ANCORA SUL BOICOTTAGGIO DI ISRAELE – Jake Lynch

Sono arrivate repliche a frotte al mio articolo della scorsa settimana (Perché mi associo al boicottaggio d’Israele), tutte costruttive meno un paio. Alcune hanno sollevato questioni e contrappunti importanti, degni di seria considerazione.

Forse la preoccupazione principale è stata riguardo all’effetto che il boicottaggio può avere sulle relazioni che costituiscono un’indispensabile materia prima per ogni sforzo di costruire una pace. E suggerisce un altro sforzo per definire che cosa s’intende per boicottaggio istituzionale, rispetto a uno che influisca sui contatti individuali. L’accademia è un’industria, con tre correnti d’attività principali a scopo di lucro: insegnamento, ricerca e consulenza.

Sono attualmente associato ad altri colleghi nel Dipartimento Media e Comunicazione qui all’Università di Sydney, e alla Scuola di Studi Orientali e Africani dell’Università di Londra, per creare un nuovo programma di specializzazione interdisciplinare post-laurea. Il progetto è concepito come modo per arrivare a dar peso a prospettive stimolanti in tematiche trattate dai media globali, e creare opportunità di intrattenervisi con studenti a livello mondiale. E’ intellettualmente eccitante, ma – non si riesce a evitarlo – c’è pure un’implicazione affaristica, poiché ha buone probabilità di attrarre un bel numero di studenti paganti. Ecco perché evolvere da un’idea attraente a una proposta realistica da fare ai dirigenti universitari.

Se dovessimo imbarcarci in un tale progetto con un’università israeliana, contribuiremmo a fare affluire reddito a un settore strategico. Ed è perciò qualcosa che possiamo anche evitare. L’argomento per un boicottaggio è che decidiamo di farlo fintanto che Israele rifiuta di osservare il diritto internazionale, che specificamente comprende, nel suo caso, le norme umanitarie della Quarta Convenzione di Ginevra – accettate da Israele e confermate applicabili specificamente ai palestinesi dei Territori Occupati – e i Protocolli Aggiuntivi del 1977 alle Convenzioni di Ginevra, accettati dalla vasta maggioranza della comunità internazionale, con Israele fra le eccezioni. Sarebbe anche compresa l’inammissibilità di territorio acquisito con la forza, inclusa Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza: l’occupazione, ora combinata con la terra palestinese ghermita per il cosiddetto muro di sicurezza di Israele.

Se possiamo impedire tale vantaggio, riusciamo ad aumentare il costo per Israele della sua scelta di reagire al conflitto con i palestinesi con il ricorso alla violenza, preferendola al dialogo e al negoziato per fornire giustizia su ogni lato. In tal senso, il boicottaggio accademico è una componente di un movimento più vasto in rapida crescita per Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, riguardante una gamma completa di beni e servizi. Se io, da accademico, desidero sostenere questo, spetta soprattutto a me stabilire che cosa dovrei fare nel mio settore.

Israele naturalmente non è il solo a violare il diritto internazionale. Nell’altro recente caso importante, le stime ONU valutano in ben 20.000 civili tamil appena uccisi dall’esercito dello Sri Lanka nel suo impeto finale contro le Tigri del movimento di Liberazione del Tamil Eelam. In tale contesto, c’è un bisogno altrettanto urgente di enfatizzare l’importanza della protezione umanitaria. Non dovremmo lasciar perdere la pressione per un’indagine imparziale adeguata sui presunti crimini di guerra, o l’appello per un’organizzazione umanitaria internazionale, gruppi di osservatori e giornalisti con effettivo libero accesso alla zona di conflitto.

Tuttavia le tattiche devono essere diverse. L’appello di Hillary Clinton a sospendere gli aiuti finanziari per lo sviluppo al paese da parte del Fondo Monetario Internazionale sarebbe un buon inizio. Sto facendo circolare un appello per la tournée di cricket dello Sri Lanka in Australia, programmata per il 2010-2011, affinché sia cancellata. Analogamente non ci andrei in vacanza, né berrei del tè dello Sri Lanka. Che sono in questo caso i settori strategici.

Sarebbe fattibile, in altre circostanze, lanciare un programma di laurea congiunto con un’università israeliana, posto che i locali istituti di istruzione superiore vantano una perizia di classe mondiale. Lo stesso non vale per lo Sri Lanka. Nella mia lettera alle autorità dell’Università di Sydney in cui chiedo che siano cancellati i legami istituzionali con Israele, includo l’espressione seguente: la responsabilità generale di agire viene specificata dall’occasione di farlo efficacemente.

