Caucaso: la polveriera al lavoro

Johan Galtung

Nel 2003, da una prospettiva TRANSCEND sul Caucaso (50 Years: 100 Peace & Conflict Perspectives, TRANSCEND University Press, 2008, capitolo 39c, vedi anche capitolo 64): nel giugno 1997 fu chiesto a TRANSCEND di esplorare le possibili vie d’uscita per la situazione del Caucaso (del Sud). Poiché nessuna delle linee suggerite (grosso modo, una Comunità del Caucaso con tre paesi e 28 nazioni in quell’area, con un territorio comune dove i tre paesi si incontrano, nel centro, per una amministrazione congiunta, un aeroporto principale, ecc.) è stata implementata, la prognosi di quegli anni diventa la diagnosi di oggi. Grandi Uomini con Grandi Clan fanno Grandi Affari con Grandi Potenze. Petrolio e soldi fluiranno, costruendo una classe corrotta di nuovi ricchi. Le popolazioni non saranno interpellate, le nazioni non verranno rispettate, solo il potere delle armi e del denaro.

La geografia colloca il Caucaso, allora come oggi, “con la Russia al Nord, la Turchia ad Ovest, l’Iran al Sud, e gli USA ovunque in trepidante attesa”, solo che ora gli USA sono arrivati, in Georgia e Azerbaidjan, e la Russia in Abkhasia e Armenia.

Il Caucaso è oggi uno dei principali teatri della II Guerra Fredda, l’accerchiamento a lungo termine di Russia-India-Cina (40% dell’umanità) per controllare l’Eurasia (l’“isola mondiale” secondo la geopolitica di un secolo fa di MacKinder), soprattutto quest’ultima, attraverso l’espansione verso Est della NATO e verso Ovest dell’AMPO, il sistema di sicurezza USA-Giappone (con la Corea del Sud e Taiwan come membri di fatto). Inoltre, gli USA premono per fare entrare la Georgia nella NATO, come fanno con l’Ucraina, avvicinandosi ancor più al cuore della Russia. Questa richiesta fu respinta nell’ultimo incontro NATO questa primavera, mostrando un pizzico di sanità mentale tra gli altri membri, ma non in linea di principio, la situazione non era ancora favorevole.

Il cambio di regime in Cina è il n. 7 dei dieci obiettivi indicati nel Project for a New American Century, PNAC (Progetto per un nuovo secolo americano), tuttora la principale guida della politica estera USA, ed è la questione chiave alla base del progetto. Oltre ai due paesi caucasici, è stato assegnato un ruolo militare ad Afghanistan, Pakistan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, Kazakistan e Tajikistan, mettendoli in relazione in modo superficiale con l’Afghanistan e genericamente con la “guerra al terrorismo”. Obiettivi di breve periodo sono stati raggiunti da leader mediocri con il rischio altamente probabile di diventare le principali zone di guerra per il potere nell’Asia Centrale, con entrambe le parti che probabilmente studiano come le popolazioni dell’Afghanistan e dell’Iraq combattono gli invasori stranieri.

Tutto questo si somma con la possibilità che il Caucaso diventi una delle principali zone di guerra qualora la II Guerra Fredda diventi calda, come nel caso della I Guerra Fredda non in un confronto diretto Washington-Mosca. Per mobilitare le due parti occorre mantenere aperta e irrisolta la questione del Nagorno-Karabak (NK). Una possibilità è che l’Azerbaidjan invada il NK, quando il petrolio lo avrà reso sufficientemente ricco per superare le conseguenze dell’ultima guerra, entrando in una catena senza fine di vendette e redistribuzioni. Poiché le guerre internazionali (leggi: interstatali) favoriscono l’integrità territoriale invece che la autodeterminazione nazionale, le proteste saranno poche.

L’attuale esplosione della Georgia è un caso come questo. L’Unione Sovietica aveva l’Armata Rossa posta al vertice di una sorta di federazione: tolto il coperchio il calderone è entrato in ebollizione. La Georgia è simile: tolto il coperchio, Abkhasia e Ossetia del Sud (e la mussulmana Ajar) hanno proclamato la secessione, rifiutando di essere culturalmente ed economicamente invase da Tbilisi, e governati politicamente da essa. Sono molto più vicine alla Russia, il che non vuol dire necessariamente che esse vogliano entrare a far parte di questo gigantesco paese. L’autodeterminazione non mira ad alcuna reintegrazione con la Georgia. Ma questo è un gioco tra giganti, dove la popolazione non conta molto.

Quale soluzione possibile? La Georgia come stato unitario non ha nessuna possibilità tranne come propaganda nazionalista. Come federazione, qualche probabilità in più, come comunità forse, come quattro entità dentro una Comunità del Caucaso molte di più.

Qualcosa di simile vale per il caso ancor più difficile del Nagorno-Karabak. Qualsiasi accordo di pace deve rispettare il diritto degli Armeni all’autodeterminazione, e l’eguaglianza tra le parti. Barattare i diritti umani degli Armeni nel NK in cambio di un flusso di petrolio per il futuro può sembrare intelligente dal punto di vista dei due stati. Ma la “pace” a scapito dei bisogni fondamentali per essere governati da qualcuno della propria parte è una bomba ad orologeria che aspetta di esplodere. Lo status quo, congelando la situazione, è ingiusto nei confronti delle popolazioni coinvolte e pericoloso. Dividere il NK renderebbe le singole parti non sostenibili e instabili.

Una soluzione sostenibile dovrebbe includere i seguenti punti:

  • NK come stato indipendente, vincolato a proteggere le minoranze:
  •  Sovranità congiunta Azerbaidjan-Armenia, con governo “biconsolare”, possibilmente a rotazione:
  • Confederazione, o anche federazione, Azerbaidjan/NK/Armenia;
  • Il Caucaso come confederazione o anche federazione, con il NK come una delle parti;
  • Ingresso di tutti nell’Unione Europea come federazione de facto.

Le ultime quattro opzioni comporterebbero che gli abitanti abbiano un passaporto nel quale compaiono due nomi: NK e Az, oppure Ar, NK e il nome della comunità o dell’unione. Per l’Unione Europea questo passaporto esiste già. Per l’Abkhasia, come pure per l’Ossetia del Sud, deve essere riconosciuta anche una identità russa.

La pace in Caucaso implica che vengano allontanate le grandi potenze, e che ci si impegni in politiche di integrazione nella regione. Le attuali politiche portano lontano dalla pace. Un governo georgiano che cerca di ottenere il consenso popolare reclamando territori “perduti”, sperando in qualche forma di supporto USA, ha già aggravato la situazione, con la possibilità di portare a una guerra di maggiori proporzioni. Occorrono autentici statisti, per favore.


EDITORIAL, 11 Aug 2008

#19 | Johan Galtung

Titolo originale: “Caucasus; the powder keg at work”

Traduzione a cura del Centro Studi Sereno Regis


 

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