Paolo Naso, Come una città sulla collina – La tradizione puritana e il movimento per i diritti civili negli Usa

Paolo Naso, Come una città sulla collina – La tradizione puritana e il movimento per i diritti civili negli Usa, Claudiana, pp. 150, euro 13.00

“Quando ti preoccupi dei reali problemi di questo Paese ti rendi conto che quel problema è il cristianesimo. Ma il cristianesimo è anche la sua speranza”. Così disse Fannie Lou Hamer, una donna nera del Mississippi che lavorava in una piantagione e assunse ruoli di responsabilità nel movimento per i diritti civili. Solo un esempio delle numerose figure femminili che tanto contribuirono con le idee e con l’azione alla lotta per la desegregazione e contro la povertà. E i ritratti di uomini e donne “del” movimento rappresentano senz’altro uno dei passaggi più preziosi del nuovo volume di Paolo Naso. L’originalità e la forza straordinaria dei milioni di neri e di bianchi che si battevano con la nonviolenza contro il principio ipocrita del “separati ma eguali” stavano nel loro fondarsi sui pilastri stessi della nazione americana: la Bibbia da un lato, la Dichiarazione d’Indipendenza e la Costituzione dall’altro. Altri avevano tradito e abbandonato quelle premesse; altri non garantivano il diritto alla vita, alla libertà, alla ricerca della felicità.

I puritani che secoli prima erano giunti dal Vecchio continente credevano in un patto per così dire verticale, fra gli esseri umani e Dio, e in uno orizzontale, fra gli individui: su tali patti si basava la comunità ed erano essi a conferirle il senso di una vocazione e della missione da compiere. Forte era in tale quadro la teologia dell’Esodo; l’immagine della traversata del deserto verso la Terra promessa. Ma pensare l’America “come una città sulla collina” che illuminasse il mondo non era troppo poco laico? Se in alcune colonie si era prossimi alla teocrazia, altre furono veri e propri esempi di separazione fra sfera religiosa e sfera politica e divennero palestre di libertà e di tolleranza. Si tratta piuttosto – e ciò vale ancora oggi – di “una religione che modella la vita della nazione ma senza strozzarla. Credere in Dio è centrale nell’esperienza del Paese ma per un’ampia fascia di persone la fede è una scelta e non una costrizione (…) È così perché i Fondatori si ritenevano a servizio sia di Dio sia dell’uomo e non solo all’uno o all’altro”.

E poi Martin Luther King, che nei suoi discorsi evocava immagini e concetti della tradizione puritana, compresa la “geremiade”, una sorta di lamentazione dei problemi, delle calamità e dei peccati che affliggevano la comunità, era assai lontano da una lettura fondamentalista del testo biblico e si muoveva con equilibrio fra l’ottimismo antropologico del Social Gospel e della teologia liberale e il pessimismo barthiano.

Ecco: il libro di Naso ha il merito di porre in primo piano sia la figura di King che ciò che la precede e l’accompagna; nulla fa da sfondo, tutto è importante in questa narrazione (corredata di fotografie assai interessanti, veri e propri documenti storici). Come comprendere quegli eventi, a esempio, ignorando il ruolo delle chiese nere? E come dimenticare la funzione che negli anni ’50 ebbe il National Council of Churches (NCC), “organismo di collegamento e cooperazione tra le grandi denominazioni protestanti degli Stati Uniti”?
Così nel ’62 il puritano nero potè affermare: “Sentiamo di essere la coscienza dell’America – siamo la sua anima inquieta e turbata – e continueremo a insistere che giustizia deve essere fatta, perché sia la volontà di Dio sia l’eredità della nostra nazione parlano attraverso le nostre reiterate richieste”.

(Tratto dal numero 25 del 20 giugno 2008 di RIFORMA, settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi)

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