Relazioni

Un’influente figura nel nostro programma accademico al CPACS è l’eminente ricercatore per la pace e operatore sul campo, John Paul Lederach, con la sua enfasi sulla mobilitazione delle risorse culturali per coltivare elettorati per la pace. E’ un approccio che dipende dalla costruzione di relazioni e, ovviamente, persone in conflitto già desiderose di pace hanno bisogno di essere aiutate, e la loro influenza diffusa, da qualunque estraneo che voglia lavorarvi costruttivamente. Tali risorse sono sempre disponibili, se effettivamente le cerchiamo, come sostiene Lederach argues in un suo libro, Building Peace: Sustainable Reconciliation in Divided Societies (Costruire la pace: Riconciliazione sostenibile in società divise):

“Non ho sperimentato alcuna situazione di conflitto, per quanto protratta o grave, daIl’America centrale alle Filippine al Corno d’Africa, dove non ci fossero persone con una visione per la pace, sovente emergente dalla propria stessa sofferenza. Ma troppo spesso queste stesse persone vengono trascurate e private di potere, o perché non rappresentano il potere “ufficiale” da parte del governo o delle varie milizie, o perché ostracizzati in quanto prevenuti e troppo personalmente toccati dal conflitto”.

Ovviamente io non voglio trascurare o rendere impotente chicchessia con una visione per la pace, su un versante o l’altro del conflitto Israele-Palestina, e questa è forse l’essenza di obiezioni come quella di Sara Horowitz, professor alla Università di Buenos Aires, che dice: “Temo che il boicottaggio che lei ora propone isolerà solo gli operatori di pace, non dando modo alle voci di pace d’Israele di farsi sentire. Capisco che bisogna fare qualcosa, ma l’isolamento sembra essere un problema più grosso per gli operatori di pace, che perderanno spazi dove poter farsi sentire”.

E’ importante continuare a creare tali spazi. Mesi fa ne ho creato uno iinvitando all’Università di Sydney un accademico israeliano, il professor emerito Jeff Halper, che era in visita in Australia come rappresentante del Comitato Israeliano contro la Demolizione di Case in un viaggio organizzato da un gruppo militante locale, il Comitato per Giustizia e Pace in Palestina. Il punto è che il settore accademico israeliano non si avvantaggiò da tale viaggio in alcun modo, mentre invece noi sì sicuramente, per le prospettive che egli recò, e la verve ed eloquenza sia dei suoi discorsi sia dei suoi scritti accentuarono parecchio il livello di pubblico dibattito qui.

In un importante articolo per «The Nation», Naomi Klein descrisse il suo dilemma riguardo ai diritti israeliani sul suo libro The Shock Doctrine. Fino ad allora aveva lavorato con un editore commerciale, Babel, ma voleva osservare il boicottaggio e così avvicinò invece un piccolo editore estremista, Andalus, che, come dice, “è un attivista della carta stampata, profondamente coinvolto nel movimento anti-occupazione e il solo editore israeliano dedito esclusivamente alla traduzione in ebraico di scritti arabi. Abbiamo stilato un contratto che garantisce tutti i proventi all’opera di Andalus e nulla a me: boicotto l’economia israeliana ma non gli israeliani”.

Ecco la sfida anche per noi. Ho molto apprezzato lavorare con accademici israeliani e ho imparato molto da loro nella mia ricerca sul giornalismo di pace. Sono tutti attivisti per la pace e fanno anch’essi ogni sforzo per coinvolgere colleghi palestinesi nel lavoro che facciamo. Abbiamo collaborato a progetti di ricerca sponsorizzati dall’Istituto Toda Institute per la Ricerca sulla Pace e la Politica Globale, istituita – ma ne è indipendente – dal movimento buddhista Soka Gakkai in Giappone.

Toda si sta preparando per un convegno, che si svolgerà a Sydney l’anno prossimo, uno dei cui temi, sui quali sono disponibili ad accettare proposte, è il giornalismo di pace. Sarei ben lieto far parte di un gruppo con i miei colleghi israeliani e altri, per chiedere a Toda fondi per sostenere un progetto di giornalismo di pace al convegno, che porti a una collaborazione per pubblicare una ricerca. Ma non farei richiesta congiunta, mediante i rispettivi Uffici Ricerche dell’Università di Sydney e di qualunque università israeliana, di dotazioni da amministrarsi mediante strutture finanziarie universitarie.

Omar Barghouti e Lisa Taraki, fondatori di PACBI, la Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale d’Israele, dicono: “Il fatto che deviamo dalla nostra rotta per escludere dalle azioni citate contro istituzioni israeliane qualunque accademic oe intellettuale israeliano coscienzioso contrario alle politiche coloniali e razziste del proprio stato consegue dal nostro renderci conto di una persistente area grigia in cui un accademico può essere ritenuto rappresentante di se stesso/a piuttosto che della sua istituzione” (da Academic Boycott and the Israeli Left, di Omar Barghouti e Lisa Taraki, Electronic Intifada, 15 aprile 2005).

