Già Fromm lo diceva… – Cinzia Picchioni

Oliver James, Il capitalista egoista, codice edizioni, Torino 2009, pp. 170, € 18,00
Disponibile presso la Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi 13 a Torino con orario: lun-mer-ven 10-16/mar-gio 12.30-18.30

Già Fromm lo diceva …
Che si parli di thatcherismo o blairismo, il capitalismo ha consentito ai ricchi di diventare più ricchi. Il libro tenta di dimostrare questo assunto, e tenta anche di spiegare che il capitalismo egoista diffonde e fa aumentare lo stress emotivo (che in psichiatria è chiamato «malattia mentale»). Nel terzo capitolo l’autore fornisce le prove delle sue asserzioni.
Il secondo capitolo fornisce invece le prove del ruolo del materialismo come punto critico: i materialisti sono più stressati, emotivamente più insicuri, hanno relazioni interpersonali meno autentiche, sono carenti di autonomia e hanno una bassa autostima. Guardano più televisione e – ovvio – i programmi che prediligono li rendono ancora più materialisti.
Si parla di Erich Fromm nel secondo capitolo, e di quanto avesse già esposto – più di mezzo secolo fa – la teoria secondo cui un materialista è più di altri sottoposto allo stress emotivo. Negli ultimi  quindici anni sono stati effettuati studi sistematici da cui emerge che il materialismo e lo stress vanno di pari passo. Fromm nel 1955 descriveva la società americana:
Abbiamo un tasso di alfabetizzatone della popolazione superiore al 90%. Abbiamo radio, televisione, cinema, un quotidiano per tutti. Ma invece di concederci il meglio della letteratura e della musica passate e presenti, questi mezzi di comunicazione, coadiuvati dalla pubblicità, riempiono le menti degli uomini con la peggior spazzatura, priva di qualunque senso di realtà, […]. E mentre le menti di tutti, giovani e anziani, vengono avvelenate in questo modo, beatamente continuiamo a ritenere che non avvenga alcuna «immoralità» sullo schermo. Qualunque proposta di finanziamento da parte del governo a favore della produzione di film e programmi radio che illuminino e migliorino le menti del nostro popolo sarebbe accolta di nuovo con indignazione e accuse lanciate in nome della libertà e dell’idealismo» (tratto da Fromm 1955, p. 5 e nel libro di James alle pp. 22-3).
Il libro dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che il materialismo è strettamente correlato con l’ansia, l’abuso di sostanze, la personalità narcisistica e la vitalità ridotta. Ma perché il materialismo è correlato allo stress emotivo? Secondo gli studi riportati dall’autore la spiegazione sta nell’assunto per cui noi umani abbiamo quattro bisogni fondamentali: sentirci al sicuro e protetti; sentirci competenti; sentirci vicini agli altri; sentirci davvero coinvolti nel lavoro e nei momenti di svago. La ricerca mostra che il nostro benessere aumenta col crescere del soddisfacimento di tali necessità e diminuisce se non sono soddisfatte. Ma c’è di più. Chi è materialista ha poca fiducia in sé (e anche il contrario, chi è poco sicuro di sé tende ad essere materialista)
[…]l’’insicurezza scatena il materialismo, che sia causata dal background familiare, dalla classe sociale o dall’economia nazionale. Il materialismo è perseguito sia come protezione contro l’insicurezza sia come approccio per affrontarla. (p. 33)
E giù una sfilza di spiegazioni di questo processo (mi sento insicuro/divento materialista e sono materialista perché sono insicuro): la pubblicità (che – per ammissione e dei suoi stessi creatori – ha l’obiettivo di creare in chi guarda un senso di insoddisfazione rispetto a quello che ha, così da essere spinto a comprare cose nuove, «migliori» per definizione); la tendenza ad evitare la consapevolezza con droghe, alcool e lavoro; la solitudine (in un circolo vizioso: lo spettatore assiduo è più incline ad essere solo e socialmente isolato); guardare la televisione per non sentire il fallimento funziona solo per un po’, poi finisce per sottolineare l’inadeguatezza dello spettatore paragonato alle figure «splendide» degli spot).
