martedì 3 febbraio – Presentazione del libro “Narrando Paulo Freire, per una pedagogia del dialogo” di Paolo Vittoria

Presentazione del libro “Narrando Paulo Freire, per una pedagogia del dialogo” di Paolo Vittoria, edizione Carlo Delfino, Sassari 2008

martedì 3 febbraio 2009 – ore 20,30
Sala Gandhi – Centro Studi Sereno Regis – via Garibaldi 13 – Torino

Alla presenza dell’autore, incontro organizzato con l’associazione “Livres como ‘o vento”

“C’è un filo sottile che lega l’autore a Paulo Freire: uno dei maggiori pensatori dell’educazione popolare che non si è mai allontanato dalle pratiche e che ha dedicato la sua attività alla volontà incessante di trasformare le pratiche in diritti. C’è un filo diretto, un legame forte che rende la narrazione delle esperienze di Paulo Freire sempre più simile a un dialogo, contornato di racconti, interrogativi, approfondimenti, analisi sociali e politiche. Un dialogo che riporta la lettrice o il lettore nel contesto dell’America latina, nelle trame di un tessuto fragile perché storicamente colonizzato, oppresso, spesso umiliato ma capace di reagire non solo attraverso l’arte e la cultura popolare, ma anche tramite i movimenti di educazione popolare, a cui il pensiero critico e non dogmatico, la capacità di pensare il futuro in forma utopica, coraggiosa, ma concreta ed umile di Paulo Freire hanno contribuito in modo determinante. Paulo Freire è parte di questo contesto e l’autore narrandolo ce lo restituisce nella sua concretezza storica.

La pedagogia di Paulo Freire viene analizzata partendo dalle testimonianze raccolte in Brasile e proponendo una lettura profonda del suo pensiero che oggi può essere riconsiderato per la formazione dei docenti e degli educatori in una società complessa e multiculturale, ma soprattutto per reinventare il potere e la relazione in termini più egualitari, meno ingiusti, autenticamente partecipativi.”

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Dall’introduzione:
Prime parole
Il mio incontro col pensiero di Paulo Freire è avvenuto a Recife, sua città natale situata nel Nord-Est del Brasile, dove mi trovavo per conoscere i progetti sociali e formarmi come educatore.
Questa città presenta un fascino speciale per il movimento incessante che la rende simile ad un enorme  mercato a cielo aperto, per la musicalità del vociare continuo, per la creatività che nasce dalla confusione, per il suo essere spiccatamente emotiva.
D’altra parte le sacche di povertà e miseria, visibili in ogni angolo della città, le baracche assiepate le une sulle altre a formare le favelas, in cui si vive in condizioni spaventose, spesso senza acqua e servizi igienici, con più persone in pochi metri quadri, denotano una sofferenza latente, un disagio difficilmente comprensibile perché spesso vissuto con naturalezza e apparente normalità.
Dolore e creatività, povertà e allegria descrivono Recife.

Il centro antico della città è attraversato da un fiume, spesso ridotto a scarico delle fogne, sovrastato da tre ponti architettonicamente meravigliosi. Nei pressi di uno di essi, c’è un’antica libreria, un po’ dismessa, un po’ decadente, molto malandata con pochi scaffali occupati da libri, per lo più di autori brasiliani, come Jorge Amado, Machado de Assis ecc. Curiosando tra i volumi, scovai un piccolo saggio di Paulo Freire – Educação e Mudança (Educazione e cambiamento) – di poche pagine ma che successivamente avrei scoperto essere di un’intensità unica. La scrittura semplice e scorrevole, l’approfondire i temi in modo analitico e profondo, la sincerità del suo comunicare suscitarono in me un interesse per un autore di cui avevo sentito parlare ma con cui non mi ero ancora confrontato.

In Educação e Mudança, come in tanti altri scritti di Freire, non ho cercato risposte definite  ma la possibilità di dare maggiore consapevolezza e profondità ai miei interrogativi in un contesto che provocava pensieri ed emozioni contraddittorie. Il cercare risposte si è andato rimodulando in una riorganizzazione delle domande, ovvero nella strutturazione di una curiosità che si rendeva sempre più matura e in un certo senso orientata. Quello che Freire chiama “pedagogia della domanda” e che è un fondamento imprescindibile della ricerca.

I temi della pedagogia freiriana mi sono sembrati indispensabili per comprendere con più consapevolezza la realtà sociale dell’America latina, spesso disgregata, debole, tendente alla dipendenza, al dolore ma con una volontà di trasformazione sociale che appare contagiosa, capace di organizzazione materiale ed intellettuale, di analisi politica, di suscitare allegria e che influenza ed è influenzata anche da settori della pedagogia e dell’educazione popolare.

Ritenni allora opportuno riflettere sulla pedagogia freiriana e sull’educazione popolare in modo più complesso e attento anche per contesti come i nostri che presentano spaccati storici diversi, ma il cui tessuto sociale appare debole e richiede forme di educazione, di politica, di arte in grado di aggregare e responsabilizzare.

