Lanza, poeta, filosofo e nonviolento: due saggi – Recensioni di Loredana Arcidiacono e Dario Cambiano

“Eccolo davanti ai miei occhi, colui che solo nel deserto di questo secolo ha mostrato un’oasi di verde, offerto una sorgente agli assetati di giustizia. Eccolo colui che conosce la dura legge dell’amore”
Questi i pensieri di Lanza del Vasto, la prima volta che si trovò davanti al Mahatma.
Unico discepolo occidentale di Gandhi, Lanza del Vasto aprì la via del pellegrinaggio verso l’India rivolgendo la sua attenzione alla nonviolenza. Insieme ad Aldo Capitini fu uno dei primi in Italia a cogliere l’importanza del pensiero gandhiano e a diffonderlo nel mondo occidentale degli anni ’30.
La vita di quest’uomo potrebbe, come ogni vita, essere raccontata seguendo il filo degli incontri più importanti. Cercheremo invece di farlo leggendo la raccolta degli atti di un convegno tenutosi a Pisa il 26 e 27 gennaio 2007 e pubblicati dalla Jaca Book a marzo 2009 in prima edizione italiana con il titolo “La filosofia di Lanza del Vasto. Un ponte tra Occidente ed Oriente”.
Nel corso di queste due giornate quasi venti studiosi hanno esaminato i pilastri del poliedrico pensiero filosofico e teologico di Lanza.
E’ una figura affascinante ed eclettica quella che affiora; già conosciuto come artista e maestro di nonviolenza ma ancora poco come filosofo, Lanza del Vasto certamente non era un sistematico. Ne è un esempio il linguaggio impressionistico e suggestivo usato nella tesi di laurea. Fabris ne descrive, oltre ai contenuti, anche le vicissitudini; dal significativo incontro tra Lanza e un compagno di studi che gli ispirerà il tema, fino alla difficile discussione, abilmente mediata dal rettore dell’ateneo pisano Armando Carlini.
Sicuramente, leggendo questi saggi, ciò che emerge è la sua costante e infaticabile ricerca della verità. Tutte le arti che ha praticato né sono state un mezzo. Prima che essere uno scrittore (saggi, poesia, teatro, romanzo), prima di essere un’artista (si è dedicato al canto, alla musica, al disegno, all’incisione), Lanza fu un uomo in cammino, come ha sottolineato Butturini e il suo cammino fra le arti fu un vero e proprio processo educativo al centro del quale vi è l’incontro con Gandhi. Manara ne ricostruisce il processo di preparazione, simile al lento lievitare di una pasta.
Lanza del Vasto desiderava trovare una giustizia che non schiacciasse la persona umana e questo avvocato indiano sembrava poter dare le risposte a tutte le domande che da tempo lo angustiavano. Cruciale è stato l’avvicinarsi della seconda guerra mondiale, come ha evidenziato Vermorel, al quale Lanza andava incontro, con tutti i travagli e gli interrogativi che si portava dietro.
Durante questo pellegrinaggio in India e grazie al suo spirito ricettivo, come ha messo in luce Trianni, Lanza del Vasto apprenderà gli insegnamenti di Gandhi, sottoponendo alla nonviolenza ogni sua idea così da saggiare la bontà nella verifica esperienziale. Tornato in Europa fonda delle comunità sul modello gandhiano; questo non gli ha però impedito di restare fedele alle sue radici occidentali e cristiane e, in particolare di vedere nella concezione trinitaria e dunque relazionale della divinità, non solo un vertice intrascendibile del pensiero religioso, ma un autentico modello per affrontare le antinomie e i conflitti presenti nella storia degli uomini. Di fatto la nonviolenza non è solo una pratica di conciliazione degli opposti ma anche una nozione di vita interiore, un principio unico capace di corrispondere a tradizioni di pensiero differenti che trova riscontro in tutte le religioni. “Ciò che dobbiamo raggiungere risiede oltre i nomi e le distinzioni”
Tanzarella ha preso in esame gli elementi del cristianesimo che sono stati fonte, implicita o esplicita della spiritualità di Lanza del Vasto.
Molti relatori hanno sottolineato il sistema di relazioni trinitarie sul quale Lanza del Vasto ha fondato tutta  la sua vita; Salmeri paragonandola al rapporto fede-ragione tipico di Agostino; Vigne, utilizzando materiali ancora inediti, ne analizza il rapporto con Hegel, il filosofo a cui  più di tutti si è avvicinato; Bertini individua le tre scuole più appropriate al confronto; Platone, Plotino ed Hegel  ed è come trovarsi di fronte a un gioco di triangoli e di piramidi, agli equilibri di una bilancia, a un sistema di cui tutto l’ordine del mondo sale e converge in Dio, relazione assoluta.
Drago sceglie una via diversa; analizza i testi  e l’uso delle “frasi doppiamente negate” e della loro importanza logica partendo dalla riflessione sulla termine nonviolenza, parola doppiamente negata anch’essa. Del resto, filosofia e nonviolenza sono nati in Lanza del Vasto dalla stessa esigenza:  congiungere i diversi,  a volte opposti, rami. Del sapere nel caso della filosofia e nelle esigenze che normalmente si presentano come opposte di giustizia e amore nella nonviolenza, come sottolineato dal contributo di Cozzo.
“E se leggendo queste pagine è il vostro proprio pensiero che vi sembra di seguire, se è attraverso la vostra voce interiore che questo libro vi parla, se non soltanto capite queste cose ma le rinascete come storie e tuttavia ne siete colpiti come da una cosa completamente nuova, se non soltanto vi danno il sentimento della novità ma in più quello di esserne egli stesso rinnovato, allora il segno è presente ed è un appello”
Come dice Nanni Salio, “la strada è aperta e altri pellegrini dovranno mettersi in cammino”