Dunque vediamo:
Tim Kasser e i suoi colleghi hanno dato fondamento scientifico a molte delle teorie di Erich Fromm. Hanno fornito prove convincenti che il materialismo impedisce alle persone di soddisfare quattro bisogni fondamentali: la sicurezza, l’autostima, le buone relazioni e le esperienze autentiche. In linea con quanto appena affermato, come abbiamo visto, Kasser ha trovato le prove che i materialisti sono più insicuri, hanno un’autostima più bassa, hanno peggiori relazioni e sono meno autentici. Suggerisce che il motivo per cui hanno una maggior quantità di questi problemi risieda nei loro obbiettivi estrinseci. E conclude che abbiamo bisogno di un radicale spostamento da questi traguardi ed altri, intrinseci, se vogliamo una società che massimizzi il benessere, proprio come suggerito da Erich Fromm. (p. 59)
Poi definiamo il capitalismo egoista secondo quattro caratteristiche: il successo di un’azienda si giudica dalla sua quotazione in borsa (e non dal contributo che può offrire alla società); spinta a privatizzare beni e servizi – acqua, gas, elettricità); minima regolamentazione del lavoro che renda più semplice le assunzioni e i licenziamenti, che favorisca i datori di lavoro a sfavore dei sindacati; la convinzione che le forze di consumo e mercato possano soddisfare qualsiasi necessità umana. Inoltre il capitalismo egoista non deve consentire che diventiamo soddisfatti, perché questo soffocherebbe il materialismo e il consumismo rampante, essenziali per il suo funzionamento. Come dice l’autore (p. 68) «Ha molti fratelli di sangue, con nomi come “liberismo di mercato”, economia del libero mercato”, “neoconservatorismo”, !neoliberismo”, “reagonomics” e “thatcherismo”».
Vogliamo altri dati impressionanti sul capitalismo egoista? Il tasso di suicidi aumenta proporzionalmente al reddito pro-capite e alla crescita economica (perseguire valori materialisti, stimolati  dal capitalismo egoista, aumenta lo stress). Altre informazioni: per dividere, analizzare meglio cause e correlazioni del fenomeno si può vedere il rapporto della New Economico Foundation, defra Project 3b; N. Marks et al, Sustainable Development and Well-Being: Relationships, Challenger and Policy Implementation (Sviluppo sostenibile e benessere: relazioni, sfide e adempimenti politici), 2005.
Poi leggevo il libro e non credevo ai miei occhi quando ho trovato queste parole. Le riporto citandole direttamente perché non vorrei che si pensasse che mi sono lasciata trascinare dall’entusiasmo:
[…] le sinergie tra il capitalismo egoista e l’avventura irachena sono talmente ovvie che quasi non serve spiegarle: come si sono chiesti in molti, è davvero probabile che l’Iraq sarebbe stato invaso se non fosse stato il secondo produttore di petrolio del Medio Oriente? […] Non è solo saltato fuori che non c’erano armi di distruzione di massa (il solo, vero, originale casus belli), ma ora ci accorgiamo che non c’è alcuna guerra al terrore. Tutto questo mi è apparso chiaro durante una conversazione con una figura di spicco delle forze armate britanniche, che […] ha detto: «Non credo che gli americani abbiano effettivamente progettato ed eseguito gli attacchi dell’11 settembre al World Trade Center. Per quanto ne so, hanno lasciato che accadessero». […] Il fatto che una persona nella sua posizione ritenga che ciò sia possibile dimostra  fino a che punto è noto, nell’’ambiente della Difesa, che gli americani stavano cercando una scusa per l’azione militare. (pp. 122-3).
Proseguendo nella lettura ho trovato poi un elenco delle «preferenze» del capitalismo egoista che mi sono sembrate tragicamente applicabili all’attuale governo (o trend che dir si voglia): rigetta il comunismo, farebbe di tutto per distruggere il sindacato, combatte le forme di capitalismo che privilegino i profitti per il bene pubblico; respinge senza indugi (spesso usando prove pretestuose confezionate ad hoc da presunti scienziati) le dimostrazioni ecologiche della distruzione del pianeta; attraverso il controllo sui media fa del suo meglio per mettere a tacere le voci del dissenso, e scoraggia le inchieste giornalistiche sulle sue attività, negli affari come sui campi di battaglia (p. 127)!!!
