Johar! Territori del sacro. Continuità e tradizione delle culture indigene in Jharkhand (India) – Mostra a Roma

Johar! Territori del sacro. Continuità e tradizione delle culture indigene in Jharkhand (India)
Museo “Luigi Pigorini”, Piazza Marconi 14 – Roma E.U.R. Al Salone delle Scienze prorogata fino al 14 settembre 2008
A cura di Daniela Bezzi

Sono in mostra fino al 14 settembre 2008 le opere pittoriche e su tessuto delle artiste tribali Putli Gangju, Philomina e Juliet Imam, Rukmani e Parvati Devi e altre della Tribal Women Artists Cooperative di Hazaribagh (TWAC); e di Tarshito Nicola STRIPPOLI (in workshop con la TWAC, autunno 2006)
Percorso fotografico di Mario POPHAM e Robert WALLIS

Orari di apertura: da Martedì a Domenica dalle 10.00 alle 18.00. Info e foto: [email protected], Cell 338 192 5845

Collegamenti: Metro B “Eur Fermi” – ATAC: 30 Express, 170, 671, 703, 714, 717, 764, 765, 780, 791

C’era una volta un’India che precisamente in questa stagione dell’anno festeggiava nei villaggi il momento culminante della stagione dei matrimoni. Le case di argilla venivano rinfrescate di dentro e di fuori e riccamente decorate con motivi, segni, rappresentazioni che potevano variare da regione a regione, ma che ovunque erano l’espressione di un identico legame con la terra, con il succedersi delle stagioni, con il ciclo della fertilità.
I nomi dei Festival potevano variare da regione a regione, esattamente come I nomi delle divinità locali. Più ancora poteva variare lo stile pittorico: coloratissimo e marcato dal culto di Ram e di Sita quello dei villaggi Madhubani nell’area di Mithila, nord Bihar; severo e rigoroso quello dei Warli nell’area di Pune, a nord di Mumbai; geometrico o floreale in altre zone. Ovunque nell’India rurale il momento dei matrimoni e più avanti in autunno, quello dei raccolti, erano l’occasione per trasformare il paesaggio in qualcosa che il gergo dell’arte contemporanea chiamerebbe landscape art. Una straordinaria esplosione di colori e creatività infusa nella sacralità del rito e un rito esclusivamente femminile, una preghiera all’unione con il creato e alla maternità. Tutto questo fa parte ormai ovunque di un’India che non è più. Eccetto che in alcune remote zone tribali, come appunto il Jharkhand, ex sud Bihar, che è l’area di indagine della ricca mostra appena aperta al Museo Luigi Pigorini di Roma. C’era una volta un’India che precisamente in questa stagione dell’anno festeggiava nei villaggi il momento culminante della stagione dei matrimoni. Le case di argilla venivano rinfrescate di dentro e di fuori e riccamente decorate con motivi, segni, rappresentazioni che potevano variare da regione a regione, ma che ovunque erano l’espressione di un identico legame con la terra, con il succedersi delle stagioni, con il ciclo della fertilità.
I nomi dei Festival potevano variare da regione a regione, esattamente come I nomi delle divinità locali. Più ancora poteva variare lo stile pittorico: coloratissimo e marcato dal culto di Ram e di Sita quello dei villaggi Madhubani nell’area di Mithila, nord Bihar; severo e rigoroso quello dei Warli nell’area di Pune, a nord di Mumbai; geometrico o floreale in altre zone. Ovunque nell’India rurale il momento dei matrimoni e più avanti in autunno, quello dei raccolti, erano l’occasione per trasformare il paesaggio in qualcosa che il gergo dell’arte contemporanea chiamerebbe landscape art. Una straordinaria esplosione di colori e creatività infusa nella sacralità del rito e un rito esclusivamente femminile, una preghiera all’unione con il creato e alla maternità.
Tutto questo fa parte ormai ovunque di un’India che non è più. Eccetto che in alcune remote zone tribali, come appunto il Jharkhand, ex sud Bihar, che è l’area di indagine della ricca mostra al Museo Luigi Pigorini di Roma. Al centro di questo particolarissimo Evento d’Arte, e di un’Arte così contemporanea e al tempo stesso così antica e “lontana” dal cono d’attenzione di critici e galleristi – benchè così pregnante e significativa per le popolazioni che ogni anno la “rivivono” con tale collettiva solennità – una particolare tradizione di pittura muraria che le artiste Putli Ganju (etnia Ganju), Philomina Tirkey Imam e Juliet Fatima Imam (etnia Oraon) in rappresentanza della Tribal Women Artists Cooperative di Hazaribagh hanno performato dal vivo, un paio di settimane fa, sotto la bella Loggia della Piazza Centrale della città di Udine, che le ospitava durante i giorni del Festival Vicino Lontano – Premio Terzani. Ed è con questo bellissimo Trittico in progress (sono in effetti già previsti ulteriori tappe e arricchimenti) che si apre il percorso espositivo della Mostra Johar! al Museo Pigorini. Nelle sale successive, e particolarmente in quella centrale, lo sguardo si apre su una ricca collezione di opere nei più vari formati e media (su carta, su tela, o ricamate a punto ledra) in stretto dialogo con la propria originaria iconografia: il ricorrente motivo del Pashupati, Signore degli Animali (o della Creazione), considerato il prototipo del Shiv; la “radice” del Tridente, così simile in effetti a una pianticella; la sacralità del paesaggio, la particolare pregnanza di alcune rocce, conformazioni megalitiche, profili di montagna. Ciò che anche il nostro vocabolario definirebbe “anima dei luoghi” e che per i tribali di questa regione è il sarna, la loro religione.
L’altro aspetto non meno straordinario di queste tradizioni è la mai interrotta continuità con le numerose incisioni rupestri del circondario, come la Mostra accenna nella sala successiva: dove alcuni motivi ricorrenti, soprattutto nella tradizione del khovar (la cava originaria) sono accostati alle rilevazioni di alcune cave e siti archeologici minuziosamente catalogati da Bulu Imam, singolare figura di studioso autodidatta, fondatore della Sanskriti Foundation di Hazaribagh. Tipica inquisitive mind dell’India di oggi Bulu Imam invoca da anni una maggiore consapevolezza di questo patrimonio ed è attivamente impegnato per tutelarne la sopravvivenza nel confronto sempre più invasivo con uno sviluppo che in queste regioni è ormai quasi esclusivamente minerario. E su questo particolare aspetto la Mostra riserva gran parte dell’ultima sala ai fotoreportages di Mario Popham e Robert Wallis che in Jharkhand hanno lavorato a lungo.
Completa la Mostra un’opera che l’artista italiano Tarshito Nicola Strippoli ha recentemente creato lavorando con la Tribal Women Artists Cooperative di Hazaribagh: intitolata Mandala dell’Unione essa rappresenta un momento di promettente germinazione tra la forza di una tradizione che si è trasmessa pressochè intatta per millenni e la pulsione sperimentale di una contemporaneità in grado di cogliere nell’estrema lontananza di questa regione l’espressione di un’arte che dalla mai esausta inter-relazione con la terra attinge motivi, colori, materiali e sempre nuova ispirazione. E che precisamente in questo modo, in rispettosa relazione e in continuo dialogo con Madre Terra vissuta sì come generatrice ma anche come casa dipinta, ogni anno rinnovata e resa bella – ha sfidato il passare del tempo e ci viene incontro oggi con tanta vibrante freschezza: Johar!

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