Dice: «Che cosa avete fatto quando siamo andati via?» – Cinzia Picchioni

A proposito del primo incontro Leggere Gandhi a Torino
Centro Studi Sereno Regis, mercoledì 18 febbraio 2009

Innanzitutto abbiamo acceso delle candele (l’elemento fuoco per i buoni inizi!) e abbiamo sistemato le sedie in cerchio, equi-distanti, Re Artù insegnava.
A p. 37 di Hind Swarâj si legge dell’irrequietezza e lo yoga richiede e insegna a stare, in pace, immobili. A p. 43 si accenna alla religione-re-ligare-unione=yoga vuol dire unione del corpo col corpo, del corpo con la mente, della mente con lo spirito, di modo che tutti e tre gli elementi funzionino all’uni-sono. Swami Kuvalayananda, il mio maestro, diceva che «Lo yoga ha un messaggio per il corpo umano, ha un messaggio per la mente umana e ha un messaggio anche per lo spirito umano».
Poi ho raccontato del mio primo incontro con le «leggi» dello yoga, la cui prima è ahimsa, nonviolenza, e di come sia affine lo yoga che insegno (da 22 anni ormai!) e che si chiama Raja Yoga, e di come una parte della parola sanscrita sia la medesima di Swarâj, che nel titolo del libro di Gandhi non significa solo «indipendenza», ma anche regalità (Râj) di Sé (Swa). E a p. 59 di Hind Swarâj Gandhi dice: «È swarâj quando impariamo a governarci», ma per imparare a governare il Sé dobbiamo prima conscerlo, «sentirlo» questo «Sé», oltre che parlarne – come avevamo fatto fino a poco prima. Allora abbiamo chiuso gli occhi, ci siamo raddrizzati sulle sedie, abbiamo appoggiato i piedi a terra, per percepirla (l’elemento terra per mettere radici), abbiamo «ascoltato» il respiro, siamo stati/e in silenzio.
Ho cantato qualche strofa da un famoso Inno della pace, di cui riporto il testo così che tutte/i possiate averlo:
Shanti Path
Asato ma sadgamaya
Tamaso ma jyotir gamaya
Mrityor ma amritam gamaya
Dall’irreale conducimi al reale
Dall’oscurità conducimi alla luce
Dalla morte conducimi all’immortalità

