È in parte colpa dell’Australia l’illegalità d’Israele?

Jake Lynch

Solo alcuni giorni dopo che la Vice Primo Ministro, Julia Gillard, fu salutata in Israele e ringraziata per essere stata “la sola a rimanere con noi” durante l’Operazione Piombo Fuso, l’attacco di dicembre e gennaio alla Striscia di Gaza, lo stato ebraico ha aggiunto la pirateria alla lista di crimini recenti contro il diritto internazionale. I due sviluppi sono collegati, e non solo per coincidenza temporale.

Israele ha inviato sei navi militari a catturare una nave, la Spirit of Humanity, in navigazione da Cipro con scorte di soccorso per la gente di Gaza, e ha arrestato – anzi, rapito – 21 persone a bordo, compresa la premio Nobel Mairead Corrigan Maguire. Dopo una settimana di detenzione, sono stati rilasciati e deportati.

La Spirit non entrò mai nelle acque israeliane, pertanto l’azione di Israele potrebbe essere considerata  pirateria secondo la definizione dell’International Maritime Bureau:

“L’atto di abbordare qualunque vascello con l’intento di commettere furto o qualunque altro delitto, e con l’intento o la capacità di usare la forza nel favorire tale atto”. Costituisce almeno un’infrazione della Convenzione ONU sulla Legge del Mare, che riserva i mari aperti a “scopi pacifici”.

Le tre tonnellate di carico della Spirit comprendevano provviste mediche e di ricostruzione e giocattoli per bambini. Poiché il battello batteva la bandiera della Grecia, quest’ultima ne ha chiesto la restituzione, al che Israele ha risposto dicendo che alcune delle merci a bordo possono essere inoltrate alla gente di Gaza a cui erano destinate, “previa autorizzazione di sicurezza”. Per ora, le sta trattenendo a forza dai legittimi proprietari.

Il giurista internazionale Richard Falk, che è stato relatore ONU sui Diritti Civili per i territori palestinesi occupati, fa notare che ciò costituisce violazione in essere e protratta del Diritto Internazionale. Il battello fece vela in risposta al blocco di Gaza da parte di Israele che, dice Falk, contravviene all’Articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra, che proibisce qualunque forma di punizione collettiva di un popolo occupato.

Uno studio delle trascrizioni dei discorsi e delle interviste della signora Gillard nel suo recente viaggio in Israele e a Ramallah, rivela che la parola “Gaza” non le è mai uscita dalle labbra. Sfidata da un reporter a dire se ritenesse il trattamento dei palestinesi da parte di Israele “equo e giusto”, ha evitato la domanda ripiegando su frasi fatte: “Siamo preoccupati per la situazione umanitaria del popolo palestinese”.

Questo equivale a connivenza con quanto il compianto politologo israeliano Baruch Kimmerling chiamava “politicidio”: il desiderio d’Israele di far dimenticare al mondo esterno le aspirazioni politiche dei palestinesi all’auto-determinazione, e considerare la loro lotta in termini puramente umanitari.

La scelta di non-menzionare-Gaza da parte della Gillard pone l’Australia nel campo israeliano più d’ogni altro paese, compresi gli Stati Uniti. Cynthia McKinney, ex-deputata USA che era sul battello, fa notare che il presidente Barack Obama ha definito “ingiusto” il blocco” sollecitandone la rimozione, sicché lei, come cittadina americana, cercava di eseguirne gli auspici.

L’Unione Europea ha reagito all’operazione “piombo fuso” sospendendo i progetti di intensificare le proprie relazioni commerciali con Israele, e perfino l’ASEAN, con la Dichiarazione dei Capi del suo 14° vertice, ha identificato l’attacco di Israele come la causa di una crisi umanitaria, appellandosi a una tregua immediata.

Gillard, presente per conto del Primo Ministro a Capodanno, caratterizzò l’ aggressione come nulla di più che l’esercizio di Israele del suo “diritto a difendersi” da Hamas e a chi poneva domande, rispose che Hamas avrebbe prima dovuto “rinunciare alla violenza” se voleva qualificarsi come partner in qualunque processo di pace sponsorizzato dal “quartetto” ONU, UE, USA e Russia.

I razzi costruiti in proprio lanciati da miliziani di Hamas su Israele erano armi indiscriminate e la ventina di morti causate in vari anni sono crimini di guerra, ma tutti gli osservatori indipendenti hanno fatto notare l’ovvietà – cioè che questo impallidisce fino all’insignificanza di fronte all’impatto dell’armamento ad alta tecnologia di Israele, costato ben 1300 vite umane, prevalentemente di civili fra cui 400 bambini, e migliaia di feriti. Quindi da parte australiana nessuna clausola di rinuncia alla violenza anche da parte di Israele come pre-condizione per far sentire le proprie ragioni al tavolo di vertice.

Israele è consapevole di agire nell’ambito consentitogli dal contesto politico internazionale: fa quello che vuole poiché crede di potere cavarsela. L’inattesa fermezza della Casa Bianca sulla costruzione delle colonie aveva ristretto il suo spazio di manovra. Gillard si espresse verbalmente per un congelamento delle colonie e una soluzione a due stati, ma la sua visita come capo di una grossa delegazione, la sua condotta e soprattutto il suo rifiuto di condannare l’illegalità israeliana o di richiederne la cessazione complessiva hanno contribuito, nel loro insieme, a mandare il segnale contrario.

Migliaia di persone le cui case sono state distrutte da Israele sono ancora senza tetto, dice il Comitato Internazionale della Croce Rossa, perché Israele si rifiuta di far entrare cemento e altro materiale da costruzione nella Striscia di Gaza. La relazione evidenzia anche che gli ospedali fanno fatica a far fronte ai bisogni dei pazienti a causa della distruzione delle provviste mediche da parte di Israele.

È appunto la situazione alla quale i passeggeri e l’equipaggio del battello catturato illegalmente cercavano di rimediare. Hanno promesso di mandarne altri. Israele deve lasciarli passare, e l’ Australia deve dirlo.


COMMENTARY ARCHIVES, 12 Jul 2009 Jake Lynch

Titolo originale: IS AUSTRALIA PARTLY TO BLAME FOR ISRAELI LAWLESSNESS?

Traduzione italiana a cura di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis