La scuola si scuote – Enrico Peyretti

Che succede nella scuola, in tutti i suoi gradi, dalle materne all’università, in tutte le sue componenti?
La democrazia comincia dalla libertà di imparare, di sapere, di pensare, di parlare. Non comincia, e semmai finisce, nel delegare qualcuno per tutti, accomodandosi nel pensiero unico. Se la scuola si scuote, può svegliare l’Italia dall’incantesimo comatoso. La scuola è la mente di una società. Là tutto comincia, nel bene e nel male. Più dei media, la scuola si rivela improvvisamente luogo di pensiero indipendente e critico.  Per questo, chi vuol essere il “maestro unico” di tutti tenta di ridurre la pericolosa libertà della scuola e di metterla nelle mani degli interessi particolari a lui congeniali. Chi vuole dominare un popolo occupa la scuola, dopo la televisione.
Ora però la occupano i suoi abitanti e lavoratori: gli studenti insieme ai professori, le maestre e i maestri insieme ai genitori. Non la occupano per bloccarla, ma per difenderla, abitarla e ravvivarla. Le lezioni non sono interrotte, ma svolte anche in piazza per evidenziare il problema
Nella facoltà torinese di Agraria, già da 15 giorni gli studenti dormono in tende nei prati sperimentali della facoltà, e di giorno seguono le lezioni. Dicono: “Abitiamo la facoltà perché la amiamo, e facciamo leva sulla terra, che è il nostro campo di studio”.
Nell’assemblea tenuta stasera nella “fabbrica delle e”, un locale del Gruppo Abele, gli studenti hanno denunciato che i tagli colpiscono allo stesso modo gli atenei virtuosi nella spesa quanto gli altri. Dicono: “Il conflitto non è sulla didattica e contro l’autoritarismo, come nel ’68, ma insieme ai docenti chiediamo che il governo ci lasci lavorare bene”. Un professore dice: “Finché c’è la luce in aula, io faccio lezione anche senza stipendio, ma devo poter lavorare bene”.
Col blocco del turn over – dice uno studente – ogni cinque docenti che vanno in pensione è assunto un precario. Guarda quanto si perde. Potrebbero invece essere assunti anche più di cinque ricercatori, a stipendio minore dei docenti, realizzando risparmio ed efficienza.
Un maestra con 35 anni di esperienza fa notare che, nelle scuole elementari, le prime vittime della riduzione degli insegnanti saranno i bambini con qualche difficoltà.
Nel liceo Volta di Torino si fanno assemblee insieme agli insegnanti, e momenti sia di autogestione sia di cogestione con loro. Nel liceo artistico la preside dormirà a scuola con gli studenti. Qualcuno chiede dove. Forse nel suo ufficio…
Nelle scuole a orario lungo (istituti tecnici, professionali, artistici) i tagli incideranno più pesantemente.
Il solo parlare di classi differenziate è grave, anche se non dovessero farle. Il problema degli allievi che non conoscono l’italiano si risolve, al contrario, inserendoli nella classe di tutti, con insegnati d’appoggio.
Dopo la minaccia poliziesca di Berlusconi, del 22 ottobre (che è andata subito sui giornali internazionali), il movimento è più consapevole di dovere resistere alla provocazione che vorrebbe vederlo violento e sconsiderato. Ma sa anche che se il governo si mette su questa strada diventa pericoloso per la comunità degli studi, per la cittadinanza, ma anche per se stesso, perché la coscienza civile di un popolo non è perduta per sempre.
La scuola non è un’azienda proprietà di un cavaliere, che debba funzionare quanto basta a far campare il minimo di inutili produttori di idee fastidiose; non è un settore che possa essere il primo su cui risparmiare quattrini tagliando personale e mezzi all’educazione e alla ricerca; le università non sono imprese che possano essere cedute a fondazioni private.
Chi saprà interpretare politicamente questo fermento civile? Qualcuno parla di un referendum per annullare la legge Gelmini. Quale partito democratico, quale sinistra a pezzi, quali consigli locali elettivi, interpellati dalla scuola, sapranno tradurre in azione istituzionale questa nuona imprevista domanda di sostanza democratica?

22-23 ottobre 2008