L’inno continua con altre strofe, e magari nelle prossime volte andremo avanti nella sua conoscenza. Invece di definire il Sé (a proposito dell’identità e del linguaggio) abbiamo dunque provato a sentirlo, tacendo. Se il linguaggio definisce la nostra identità – e questo crea problemi con gli altri – stiamo zitti e sentiamo«ci», perché il Sé si nasconde dietro i nostri ruoli. Un metodo per sperare di trovarlo consiste nel rispondere alla domanda «Chi sono?». Se la risposta è qualcosa destinata a finire vuol dire che è uno degli strati dietro cui si nasconde il Sé. Faccio un esempio: «Chi sono? Cinzia? Una donna? Un corpo? Una madre? Una figlia? Un’insegnante di yoga? Un’italiana? Una cristiana?», tutte queste risposte sono destinate a finire, perciò non soddisfano la domanda, il che vuol dire che devo cercare ancora, continuando a rispondere e togliendo, strato dopo strato, le molte coperture dietro cui si nasconde il mio vero Sé.
Alle pp. 14 e 15 di Hind Swarâj  Lanza del Vasto scrive (e l’ho letto):
[…] la tradizione induista […] si riassume in tre insegnamenti: Non c’è che una verità: conoscere se stessi […]. Non c’è che una potenza, una libertà, una giustizia: dominare se stessi. Colui che si domina ha vinto il mondo […] Tutto il resto è forma, illusione, vanità. […]
E a proposito dell’occidentale scrive:
[…] C’è una sola cosa di cui non è capace, di sedersi per cinque minuti e di guardarsi con l’occhio interiore. […] Se avesse la capacità di sedersi per cinque minuti a riflettere, capirebbe che accelerando tutti i trasporti si guadagna non del tempo, ma solo problemi, accidenti e ritardi […]. La sua paura della solitudine, il suo odio per il silenzio, il suo furioso attaccamento al denaro lo rendono incapace di trarre qualcosa dal suo interno […].
Gandhi stesso, a p. 30, a proposito di Hind Swarâj:
[…] è un libro che potrebbe essere messo nelle mani di un bambino. Insegna il Vangelo dell’amore invece di quello dell’odio. Sostituisce la violenza col sacrificio di sé. Incita la forza dell’anima contro la forza bruta.
Poi abbiamo ruotato il capo nelle quattro direzioni, rendendo omaggio a chi sedeva alla nostra sinistra, e poi a chi sedeva alla nostra destra e poi, alzando il viso verso il cielo lo abbiamo onorato (comunque lo intendiamo) e flettendo la testa in avanti abbiamo ringraziato la Madre Terra (comunque la intendiamo. E mentre si eseguiva questo gesto (Brahma Mudra, il gesto di Brahma), per alcune volte, respirando consapevolmente (l’elemento aria!) ho letto un brano che ci metteva tutti/e in relazione, come uniti/e da un invisibile filo:
Inter-essere
di Thich Nhat Han
Un poeta, guardando questa pagina, si accorge subito che dentro c’è una nuvola. Senza nuvola, non c’è pioggia; senza pioggia, gli alberi non crescono; e senza alberi, non possiamo fare la carta.
La nuvola è indispensabile all’esistenza della carta. Se c’è questo foglio di carta, è perché c’è anche la nuvola. Possiamo allora dire che la nuvola e la carta inter-sono.
«Inter-essere» non è riportato dai dizionari, ma unendo il prefisso «inter» e il verbo «essere”, otteniamo una nuova parola: inter-essere. Nessuna nuvola, nessuna carta: per questo diciamo che la nuvola e il foglio inter-sono.
Guardando più in profondità in questa pagina, vedremo anche brillare la luce del sole. Senza la luce del sole le foreste non crescono. Niente cresce in assenza della luce solare, nemmeno noi. Ecco perché in questo foglio di carta splende il sole. La carta e la luce del sole inter-sono.
Continuiamo a guardare: ecco il taglialegna che ha abbattuto l’albero e l’ha trasportato alla cartiera dove è  stato trasformato in carta. Sappiamo che l’esistenza del taglialegna dipende dal suo pane quotidiano, quindi in questo foglio di carta c’è anche il grano che è finito nel pane del taglialegna.
C’è altro: i genitori del nostro taglialegna. Guardando in questo modo, comprendiamo che la pagina che stiamo leggendo dipende da quelle cose.
Se guardiamo ancora più in profondità, vedremo nel foglio anche noi. Non è difficile capirlo: quando guardiamo un foglio di carta, il foglio è un elemento della nostra percezione. La vostra mente è lì dentro, e anche la mia.
Nel foglio di carta è presente ogni cosa: il tempo, lo spazio, la terra, la pioggia, i minerali del terreno, la luce del sole, la nuvola, il fiume, il calore. Ogni cosa co-esiste in  questo foglio. «Essere» è in realtà inter-essere: per questo dovrebbe trovarsi nei dizionari.
Non potete essere solo in virtù di voi stessi, dovete inter-essere con ogni altra cosa.
Questa pagina è, perché tutte le altre cose sono.

Dunque abbiamo «toccato» un po’ di yoga, siamo stati/e in silenzio, abbiamo mosso il capo nelle quattro direzioni per «sentire» che inter-siamo, siamo stati/e immobili per cinque minuti, nel tentativo di sperimentare che:
La padronanza di se stessi è dunque il principio della libertà, il che fa passare il problema dal piano sociale al piano spirituale. […] solo reale è la regalità di ogni uomo nella sua coscienza.

Se ognuno di noi, interiormente libero, fa il suo lavoro nel suo ambiente, finirà per cambiarlo, inevitabilmente. Mentre cerchiamo di cambiare il mondo, cambiamo anche noi stessi/e, perché se abbiamo freddo ai piedi è più facile mettersi un paio di calze che ricoprire di tappeti tutta la Terra.

Grazie, Cinzia Picchioni