Da queste considerazioni e dal confronto tra alcuni tratti delle realtà dell’Occidente e dell’America latina, partendo dal presupposto che non c’è una parte del mondo sviluppato e una in via di sviluppo, né un primo, né un terzo mondo ma un “mondo in via di degrado” che necessita di risposte pratiche ed urgenti, è nata la volontà di scrivere questo libro sul pensiero e le esperienze educative di Freire, presentando al pubblico italiano il profilo di un autore a partire dal contesto in cui il suo pensiero si è formato.
Mi è parso coerente con questo progetto applicare un metodo di ricerca che, non soltanto lavorasse sui testi di e su Freire, ma andasse a scandagliare la realtà sociale che ha fatto da cornice storica alle sue pratiche educative ed elaborazioni teoriche, incrociando quindi la ricerca teorico-bibliografica con l’inchiesta sociale.

Il lavoro sul campo è stato facilitato dagli incontri con ex alunni, educatori o studiosi che hanno lavorato con Freire, come sua moglie Ana Maria (Nita) Araùjo Freire, Marcos Guerra, Peter Mayo, Moacir Gadotti, Francisco Gutierrez, Cruz Prado e il figlio Lutgardes: a tutti vanno i miei ringraziamenti per la partecipazione diretta o indiretta a questo lavoro. Importante per l’analisi storica è stato anche il contatto con i luoghi come Angicos, piccola cittadina del nord brasiliano dove è stata realizzata la prima esperienza di alfabetizzazione col “metodo Paulo Freire” o Recife, dove Paulo è cresciuto e si è affermato come educatore e Ginevra dove il pensatore brasiliano ha vissuto per dieci anni durante l’esilio. Nell’ archivio-biblioteca del Consiglio Mondiale delle Chiese, istituzione presso cui ha lavorato, sono conservati importanti documenti sulle sue esperienze in Africa.

La volontà di lavorare non soltanto attraverso i libri, ma su documenti e testimonianze, risponde anche alle caratteristiche del suo pensiero non disgiungibile dalla prassi e per questo da cercare soprattutto nella prassi stessa. La teoria, secondo Freire, è elaborazione critica della prassi da cui parte e a cui ritorna. Il fine ultimo non è la sistematizzazione teorica, ma la ricerca costante del miglioramento delle pratiche, perché possano contribuire a un mondo più giusto e meno diseguale. L’educazione, in questo senso, è politica perché finalizzata alla trasformazione della società e al riscatto degli oppressi, attraverso un’idea di cultura e conoscenza partecipativa e popolare, sempre meno elitaria.

Come ha osservato Moacir Gadotti, Freire non ha dedicato La pedagogia degli oppressi solo agli oppressi del Brasile ma a tutti gli oppressi, perché possano gradualmente – anche grazie all’educazione – divenire soggetti del proprio essere nel mondo.

In questa fase storica il popolo mondiale, e non solo quello latino-americano, rischia di essere oppresso da un modello di sviluppo economico in cui taluni aspetti comportano alienazione, precarietà, dipendenza dai mass-media, difficoltà relazionali, oltre che povertà, miseria, indigenza, degrado ambientale.
Per questa ragione è necessario affidarci a pedagogie che invitino a ragionare, a riflettere, a discutere, a formarsi reciprocamente, in cui ciascuno faccia la sua parte e intervenga in modo attivo, creativo, critico, dialogico.

La pedagogia freiriana offre possibilità di coscientizzazione delle classi subalterne ed in funzione di ciò ha le potenzialità di riconsiderare le strutture fondanti dell’intervento educativo, ridiscutendo i metodi, ripensandone i contenuti. Il riconsiderare, ridiscutere, ripensare pedagogico non è statico, né tantomeno legato in modo dogmatico a una determinata corrente di pensiero, ma si forma e ri-forma sulle esperienze in un continuo divenire. La radicalità politico-educativa non va confusa con una posizione settaria e incondizionata, ma procurata nella costante ricerca di forme di educazione che incoraggino il pensiero e l’azione per una società che ripensi la politica in termini di “indignazione”, “partecipazione”, “creazione”, “bene comune”.

Negli incontri che si sono svolti su Freire in Italia mi sembra che sia emersa con grande forza l’esigenza di condivisione delle esperienze e delle riflessioni per intervenire in modo più consapevole nella prassi. Si è discusso, a lungo, sulla collocazione storica e culturale di un autore che è stato fortemente considerato negli anni Settanta nel nostro Paese per poi successivamente subire un leggero abbandono. Si è delineata la necessità di leggerne l’opera a partire dal suo contesto di origine, per poterne ridefinire il nostro sguardo, ripensare la nostra lettura.

A questa necessità è dedicato il seguente saggio.

Paulo Freire ha detto: “io non voglio essere seguito. Voglio essere re-inventato.”
La narrazione storica – benché inevitabilmente soggettiva– delle sue idee educative ed esperienze di vita, vorrebbe costituire una premessa alla re-invenzione piuttosto che alla conservazione del suo pensiero. Ma non può essere un autore, un educatore o uno scrittore solo a teorizzare la re-invenzione del pensiero di Paulo Freire. Esso andrà re-inventato mediante le ipotesi comuni di intervento educativo, la ricerca collettiva di relazioni più umane, profonde, creative, ma non tralasciando l’attenta conoscenza della sua pedagogia e dei contesti di intervento.

Questa è la speranza, narrando Paulo Freire, per una pedagogia del dialogo.