Dichiarazione al Parlamento europeo, sottocommissione Sicurezza/Difesa. Udienza pubblica su obiezione di coscienza

Johan Galtung

Signor Presidente, Parlamentari, Signore e Signori

Ho sei punti, tre sull’obiezione di coscienza per soldati-ufficiali in bello, quando la guerra – violenza organizzata coinvolgente uno o più governi – è in corso, e tre sull’obiezione ad bellum, ossia a guerre specifiche o alla guerra come tale. Ma prima una domanda: Perché è importante il diritto all’obiezione di coscienza?

Per le stesse ragioni per le quali diritti umani e democrazia sono importanti come pilastri nelle strutture statuali moderne. Il diritto all’obiezione di coscienza, come tutti i diritti umani, protegge individui e/o gruppi; in casu contro l’essere costretti ad agire contro la propria coscienza. E ciò legittima l’articolazione di un dialogo di una coscienza interiore verso un dialogo sociale esterno, così essenziale per una società aperta e libera. Quindi, l’importanza è duplice: sia protezione degli esseri umani, sia promozione della democrazia.

Il dovere civico di uccidere ed essere ucciso per lo stato deriva dal diritto degli stati col trattato di Westfalia del 1648 a fare la guerra, purché dichiarata. Quindi, qualunque diritto di obiettare a tale dovere deve derivare da un’autorità al di sopra dell’ordine statuale, quale l’Ordine Divino di un “Tu Non Ucciderai” articolato da divinità e profeti delle religioni rivelate.

L’Illuminismo produsse un secondo Ordine Legale, secolare, al di sopra del sistema statuale, articolato in leggi, convenzioni sulla condotta di guerra, e diritti umani (Art. 28), e incorporato nelle Nazioni Unite. In tal modo, l’Art. 2.4 della Carta ONU vieta agli Stati Membri di scendere in guerra reciproca salvo quando possa essere fatta valere l’autodifesa, la difesa collettiva e/o un Mandato del Consiglio di Sicurezza.

I soldati professionisti hanno diritto di rifiutare ordini illegali?

Primo, le obiezioni in bello: non solo un diritto ma anche un dovere.

Punto 1: Il Processo di Norimberga stabilì che “obbedire agli ordini” non costituiva una difesa per i crimini di guerra.

Punto 2: Il Tribunale di Tokyo, nel caso Yamashita, stabilì che la “mancanza d’informazione” non costituiva una difesa per i crimini di guerra e altresì il dovere di chi è al comando di essere informati rendendo trasparente “la nebbia della guerra”, ad esempio mediante un giornalismo indipendente.

Punto 3: Le Convenzioni di Ginevra e i quadri normativi correlati stabiliscono norme vincolanti per la condotta di guerra e conseguentemente quali ordini non emettere e a quali non obbedire. Pertanto, la Radio Pubblica Nazionale di Washington stimava 25.000 disertori dalle forze USA in Iraq, fornendo motivi come “non m’importa delle conseguenze, ma non faccio più parte di questo tipo di guerra”.

Secondo, le obiezioni ad bellum. Qui si tratta di diritti più che di doveri e ci s’inoltra in un territorio giuridico non definito, dove ci possono essere o meno leggi in gestazione, de lege ferenda.

Punto 4: I soldati possono riscontrare di essere entrati in guerra su false premesse. Così, in un caso in Germania l’obiettore alla guerra in Afghanistan cita l’Art. 2.4 della Carta ONU non trovandovi giustificazioni in termini di autodifesa, difesa collettiva e/o Mandato del Consiglio di Sicurezza validi (né le ha trovate Kofi Annan per la guerra in Iraq dichiarandola illegale ai sensi della Carta). La giustificazione svizzera per il suo ritiro dall’ISAF in Afghanistan (entro il 1°marzo 2008) sostiene che quella che era stata presentata come un’operazione a sostegno del  peace-keeping secondo il Capitolo 6 a fini di sviluppo, in effetti era una guerra di peace-enforcement come da Capitolo 7. I soldati norvegesi dell’ONU hanno trovato insufficienti le prospettive di tipo Israele. L’obiezione di coscienza traduce parole critiche su una guerra in atti di rifiuto a partecipare, e trasforma atti di omissione in atti di commissione di rifiuto.

Punto 5: c’è una terza base per l’obiezione, l’Ordine di Ragione, un ordine conforme a una “sistemazione ragionevolmente nonviolenta”. E per quanto riguarda la guerra difensiva? La realtà non è tanto semplice. Prendiamo l’attacco d’Israele a Gaza dopo anni di razzi sul sud del paese: Israele invoca la difesa contro i razzi, Hamas invoca la difesa contro l’occupazione come guerra cristallizzata; vere entrambe. Le parti colgono solo la loro verità. Coglierle entrambe comporta almeno altrettanto tempo, risorse umane e denaro per una composizione che per la guerra, come pure per una Comunità del Medio Oriente di Israele con i cinque stati arabi confinanti, con la Palestina pienamente riconosciuta secondo il diritto internazionale – il modello è quello della Comunità Europea del Trattato di Roma del 1958.

L’assunto è che la guerra è l’ultimo ricorso dopo che si siano esauriti tutti gli approcci nonviolenti, compresa la diplomazia. La risoluzione nonviolenta dei conflitti esige empatia e creatività, e con maggiori abilità in tal senso, conflitti recenti sottostanti la Jugoslavia, l’11 settembre, l’Afghanistan, l’Iraq, il Libano, Gaza avrebbero potuto essere sistemati. (Le mie esperienze come mediatore di ONG sono riassunte in: 50 Years: 100 Peace & Conflict Perspectives, www.transcend.org/tup. )

E’ nell’interesse della democrazia che tali punti siano articolati, obiettando con parole e azioni; per convinzione razionale dell’irrazionalità della guerra, non della coscienza. La democrazia, invocata da Israele e dalla Gran Bretagna, non costituisce una difesa; come il recente guerreggiare di USA, GB, Israele e Hamas indica, è un demos sospinto da profonda irrazionalità, nonostante Kant.

Punto 6: Potrebbe darsi che la nostra civiltà, ivi compresa questa tempestiva udienza, abbia affrontato erroneamente la problematica ponendo l’onere della prova su chi rifiuta il servizio militare e/o disobbedisce ai comandi militari? Perché devono argomentare coloro che rifiutano di uccidere ed essere uccisi, invocando ordini divini, legali o razionali, e non piuttosto quelli disposti a uccidere ed essere uccisi? C’è da sperare che l’onere della prova venga presto posto su chi obbedisce agli ordini, non su chi disobbedisce.

Grazie, Signor Presidente.

EDITORIAL, 26 Jan 2009

#47 | Johan Galtung

Titolo originale: STATEMENT TO THE EUROPEAN PARLIAMENT, SUBCOMMITTEE SECURITY/DEFENSE, PUBLIC HEARING CONSCIENTIOUS OBJECTION, Jan/22/09

Traduzione di Mikyi Lanza per il Centro Sereno Regis