Intervista a Johan GALTUNG sulla guerra nello SRI LANKA – Namini Wijedasa

NW – Il regime di Rajapaksa ha usato l’attacco all’ambasciata dello Sri Lanka a Oslo per porre fine ufficialmente il ruolo di facilitatore della Norvegia nel processo di pace. Hanssen Bauer ha risposto mediante notiziari che la mediazione era finita parecchio tempo fa. Cosa pensa di questa situazione?
JG – Non sono del tutto certo che ci sia mai stata una mediazione nel senso di effettiva ricerca di soluzioni, esiti pacifici sia accettabili sia sostenibili. Colloqui per cessate il fuoco sì, ma non soluzioni. La linea generale norvegese sembra essere di non tirar fuori proposte, probabilmente per timore che non vengano accettate, e che allora la Norvegia venga vista come perdente. O magari per debolezza di idee su possibili soluzioni, mentre si sentono forti sulle modalità tecniche di una tregua. I colloqui sull’”assetto finale” devono sempre venire dopo, e intanto avvengono di solito cose molto distruttive che rendono impossibili proprio i colloqui sull’”assetto finale”. Quel “dopo” non arriva mai.
Personalmente credo che il loro approccio sia sbagliato. Poche cose sono così importanti come le immagini di quale potrebbe essere una situazione futura, purché ci si sia impegnati con un bel po’ di sano lavoro. E la si può sempre chiamare in modo tentativo: “si potrebbe ipotizzare in termini di”, ecc. Lo scopo principale con cui iniziare è la stimolazione del dibattito. Per come sono andate le cose, la proposta LTTE di secessione e indipendenza, e la proposta di status quo governativa con qualche mini-modifica definivano già da sole il tipo di discussione.
NW – Riguardo all’attacco e al fatto che non siano stati operati arresti benché sia stato reso disponibile alle autorità di Oslo un filmato di una televisione a circuito chiuso, questo si deve al fatto che la disobbedienza civile è di solito tollerata in Norvegia?
JG – C’è un alto livello di tolleranza per la disobbedienza civile nonviolenta, ma questa non lo era. Non so che cosa gli sia passato in mente quando hanno deciso di non fare arresti e di non procedere per vie legali, ma forse è stato per timore d’impigliarsi in complesse faccende politiche straniere piuttosto che per partigianeria verso i tamil e l’LTTE.
NW – Il governo è onesto nel supporre che la Norvegia sia parziale verso l’LTTE solo perché non ha intrapreso azioni dopo l’attacco o perché non ha fornito sicurezza adeguata alla missione diplomatica dello Sri Lanka?
JG – Penso che l’attacco li abbia colti impreparati, polizia compresa, il che sa di dilettantismo piuttosto che parzialità in questo disgraziato evento. L’attenzione era più focalizzata sulle dimostrazioni tamil davanti al Parlamento e al governo contro quanto consideravano violazioni di diritti umani da parte del governo dello Sri Lanka in relazione alla guerra. Il ministro degli esteri se n’è scusato.
NW – Pensa che la Norvegia sia stata parziale in qualche punto verso l’LTTE durante il proprio coinvolgimento nel processo di pace nello Sri Lanka?
JG – Certamente. Trattarono l’LTTE allo stesso livello che il governo; il che ha senso in una guerra e anche per negoziati di tregua. Ma farlo a scopo di una più generale “facilitazione” è un messaggio colto al volo con piacere dall’LTTE, in quanto compatibile con l’indipendenza. Questo affiorò anche all’occasione dei colloqui post-tsunami, approssimandosi a un riconoscimento de facto dell’LTTE. Ma direi di nuovo, più per dilettantismo che parzialità, anche se la consistente diaspora tamil in Norvegia ebbe qualche peso nella definizione della situazione per i “facilitatori” norvegesi.
La Norvegia si ispirò al modello di guerra bilaterale del conflitto – ora a quanto ci dicono nella sua fase terminale – tralasciando altri tamil, musulmani e altri singalesi al di fuori di quelli rappresentati dal primo ministro, senza badare neppure allo stile di coabitazione (come dicono i francesi) dello Sri Lanka fra primo ministro e presidente. Nel caso Israele-Palestina fecero esattamente lo stesso errore, coinvolgendo la fazione di destra palestinese e quella di sinistra israeliana, con l’ovvio risultato che i due gruppi esclusi sabotarono il processo dall’inizio, l’uno in modo più abile, uccidendo il primo ministro, l’altro cominciando con gli attentati suicidi. Tali errori elementari non si possono scusare.
