Gandhi mi ha detto – Nanni Salio

Irrequieto come Bruce Chatwin, colto, aristocratico, curioso, cercatore della verità, artista, giramondo, avventuriero,  negli anni che precedono la bufera di violenza che spazzerà l’Europa e il mondo intero, Lanza del Vasto aprì la via del pellegrinaggio verso l’India, lungo la quale si incammineranno a migliaia i giovani figli dei fiori trent’anni dopo.
Ma, come dirà in seguito, “quando, nell’autunno 1936, partivo per l’India, non cercavo l’India” (L’arca aveva una vigna per vela, Jaca Book, Milano 1980). Tentava di fuggire dalle nubi di guerra che si andavano addensando sull’Europa, alla ricerca di una alternativa che aveva intravisto nella dottrina della nonviolenza predicata e praticata dal Mahatma Gandhi. Animato dalla stessa inquietudine esistenziale del principe Siddhartha, fuggiva  dalla ricchezza e dagli sfarzi che la vita mondana e cittadina gli proponeva, incompatibili con la sua scelta di povertà e semplicità. “Quel viaggio fu come un grande amore”, un pellegrinaggio alle sorgenti della nonviolenza, che Lanza del Vasto raccontò con stile elegante e a tratti arguto in un testo destinato a diventare ben presto libro di culto. Rileggere oggi Pellegrinaggio alle sorgenti – riproposto da Il Saggiatore, (pp. 283, 16 euro) nella traduzione del testo francese del 1943, approntata sei anni dopo dall’autore stesso – è come andare indietro nel tempo, in un’India che scompare.
Dopo essere approdato a Ceylon, l’odierna Sri Lanka, e aver attraversato metà dell’India, Lanza del Vasto arriva nell’ashram di Gandhi, a Wardha, dove rimarrà per tre mesi al fianco del “Re dei Reietti… Il condottiero degli inermi, il padre dei paria… colui che solo nel deserto di questo secolo ha mostrato un’oasi verde, offerto una sorgente agli assetati di giustizia”. E incontra altri “pellegrini”, il più famoso dei quali, Abdul Ghaffar Khan, “un uomo d’alta statura dal profilo a taglio di scure” diventerà il leader musulmano di un esercito di centomila soldati nonviolenti che metteranno in scacco gli inglesi lungo la mitica frontiera del Kyber Pass, che  separa l’odierno Pakistan dall’Afghanistan (Eknath Easwharan, Badshah Khan, Sonda, Torino 1990): alternativa concreta ed efficace contro  ogni forma di terrorismo.
A Wardha, Lanza del Vasto rafforza la sua conversione alla nonviolenza in un fruttuoso confronto con Gandhi e ne delinea il pensiero in pagine intense e chiare: “la nonviolenza del solitario è dignità di chi resta immune dal contagio della collera anche al contatto dell’aggressore”. Essa differisce da quella collettiva perché quest’ultima “può diventare contagiosa” per l’uomo comune. “L’esempio d’un popolo intero, impegnato in una mitica impresa, lo trascinerà quasi senza che lo voglia. Il primo a subire il contagio è il nemico sul quale l’audace pazienza della moltitudine esercita un’azione paralizzante”.  Sono le stesse parole con le quali si esprimerà mezzo secolo dopo Vaclav Havel per descrivere il “potere dei senza potere” manifestatosi nelle rivoluzioni del 1989.
Nell’aprile 1937, Shantidas, il Servitore-di-Pace,  nome dato da Gandhi a Lanza del Vasto, si appresta a compiere un impegnativo pellegrinaggio nel pellegrinaggio. Ha inizio il viaggio verso le sorgenti del Gange, quelle “acque sacre”  ancora oggi meta di avventurosi viaggiatori (Alter Stephen, Acque sacre, Ponte alle grazie, Milano 2002) E’ l’iniziazione alla ricerca interiore, allo yoga, alla riscoperta di quelli che Lanza del Vasto definiva (è anche il titolo di un suo libro, Gribaudi, Torino 1988)  “principi e precetti di ritorno all’evidenza”. In questa parte del suo peregrinare, giunse vicino al Tibet e vide le carovane che provenivano dal più grandioso di tutti i pellegrinaggi che si possano intraprendere: il kora del Kailash, il mitico monte Meru venerato da buddhisti, hindu, jainisti, bon e dai cercatori di verità e nonviolenza. 
