E Stalin disse da
Nel suo libro di memorie, Tre anni a Mosca, Walter Bedell Smith, ambasciatore USA presso il Cremlino nell’immediato dopoguerra (1946-48), racconta del giorno in cui, preoccupato per le nuvole che si stavano addensando sui rapporti con l’ex alleato, si recò da Stalin, per tentare un chiarimento. Stalin lo accolse con ostentata ostilità e diffidenza e Bedell Smith, che era un soldato e non un diplomatico, a un certo momento, decise di tentare la via della franchezza chiedendogli direttamente: «Ma davvero lei crede che gli Stati Uniti vogliano far guerra all’Unione Sovietica? ». Stalin lo guardò fisso negli occhi e dopo qualche secondo, si limitò a rispondere: «Da (sì) ».
E’ molto probabile che se a Putin qualche mese fa avessero fatto la stessa domanda avrebbe risposto: «Non lo so, ma so di certo che USA e NATO stanno facendo di tutto per confinare la Russia in una condizione di subalternità e insicurezza, non solo continuando minacciosamente ad avvicinarsi sempre di più ai confini russi, arruolando nelle proprie file paesi ex alleati dell’Urss e pezzi della stessa ex Urss, ma ora ricorrendo persino a qualcosa di simile alle “guerre stellari” di reaganiana memoria che negli anni ’80 fiaccarono la schiena dell’Urss.
Bene, la Russia non è più disposta a subire questa forma di aggressione strisciante e alla prima occasione ve lo dimostrerò». La prima occasione si è presentata qualche mese dopo nel Caucaso e Putin non se l’è lasciata scappare. Insomma, ci sono buone ragioni per ritenere che le cause della recente crisi georgiana e del successivo repentino peggioramento nei rapporti Russia-Nato vadano cercate non nel Caucaso ma piuttosto in Europa e precisamente in Polonia e nella Repubblica ceca. Perché qui gli Usa stanno montando pezzi di un sistema ABM (Anti Ballistic Missile) che, se realizzato, darebbe loro la first strike capability, la possibilità, cioè, di vibrare il primo colpo – nucleare – senza temere la risposta russa, perché protetti appunto dal sistema ABM.
La Russia non sarebbe più garantita dal fattore MAD (Mutual Assured Destruction), come lo è stato per tutto il tempo della guerra fredda e dell’equilibrio del terrore, e perderebbe in pratica lo status di potenza nucleare (a meno che non provveda lei a vibrare il primo colpo e a scatenare la MAD, prima che l’ABM venga messo in funzione…).
Con la sua energica reazione all’attacco sferrato dal georgiano Saakashvili all’Ossezia del Sud, Putin (che già un anno fa fece un trasparente discorso sull’esigenza suprema della sicurezza) ha voluto far capire che è pronto a far ben altro, considerato che gli USA, e a loro rimorchio NATO e Europa, stanno apparecchiandogli una minaccia mortale. Chi ha buona memoria sa non è un’ipotesi azzardata, ma la previsione del ripetersi d’un déjà vu nei primi anni 80, quando proprio di fronte a una minaccia analoga — le “guerre stellari” di Reagan — l’Urss di Gorbacev fu costretta ad alzare bandiera bianca e a scambiare il ruolo di coprotagonista sulla scena mondiale, detenuto per 40 anni, per quello più modesto di comprimario di secondo o terz’ordine.Come è noto il progetto antimissile reaganiano non fu realizzato, sebbene fosse già costato 32 miliardi di dollari dei 55 previsti: nel 1993 il ministro alla difesa USA, Les Aspin, ne annunciò l’abbandono, ma non per questo esso ebbe importanza storica minore.
«I dirigenti sovietici, commentò allora Le Monde, si sforzarono anch’essi di creare il loro sistema antimissile, ma più che l’esotico progetto reaganiano ciò che essi temevano fu di uscire finanziariamente distrutti dall’obbligo di star dietro agli USA in una spossante competizione tecnologica in cui l’Urss partiva svantaggiata. M. Aspin lo ha riconosciuto: la corsa alle guerre stellari, lanciata da Reagan, fatta segno al sarcasmo di molti esperti, ha senza dubbio avuto il suo peso nel crollo dell’Urss alla fine degli anni 80» .
Ora Putin ha deciso di accettare la nuova sfida e fa sapere di aver pronto un progetto di missile intercontinentale, il Topol RS-12M, capace di perforare lo scudo spaziale americano. Esso potrà trasportare un’ogiva nucleare 40 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima e avrà una gittata di 10.500 km, superiore cioè, neanche a dirlo, alla distanza che separa la base di lancio di Plesettsk, a NE di Mosca, dalla costa orientale degli Stati Uniti.
La arms race, la corsa agli armamenti, dunque, riprende e lo spettro gelido della catastrofe nucleare si riaffaccia sulla scena del mondo.