E capisco che la Corte Suprema l’abbia respinto, mentre mi sono sorpreso che il governo dello Sri Lanka non abbia interrotto prima la mediazione norvegese – ma può darsi che l’abbiano fatto, solo meno scopertamente.
NW – C’è chi pensa che la Norvegia sia stata ingenua credendo di poter trasformare l’LTTE e che tale ingenuità abbia fatto fallire il processo di pace. Cosa ne pensa?
JG – Ingenuità senza dubbio, ma piuttosto che nel senso di supporre la trasformazione dell’LTTE, nel senso di accettare il loro obiettivo base: indipendenza, “libertà”, se non a parole almeno nel modo in cui la Norvegia costruì il suo ruolo di facilitatore fra i due contendenti. E accettando la pretesa LTTE di essere gli unici rappresentanti del popolo tamil.
NW – L’ultima volta che la intervistai, nel 2006, le feci questa domanda: “Il regime Rajapakse crede che il terrorismo si debba sconfiggere militarmente. Ed ecco di nuovo la strategia guerra-per-la-pace. Funzionerà? Ha funzionato in altri conflitti?
E lei rispose: “Sì, si parla di guerra vincibile—come da parte dei governi di apartheid del Sud Africa e Israele. Quell’approccio non riuscì nel primo caso, né riuscirà nel secondo. Nello Sri Lanka, entrambe le parti hanno soldati in divisa, che si fanno guerra tra loro. Il governo dello Sri Lanka ha inoltre il terrorismo di stato con i bombardamenti che uccidono civili, e l’LTTE ha il terrorismo, e anche un apparato di guerriglia. Mi sembra che entrambi abbiano la capacità d’impedire la vittoria dell’altro.
Ma supponiamo che avvenga: che Killinochchi sia spianata, il sig. P. sia morto e l’LTTE dissolto. Morirà per questo il sogno tamil di un Tamil Eelam (antico nome tamil per l’isola dello Sri Lanka, ndt)? Ovviamente no. Si ravviverà e si avranno altri cicli di violenza. E probabilmente altri accordi di tregua. E magari lo stesso errore, confondere tregua con pace, usarla come sonnifero per non fare nulla.
Le domando adesso: Ora che Kilinochchi è spianata, Prabhakaran non è proprio morto ma alle strette, e il governo crede che l’LTTE sia pressoché dissolto… che cosa succederà? Più specificamente:
A) Sconfiggendo le Tigri militarmente, il governo si vanta di aver dimostrato che il mondo aveva torto e che neppure gli USA sono stati capaci di fare altrettanto altrove. Pensa che la strategia guerra-per-la-pace sia riuscita?
JG – L’esperienza in tutto il mondo è che il sogno di essere governati da propri affini non muore mai. Né morirà nello Sri Lanka. La forma esatta del sogno e come verrà perseguito è un’altra faccenda. Gli avvenimenti crudeli ora in corso al Nord appartengono a una battaglia probabilmente allo stremo, ma non necessariamente significano la fine della guerra, che può continuare in molte forme in tutta l’isola –come ha fatto dal 1983. Non ci sarà pace dopo questa battaglia.
Come lei sa, sono stato profondamente coinvolto come mediatore non-governativo, sovente anche con l’LTTE, avendo l’impressione che una federazione Sri Lanka con un alto livello d’autonomia per il Nord e, all’incirca, mezzo Est, con propri consolati e condivisione del potere al Centro, con i musulmani come terzi, avrebbe avuto senso. Credevo anche che lo si potesse ottenere in modo nonviolento e che avessero più da imparare da un Gandhi che da tutti i bombaroli del mondo. La loro risposta fu che il federalismo era stato provato, e così pure la nonviolenza, tutt’e due invano. Ed ebbi la sensazione che le altre parti in gioco, molte, credessero che non ci fosse alcun pericolo potendo sempre ripiegare su un referendum per escludere qualunque cosa al di là di uno stato unitario con qualche devoluzione. Quando cesseranno il rumore e la furia dell’attuale battaglia, lo Sri Lanka ritornerà a questo punto morto, con o senza bombe che esplodono di tanto in tanto. Si spera che primo o poi sarà in agenda un federalismo creativo.
B) Pensa che riuscirà a breve/medio/lungo termine?
JG – La pace solo in quanto “stato unitario con qualche devoluzione” è una non-pace, e non riuscirà mai, a mio giudizio. Dopo qualche tempo diventerà penosamente chiaro a tutte le parti. “Federalismo” è un termine ampio, un’ampia agenda con molte possibilità, e deploro profondamente che non si sia mai dimostrato possibile impegnare i contendenti in dialoghi seri e particolareggiati, anziché restare bloccati in posizioni altamente incompatibili.