Poi «core de mamma», io che ho cercato di stare con mio figlio – pur dovendo lavorare – assumendo una tata che stesse in casa con noi, cercando di lavorare sempre part-time per non lasciare il figlioletto (ora 19enne) a nonne, baby sitters, zie ecc. ho trovato illuminante un brano, a p. 127:
[…] il capitalismo egoista esige un tributo pesante dalla vita familiare, accelerandone il declino, perché la famiglia rappresenta un’alternativa autentica all’ossessione per il lavoro e alla falsità del marketing. Preferisce di gran lunga che siano gli asili nido a occuparsi dei neonati e dei bimbi più piccoli, in modo che i genitori possano ingrossare le fila della forza lavoro (agevolando i datori di lavoro nel mantenere bassi i salari). E se questo genera bambini insicuri e angosciati, che crescono solo per diventare consumatori adulti bisognosi e pronti a riempire il loro vuoto con il materialismo … bè, tanto meglio per i profitti.
Ce n’è per tutti i gusti, a p. 129, dagli adolescenti …
Nutrite da una prima infanzia piena di pubblicità, le storie d’amore adolescenziali sono il fondamento di un mercato lucrativo, dai regalini che i giovani innamorati si fanno al costo dei ristoranti e dei biglietti del cinema per gli appuntamenti[…]
… alle donne insoddisfatte…
[…] il capitalismo egoista è ben felice di trovare donne che aspirano a ideali impossibili di bellezza […]perché i potenziali profitti […] sono ampi (moda, trattamenti cosmetici di “ringiovanimento”, parrucchiere) e trae beneficio dall’infelicità delle donne in merito al proprio corpo (pensate ai profitti della chirurgia estetica, delle diete, dei costosi surrogati del cibo).
… e ai loro uomini competitivi
Allo stesso modo il capitalismo egoista nutre gli stereotipi di ciò che è attraente in un uomo […] perché così lo rende schiavo del potere, del denaro e dello status quo desiderati dalle donne in questo sistema; gli uomini sono  prigionieri di un lavoro caratterizzato da orari più lunghi e maggiore competizione, e questo solo per essere più attraenti. (p. 129).
Ma il meglio l’ho trovato nella conclusione, ed è con questo che – appunto – chiudo questa segnalazione, sperando che la riflessione iniziata dal libro prosegua e porti altri frutti, studi e ricerche. Il libro, per chi fosse interessato, è già disponibile presso la biblioteca del Centro Studi Sereno Regis, e naturalmente nelle librerie:
Il punto di partenza è riconoscere che le fondamenta del benessere emotivo sono le cure ricevute nel corso dei primi sei anni di vita: più piccolo è il bambino, più importanti esse sono. Ci sono prove schiaccianti che, almeno dal terzo trimestre di gravidanza in poi, l’ambiente, incluso quello del feto, incide profondamente sul benessere dell’infanzia e dell’età adulta. Una società che mettesse il benessere davanti alla ricchezza di un’esigua minoranza incoraggerebbe attivamente i genitori a prendersi cura dei loro bambini in questi primi anni,  fornendo loro il massimo sostegno pratico ed emotivo. Dopo i sei anni, questa stessa società farebbe di tutto per garantire che uno dei due genitori andasse a prendere il bambino a scuola, o che fosse a casa ad accoglierlo e stare con lui. Il singolo danno più grave fatto negli ultimi trent’anni è la pressione esercitata sui genitori affinché entrambi lavorino nei primi anni di vita del figlio. È urgente che uomini e donne riconsiderino le priorità in merito ai guadagni. […] Sollecitato a formulare una soluzione […] ho scelto l’idea di versare ad ogni famiglia con un bambino sotto i tre anni lo stipendio nazionale medio (si veda www.fulltimemothers.org per il dibattito sulle proposte per agevolare i genitori nelle cure ai loro bimbi più piccoli), p. 133.