Nel mio appello al vice-rettore e al senato accademico dell’Università di Sydney chiedo la cancellazione degli accordi istituzionali con l’Università Ebraica di Gerusalemme e la Technion di Haifa, che si esplicano in scambi di studenti e personale – una bella cosa in sé ma, essendo finanziati  mediante strutture finanziarie universitarie contribuiscono ai proventi del settore accademico israeliano, il che dovrebbe appunto essere precluso per ora. Questa è la proposta sostenuta anche dagli altri firmatari della mia lettera, fra cui vari colleghi anziani e il Consiglio del Centro Studi e Ricerche su Pace e Conflitto.

Solidarietà

Soprattutto, l’appello al boicottaggio accademico è un’espresione di solidarietà verso gli accademici palestinesi, Omar Barghouti, Lisa Taraki e colleghi, che stanno tentando di condurre una lotta nonviolenta contro l’oppressione. Jonathan Freedland, influente commentatore del Guardian di Londra, ha notato che il Presidente Barack Obama, nel suo discorso al Cairo, ha usato termini che “risuonano nel discorso musulmano”, particolarmente i suoi riferimenti alla “dignità” e alla “giustizia”. Secondo la prospettiva di Lederach, affinché questo conflitto si trasformi ci vorrà riconciliazione, e la riconciliazione è impossibile senza giustizia.

La giustizia può assumere varie forme, e dev’essere negoziata fra i coinvolti più prossimi. Un tema persistente nelle mie conversazioni con attivisti palestinesi per la pace – accademici e altri – è che Israele sia considerato in qualche modo da “tenere a bada”, per far cessare l’impunità sulle sistematiche violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani che caratterizzano le sue politiche verso i palestinesi. Questo, secondo la loro concezione, sarà un indispensabile mattone di giustizia, comunque e quandunque ci si arrivi. E’ vitale anche perché l’impunità non è semplicemente una negazione della giustizia in senso stretto, ma incentiva futura violenza: ‘L’abbiamo fatta franca la volta scorsa, perché non rifarlo?’

Stanno emergendo piccoli segni che il movimento di boicottaggio sta già iniziando ad esercitare il suo effetto d’imbrigliamento. Il mese scorso, il convegno annuale di AIPAC, American-Israeli Public Affairs Committee – la più grossa lobby pro-israeliana a Washington – ha sentito dal suo direttore esecutivo Howard Kohr del danno potenziale agli interessi d’Israele per il venir meno del sostegno da parte dell’opinione pubblica globale. Val la pena citarlo per intero:

“Sapete, abbiamo sentito tutti molte volte Israele venire accusato di essere un avamposto occidentale in Medio Oriente. A chi fa tale accusa dico: avete ragione. Israele è il solo paese democratico nella regione che guardi a Ovest, ai valori  e alla visione che condividiamo di ciò cui il nostro paese dovrebbe mirare e aspirare. Se tali fondamenta di valori condivisi vengono scosse, viene spazzato via il fondamento logico delle politiche che perseguiamo oggi. Le ragioni per cui gli Stati Uniti continuerebbero a investire quasi 3 miliardi di $ nella sicurezza d’Israele; la disponibilità a schierarsi con Israele, anche da soli se serve; la mancanza d’esitazione nel difendere la stessa esistenza d’Israele, sono tutte insidiate e anzi disfatte se Israele viene considerato ingiusto e indegno”.

Il movimento di boicottaggio ha aperto una linea di ragionamento – o, comunque, l’ha aperta ulteriormente: che Israele muti le sue politiche ingiuste e indegne è nel suo stesso interesse. AIPAC può vederla diversamente, ed effettivamente, direi che il molto apprezzato investimento USA nella “sicurezza” d’Israele è parte del problema non della soluzione: ma c’è una percezione d’influenza, e realtà politiche possono venire riconfigurate attorno a tale percezione, specie quando, come continuava Kohr, “essa [penetra] il paesaggio abituale: un comune discorso politico alla TV o alla radio; sulle pagine dei nostri principali giornali e innumerevoli blog, nelle sedute municipali, nei campus universitari e per le piazze delle città”.
L’autrice Judith Hand, che pubblica una regolare newsletter, A Future Without War (http://www.afuturewithoutwar.org) considera il conflitto Israele-Palestina “uno di forse quattro o cinque grandi punti cardinali di una campagna di trasformazione del futuro con mezzi nonviolenti (dove punti cardinali corrispondono alla marcia del sale di Gandhi o al movimento di boicotaggio degli autobus di Martin Luther King)”. Obama è già stato criticato per aver equiparato la lotta palestinese a quella per i diritti civili negli USA, ma il boicottaggio accademico è un piccolo contributo a un tentativo di realizzare un cambiamento pacifico, attingendo alle stesse intuizioni e tradizioni essenziali.

08.06.2009
Traduzione italiana a cura di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis
Titolo originale: MORE ON BOYCOTT OF ISRAEL
http://www.transcend.org/tms/article_detail.php?article_id=1354