Loredana Arcidiacono

“Lanza del Vasto, pellegrino della nonviolenza, patriarca, poeta” di Anne Foùgere e Claude Henri Rocquet, Edizioni Paoline, Milano, 2006. Edizione originale francese del 2003. Traduzione di Laura Passerone

Quando una biografia diventa agiografia, è ancora utile strumento di documentazione? A mio modesto parere no. Il libro che mi trovo davanti è stato scritto da due discepoli di Lanza del Vasto. Non c’è pagina che non trabocchi di esaltazione. Non c’è capoverso che non esalti le doti, le potenzialità, i talenti del filosofo italiano vissuto in Francia. In questo libro non si annota una sola critica, un solo episodio controverso, un solo screzio che veli la purezza cristallina della vita del pensatore e “patriarca”, (Lanza del Vasto fondò le comunità dell’Arca, centri di preghiera e diffusione degli ideali della nonviolenza e del cristianesimo). Tutta la sua vita sembra, nella descrizione dei due autori, vissuta dal poeta filosofo senza alcuna incertezza, senza alcuna debolezza: dal che ne emerge purtroppo una figura perfetta, maestosa, ieratica.
Dico purtroppo perché il risultato è stato, almeno per me, di rendere antipatica la figura del grande pensatore. Questa sorta di lunga litania Mariana (mi ha ricordato più volte quel che capita recitarsi in margine al rosario, “turris eburnea, rosa mistica, rifugium peccatorum”…) ha l’effetto di infastidire per la totale mancanza di “umanità”, se per umanità si intende la quotidiana imperfezione che noi mortali viviamo (e qui qualche illuminato potrebbe censurare le mie dissertazioni con un bel “parla per te!”).
Lanza fu uno dei primi europei a portare in Occidente la cultura della nonviolenza; uomo poliedrico ed esuberante, poeta, attivista politico, filosofo e teologo. Praticò la nonviolenza dopo aver conosciuto personalmente Gandhi e aver vissuto con lui tre mesi. Si impegnò in battaglie politiche contro le torture in Algeria (ricordiamo che Lanza visse la maggior parte della sua vita in Francia, e si confrontò con la politica di quel paese, principalmente); il suo strumento preferito fu il digiuno.
I due autori illustrano si la vita del grande carismatico, e probabilmente nella maggior parte dei casi riportano fedelmente le sue idee; ma il linguaggio è esaltato e lascia costantemente il sospetto di una scrittura partigiana, quando non addirittura eccessiva, come a pagina 167, dove lasciano la biografia per inoltrarsi nel vischioso spazio delle opinioni personali: dicono della nonviolenza gandhiana che “il sacrificio ostentato di sé può nascondere un amore sospetto per la sofferenza e il desiderio oscuro di trasformare l’avversario in boia, in colpevole”… chissà cosa avrebbe detto Lanza del Vasto di questi due suoi fedeli, forse troppo fedeli, seguaci.
A me ha fatto venir voglia di leggere, su Lanza, qualcosa di più sobrio. Peccato, perché Lanza del Vasto è figura che non va dimenticata. Ma ogni santificazione allontana dalla conoscenza profonda dell’uomo che era.

Dario Cambiano