C) Il governo dovrà ora aspettarsi la trasformazione dell’LTTE da gruppo terroristico locale a qualche altra sorta di movimento?
JG – Credo di sì. Il problema non è il Tamil Eelam (TE) e ripeto: se Delhi può vivere con il Tamil Nadu, Colombo dovrebbe essere in grado di vivere con un Tamil Eelam. Sappiamo tutti come il secessionismo abbia perso vigore in quella parte d’India una volta che hanno potuto identificarsi con il nome dello stato. Le parole sono importanti. E anche l’identità.
Vedo parecchio di sbagliato nella sigla LT (LiberationTigers): tigri è troppo violento, liberazione è troppo forte. Sì il 1956 fu terribile, ma è stato chiesto scusa per quello, si costruisca a partire di lì. Comunque, se ” qualche altra sorta di movimento ” si basa sul TE come fine ma rinuncia al LT come mezzo, il governo dello Sri Lanka dovrebbe fare analogamente entrando in dialogo senza precondizioni e con la disponibilità di esplorare un’ampia gamma d’opzioni. Ci sarà bisogno di lavoro politico per assicurare il sostegno del parlamento, della corte suprema, dell’esercito e della gente, non usando alcuno di questi  come asso per annullare in definitiva qualunque accordo raggiunto.
D) O questa è la fine della strada per l’LTTE?
JG – Per l’LT sì. Per il TE mai. Spero solo che i milioni di persone della diaspora lo capiranno. E’ facile per loro assumere posizioni estremiste e violente vivendo all’estero in zone realmente, non virtualmente, al riparo da sparatorie.
NW – Tornando alla Norvegia, pensa che la fine astiosa della facilitazione norvegese qui sia un’ulteriore prova del loro fallimento come pacificatori nell’arena internazionale?
JG – Credo di sì. Penso anche che nessun paese alleato di una superpotenza attraverso la NATO, neppure uno con una retorica nuova e attraente, dovrebbe essere accettato, o offrirsi, come mediatore. Sono tenuti dal trattato a riferire, e non possono fare né proporre alcunché d’incompatibile con la politica estera USA. Che istruzioni abbiano ricevuto da USA-UK, che vogliono dire anche CIA-MI6, durante i loro anni di mediazione, non so. Ma né l’uno né l’altro potevano permettere al terrorismo di operare, né permettere il secessionismo, né, probabilmente il federalismo avanzato perché qualche gruppo come i gallesi o gli hawaiani potesse sentirsene ispirato. Forse l’ingenuità norvegese comprendeva anche una sopravvalutazione della loro indipendenza da tali forze; forse il governo dello Sri Lanka effettivamente lo capì a fondo e per questo usò la Norvegia.
NW – O pensa che sia più perché il regime Rajapaksa è xenofobo e deve compiacere elementi xenofobi dentro il governo?
JG – Questa spiegazione non esclude quanto sopra. Peraltro, posso capire la reazione dello Sri Lanka contro gli stranieri dato il gran numero di gruppi che sono arrivati, e su quali modeste premesse hanno offerto le loro convinte opinioni. Si dice che gli ospiti che si trattengono troppo cominciano a puzzare. Lo stesso vale per i mediatori.
NW – Il fallimento della Norvegia qui ha pregiudicato gli sforzi altrove nel mondo?
JG – I due fallimenti in conflitti importanti, Israele-Palestina e Sri Lanka, non passano inosservati. D’altro canto, la Norvegia è stata brava a promuoversi come nazione di pace, anche scegliendo di definire la pace con il premio Nobel annuale e principalmente in quanto parte dell’Occidente che si congratula con l’Occidente – per esempio non Gandhi ma presidenti e ministri degli esteri – sicché si darà sovente la colpa a israeliani difficili, a palestinesi e ogni genere di srilankani per non vivere all’altezza di quei norvegesi amanti della pace. Incidentalmente, la Norvegia è il 6° esportatore d’armi al mondo, anche alle truppe USA in Afghanistan, e un membro NATO molto obbediente (agli USA). E gli USA sono di gran lunga il paese più bellicoso della storia mondiale con 243 interventi in altri paesi, 73 dopo la seconda Guerra Mondiale.
NW – Quali sono i suoi commenti a proposito della pressione internazionale sullo Sri Lanka al momento? Pensa che avrà effetto positivo o che bisogna che la comunità internazionale arretri senza rendere peggiori le cose?
