La crisi economica e l’impero USA
La crisi economica USA sarebbe avvenuta pur senza l’impero. La crisi è la risultante dell’iper-capitalismo USA, capitalismo alla massima pressione, senza restrizioni né “regolazione” secondo quanto dicono le forze di mercato. E più particolarmente è il risultato di quel pompare, succhiare la ricchezza dal basso, gettando nella miseria 90 milioni di cittadini USA, riducendo per giunta il loro potere d’acquisto, contribuendo a un’economia reale affaticata o altrimenti a un debito in costante aumento. E, ancor più in particolare, dovuta all’accumulo di ricchezza liquida, in cima a tutto quanto, che trova sfogo in un’economia finanziaria ancor più svincolata, del tutto estraniata dall’economia reale che pur dovrebbe in qualche modo riflettere.
Oltre tutto questo c’è pure la miseria intellettuale di quella maldisciplinata disciplina detta “economia”. Sì, in verità c’è stato qualche avvertimento, come “10 economisti premio Nobel attaccano il piano di riduzione fiscale di Bush” (Int’l Herald Trib., 22.02.03), ma riguardo solo qualche aspetto, non incisivo nella massa delle cause. E, peraltro, come la mettiamo con l’analisi del Fondo Monetario Internazionale dell’economia islandese giusto prima del tonfo:
”L’economia islandese è prospera e flessibile. Il suo reddito pro-capite è fra i più alti e la disparità di reddito fra le minori al mondo. […] Con questo sfondo le sue prospettive economiche a lungo termine restano invidiabili”.
E sprofondò.
Ma solo una parte dell’economia USA ha a che fare con l’impero USA. Certo, da chissà quanto tempo perdura il pompaggio di ricchezza [dal basso, ndt], come scambio ineguale sia nell’ambito dei paesi della Periferia, sia fra essi e il Centro in generale e gli USA in particolare, cui si aggiungono i massicci depositi bancari da parte dei ricchi dei paesi poveri nei paesi ricchi, con l’impoverimento doppio dei poveri nei paesi poveri, sostenuto dal potere militare, politico e culturale.
Ma la contraddizione basilare fra economia reale e finanziaria avrebbe condotto alla crisi economica anche degli USA isolati. Alcuni “prodotti” finanziari, particolarmente i CDF – “credit default swaps” ossia scambi sostitutivi d’inadempimento creditizio – e altri derivati, sono come fate morgane nell’aria surriscaldata e, come gli economisti senza adeguato, disciplinato radicamento empirico nella vita delle persone reali dell’economia reale, ma solo guidati dalle proprie astrazioni, collassano appena si rende evidente la mancanza di sostegno nell’economia reale. Evento sorprendente per gli ignoranti e gli innocenti per quanto altamente prevedibile. Si può considerare parte di tutto questo un portato di atti d’omissione, di mancato intervento tempestivo; e una parte, invece, dovuta ad atti di commissione.
Michel Chossudovsky, economista con i piedi ben per terra, appunta l’attenzione proprio su questo terzo aspetto (“Global Financial Meltdown”, Current Concerns, [“Implosione finanziara globale”] No. 9/10 2008):
“Il parapiglia globale per appropriarsi di ricchezza mediante la ‘manipolazione finanziaria’ è la forza trainante dietro la crisi.” “L’implosione finanziaria è in stretta relazione con la crescita sregolata di operazioni speculative altamente inspirate/combinate.”
“Una implosione della borsa valori può essere un’operazione ad alto profitto. Con preconoscenza e informazioni dall’interno, un collasso dei valori di mercato costituisce, mediante la vendita a breve un’opportunità lucrosa e di “vorticamento” finanziario per una categoria eletta di potenti speculatori con la capacità di manipolare il mercato nel modo giusto al momento giusto.”
“L’attuale implosione finanziaria si caratterizza per uno stato di guerra fra speculatori istituzionali in concorrenza in grado di mietere grossi profitti monetari durante le oscillazioni sia verso l’alto sia verso il basso del prezzo del petrolio grezzo.”
“Con il collasso dei valori di borsa si erodono i risparmi domestici di una vita, per non parlare dei fondi-pensione.”
E così via. Non c’è bisogno di scomodare un impero perché questa caricatura d’economia diventi così controproducente. Ma certo serve: c’è più da succhiare. E il contraccolpo sulle economie altamente vulnerabili della Periferia, particolarmente sui poveri intrisi di miseria, è catastrofico. Un olocausto strutturale.
Ma c’è dell’altro. Impero vuol dire accoppiamento. E accoppiamento vuol dire trasferimento di dialettica sociale, economica, ecc, come hanno fatto notare gli analisti della dipendenza latino-americana degli anni ’60 quali Fernando Henrique Cardoso (analista indimenticabilmente brillante, trasformatosi in un presidente del Brasile da dimenticare quando fece funzionare il sistema che aveva criticato). La crisi si riverbera per tutto l’impero. La soluzione: sganciarsi, e alla svelta, liberarsi dei prodotti marci, passare dal dollaro USA a euro, yuan ecc.
La dialettica è solo buon senso: le forze producono contro-forze. Ovunque si espanda una bolla ci sarà tensione sulla sua capacità di carico finché scoppia. Ovunque scoppi una bolla ci saranno forze che creano non-bolle o anti-bolle, ecc.
E ciò pone la domanda: quali istituzioni finanziarie sono state in grado di resistere alla torsione malefica dell’economia finanziaria che ha mandato tutto in aria sbattendolo senza pietà a terra? Risposta: “Il sistema bancario islamico – stabile in tempi vacillanti” (Washington Post, 31 ottobre 2008):
“… i cui sostenitori dicono che abbia incorporata una protezione dal tipo di collasso a domino che ha afflitto tanti istituti. Intanto ne è bandito l’uso di strumenti finanziari quali i derivati incolpati del crollo dei giganti bancari, assicurativi e degli investimenti. Come pure l’eccessiva assunzione di rischi – promettendo solo ciò che si possiede. Il denaro non può generare altro denaro semplicemente standosene lì. Per crescere dev’essere investito in imprese produttive.”
E Tany Cariina Hsu aggiunge in “Death of the American Empire [Morte dell’impero americano]”
“… le meno colpite dalla crisi sono le banche islamiche, ampiamente immuni al collasso perché vi è proibita l’acquisizione di ricchezza mediante il gioco d’azzardo (come l’alcol, il tabacco, la pornografia, o partecipazioni di capitale in fabbriche d’armi) e la cessione di un debito, come pure l’usura. Inoltre, l’attività bancaria secondo la shari’ah proibisce d’investire in qualunque azienda con debiti oltre il trenta per cento.”
Complimenti all’Islam e alla shari’ah. Servirebbe enormemente in un contesto da 11 settembre se l’Occidente arrogante in generale, e l’Anglo-America in particolare, riuscissero a vedere il valore della condivisione di tutte le nostre verità, islamiche comprese, nella lotta per migliori condizioni umane.
EDITORIAL, 10 Nov 2008 | #35 | Johan Galtung
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis
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