresce, e quali norme di comportamento ispira la spiritualità?
La prima componente, epistemologica, della spiritualità è l’assioma che c’è qualcosa al di là degli individui. L’umanità è più che un insieme di umani. Ma che cosa? Ecco due risposte ovvie:
sì, c’è una struttura, la somma totale delle relazioni umane, passate, presenti e future create dagli umani, che sopravvive agli individui;
sì, c’è una cultura, la somma totale delle cognizioni ed emozioni individuali e collettive vissute dagli umani, che sopravvive agli individui.
La struttura costituita dalle famose reti (relazioni) dell’indo-catalano Raimundo Panikkar rispetto ai nodi (individui), infuse di contenuto culturale. La realtà è data da entrambe, ma la spiritualità sottolinea la rete oltre gli individui, prestando attenzione a qualunque cosa contribuisca all’unità degli umani, addirittura della vita, rifiutando l’idea di umani come monadi reciprocamente isolate. Siamo in noi stessi e nelle nostre relazioni verso gli altri. Nessuna relazione è del tutto equivalente alla morte sociale.
Concepiamo allora l’umanità olisticamente, come un holon, intersecato da contraddizioni, in altre parole dialetticamente. Non importa che “olistico” sia anche un termine New Age, e “dialettico” un termine marxista: possono ben aver consistenza anch’essi. Si combinano nel profondo realismo del taoismo; una filosofia di vita, e un’ epistemologia.
La seconda componente, ontologica, della spiritualità è la capacità dello spirito umano di trascendere l’immediatezza delle impressioni sensoriali. Sappiamo collegare gli eventi in regolarità, “leggi”, ma anche trascendere, andare oltre, creando nuove realtà. I matematici sanno creare nuove realtà matematiche che possono risolvere problemi insolubili; uno scienziato, un ingegnere, un architetto possono creare nuove realtà adeguate a nuove modalità di vita; un Picasso sa creare nuove visioni sulla tela; gli umani innamorati possono fare esperienza di un’unione di corpi, menti e spiriti, figuriamoci allora l’unione di tali unioni, ben al di là di qualunque singola parte.
E il lavoro sui conflitti può avvalersene: andare oltre, trascendere, creare una nuova realtà che accolga fini legittimi perseguiti dalle singole parti, come le donne dedite ad attività di cura hanno fatto in famiglia per generazioni; gli uomini meno. Non sorprende che matematici e scienziati, ingegneri, architetti, artisti, donne accudenti, innamorati, nonché politici, uomini d’affari e religiosi dotati, siano particolarmente bravi nel lavoro sui conflitti; meno invece le menti umane distrutte dal dogma positivista della non-trascendenza.
La terza componente, etica, della spiritualità consegue dalle prime due. Se siamo parti di ciascun altro essendo parte di qualcosa oltre noi, allora siamo destinati alla convivialità, la kyosei giapponese. A un livello inferiore possiamo venire guidati dalla cultura dell’Io della Regola Aurea, (non) fare ad altri quello che (non) vorremmo che essi facessero a noi. A un livello superiore vi aggiungeremmo la cultura del Noi del soffrire taoista la sofferenza altrui e godere delle altrui gioie. Ne consegue equità: l’iniquità flagrante è incompatibile con tutte e due.
Nelle letture dure delle religioni abramitiche, Quello là fuori è Yahweh-Dio-Alla’h, onnipotente, onnipresente, onnisciente. La trascendenza è nella salvezza trascendentale mediante la fede e/o le opere (nell’ebraismo realizzando Sion-Israele, qui sulla terra). E l’etica è come i Dieci Comandamenti per il cristianesimo, di cui 8 sono negativi, vietanti atti di commissione, non d’omissione.
Una dieta spirituale scarna, che correla gli umani indirettamente mediante la loro relazione al Padre lassù, senza trascendenza sulla terra guidata da approcci essenzialmente negativi alla convivialità.
Né il secolarismo libertario fa di meglio. Dio è morto, diceva Nietzsche (Nietzsche è morto, Dio si è rivalso); ma l’onnipotenza è sopravvissuta nello Stato, l’onnipresenza nel Capitale-Mercato, e l’onniscienza nella Scienza: i tre pilastri della modernità. Il Padre è divenuto l’état gendarme-provident, anche in quanto regione, Impero; lo Spirito Santo è divenuto Diritti Umani e Democrazia, e il Figlio la discendenza di quanto sopra. Di nuovo una dieta scarna. Stato-capitale-scienza trascendono gli individui, ma possono diventare fascismo, capitalismo cieco e razionalità cieca. I diritti umani correlano gli individui allo stato, non gli uni agli altri.
Il secolarismo marxista non ha fatto di meglio, introducendo la Storia (con la S maiuscola) al posto che era di Dio, la Rivoluzione dell’infrastruttura come trascendenza, e una nuova ma ignota sovrastruttura con un’etica cogente per l’Essere Umano Nuovo.
Il buddhismo se la cava meglio come base spirituale che il duro cristianesimo e i suoi successori secolari: non c’è un Dio, un paradiso, un inferno, un’anima individuale immortale. Ma c’è quella rete, e la rinascita mediante le scintille d’ispirazione donate ad altri perché se ne arricchiscano e le trasmettano a loro volta. E l’etica del ridurre la sofferenza, dukkha, e dell’accrescere la realizzazione, sukha.
Il potere mondiale si sposta ora da un Occidente povero di spiritualità a un Oriente più ricco. Il che dà speranza per il lavoro sui conflitti. E per la pace.
14.09.09
Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis
Titolo originale: SPIRITUALITY AND CONFLICT WORK
http://www.transcend.org/tms/article_detail.php?article_id=1746