JG – Sono stupito da quanto tempo ci vuole per questa  “fase finale”, e penso che la pressione internazionale sia di poca o nulla importanza. Lo scopo del governo dello Sri Lanka è sempre stato di vincere, lo scopo dell’LTTE di privarlo di tale vittoria, rendendo molto alto il prezzo, e certamente di non capitolare mai. Dubito che ci sarà una “resa incondizionata”. Entrambi i contendenti stanno mettendo in atto i propri cattivi codici riflessi, pressione internazionale o no. Appartengo a coloro che deplorano profondamente la mia stessa incapacità di convincerli che i loro codici di gloria portano solo a morte e che una vita federale accettabile per tutt’e due su una piccola isola è alla loro portata. E il governo Rajapaksa dovrebbe prendere nota: i semi dell’odio che si stanno seminando ogni minuto sono ben più importanti di qualche discorso sulla Giornata dell’Eroe di Prabhakaran; e un popolo che combatte così non lascerà mai perdere perché perde una battaglia.
NW –Sulla base della sua conoscenza di processi di pace, gruppi terroristici e situazioni di conflitto, che cosa pensa della “situazione degli ostaggi” nel nord dello Sri Lanka dove l’LTTE trattiene centinaia di civili come scudi umani?
JG – Terribile, orribile. Ma il governo avrebbe anche potuto usare un’altra tattica, più simile alla tipologia della guerra medievale: circondare l’area e aspettare, piuttosto che una guerra a fondo. Ma entrambi i contendenti usano tutti i mezzi a loro disposizione.
NW – Come può lo Sri Lanka affrontare la situazione nel nord?
JG – L’attuale governo ha definito come sola opzione la guerra totale fino alla fine, intendendo in effetti lo sterminio, di quelli che definisce come LTTE. Dubito che cattureranno mai Prabhakaran, né vivo, né morto da impiccare post mortem ed esportare in India.
Lo “Sri Lanka” potrebbe essere più saggio: potrebbe dichiarare una tregua unilaterale, trattare l’enorme problematica umanitaria, e aprire negoziati, ma non con quel che resta dell’LTTE come “unico rappresentante”. E lo “Sri Lanka” comporterebbe più che solo il governo. Anziché “guerra-per-pace” passare a “non-guerra per un po’ di pace”. Ma questa non è esattamente la linea di Fonseca (Sarath Fonseca, generale dell’esercito dello Sri Lanka, ndt).
NW – Dovrebbe esserci un altro processo di pace? Qual è il modo ideale di procedere per il governo, arrivati a questo punto?
JG – Essere orientati al futuro; un futuro possibile per lo Sri Lanka nel suo insieme, con quel bel po’ di storia addensata in così poca geografia. Purtroppo, il governo, e quelli dell’LTTE, dovranno inserire nell’equazione del futuro l’odio extra, il trauma, la disperazione creata da questi ultimi anni, mesi, settimane. C’è bisogno di conciliazione altamente creativa, il che non è facile.
NW – Dovrebbe esserci di nuovo una facilitazione internazionale?
JG – Non da parte dei governi, che hanno troppi altri punti nelle loro agende. Ma durante questi anni difficili lo Sri Lanka ha fatto molte esperienze con mediatori, inviti i migliori come individui e chieda loro di diventare una specie di comitato consultivo. Comunque le decisioni finali sono naturalmente tutte vostre.
NW – Il National Peace Council (NPC, Consiglio Nazionale per la Pace) ha diramato una dichiarazione oggi che dice: “Il NPC  ritiene che il governo debba considerare di emendare la sua richiesta di resa incondizionata in una in cui si negozi il deporre le armi con facilitazione internazionale e si conceda all’LTTE, capi compresi, un’uscita onorevole.” E’ fattibile secondo lei?
JG – Non fattibile, i combattimenti sono andati troppo in là. E l’LT in LTTE è parte del problema, non della soluzione, particolarmente se implica che siano “rappresentante unico”. Inoltre non penso che l’LTTE sia stato più disonorevole che parti del governo. Il National Peace Council sarebbe più consono al proprio nome se producesse qualche immagine di una possibile “pace nazionale”, al di là e al di sopra del “deporre le armi con facilitazione internazionale”. Lo Sri Lanka ignora forse che questo vuol dire acquisizione di nuove armi, dopo aver restituito le vecchie per il disarmo, ri-dispiegamento? La strada per la pace non passa per la deposizione delle armi. Piuttosto, la strada per il disarmo passa per la pace e la strada per la pace passa per una difficile mediazione e conciliazione.

Namini Wijedasa, giornalista (pubblicato domenica 26 aprile 2009 in The Island, importante quotidiano dello Sri Lanka)
Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis
Titolo originale: INTERVIEW WITH JOHAN GALTUNG ABOUT THE CONFLICT IN SRI LANKA
http://www.transcend.org/tms/article_detail.php?article_id=1183