Se il Kailash è la montagna sacra per eccellenza, dotata di uno straordinario potere “tanto grande e tuttavia così sottile che, senza costrizione, la gente giunge da ogni dove, come se fosse attirata dalla forza di una calamita invisibile”,  Gandhi è la sorgente dell’ahimsa, capace di emanare un’analoga forza di  attrazione  religiosa e politica e di ispirare visioni e azioni che si sono diffuse ovunque nel mondo.  La resistenza e la tenacia di Shantidas furono messe a dura prova durante questa sorta di iniziazione all’India profonda e di noviziato allo yoga: “Avevo intrapreso il pellegrinaggio alle Sorgenti per penetrare nelle tradizioni del paese dove volevo stabilirmi… ma un nuovo pensiero fece strada in me: che…il posto di un discepolo occidentale di Gandhi fosse in occidente e il suo compito fosse quello di seminare nella terra più ingrata: a casa propria.”  Ritornato a Wardha, nel settembre dello stesso anno, espose questo suo progetto e i dubbi che lo assillavano a Bapu,  nome affettuoso con cui i più intimi si rivolgevano a Gandhi, e ne ricevette conferma, a patto di sentirsi chiamato dalla “voce interiore”.  Ma come essere certi di tale chiamata? “Bapu ha forse ragione: non sono chiamato da niente e da nessuno. Perché dunque mi son messo in testa che avrei qualche cosa da insegnare ad altri?” Pochi mesi dopo, nel febbraio 1938, fu Gandhi stesso ad aiutarlo a superare gli ultimi dubbi con queste parole: “è bene che tu vada e cerchi lungi da me la prova che desideri. Vedrai se la nonviolenza è in te abbastanza forte per imporsi da sé a quelli che ti circondano… Vedrai da vicino la contesa tra Musulmani ed Ebrei che mi tormenta tanto, mi dirai ciò che hai pensato”. E aggiunse: “Tu sei uno di loro, forse arriverai a portarli verso la nonviolenza. Io ne sono incapace. Anche quando, per eccezione, ne accettano l’idea, they do not know to handle it, non sanno come maneggiarla. E che bella cosa sarebbe riuscirvi! La vostra  razza è intraprendente, ardita, fresca. Sì, essa possiede una freschezza che a noi manca. Non è impegolata come noi nel peso del passato”.
Poco dopo, Shantidas rientrò in Europa, con un viaggio avventuroso che lo portò a tentare invano di compiere il pellegrinaggio in Terra Santa. Ma lo spirito del pellegrino non lo aveva ancora abbandonato e riuscì a ritornarvi nei mesi successivi incalzato dall’urgenza degli eventi: “la guerra ci veniva addosso, non c’era tempo da perdere, subito, subito!”
Passarono ancora alcuni anni prima che il suo sogno si realizzasse: fondare i villaggi gandhiani d’occidente nel sud della Francia, che nel corso degli anni si fecero promotori di lotte nonviolente contro la militarizzazione del territorio, contro la guerra in Algeria, contro le armi nucleari, a favore dell’obiezione di coscienza e per uno stile di vita e una economia coerentemente nonviolente.
Nel frattempo, i pellegrinaggi continuarono. Lanza del Vasto tornò in India nel 1954 per conoscere Vinoba Bhave, l’erede spirituale di Gandhi impegnato nella campagna di redistribuzione nonviolenta delle terre. E subito dopo fu la volta della Sicilia di Danilo Dolci. Da allora la nonviolenza ha cominciato a diffondersi, sempre incalzata da venti di guerra. Saremo capaci di realizzare per tempo il tanto agognato futuro nonviolento? La strada è stata aperta, altri pellegrini dovranno mettersi in cammino.