Per un futuro senza guerra

Angela Dogliotti

Alberto L’Abate, Per un futuro senza guerra. Dalle esperienze personali a una teoria sociologica per la pace. Con una premessa di Franco Ferrarotti, Liguori editori, 2008, pp. 395, euro 32,00.

L’ultimo libro di Alberto L’Abate, Per un futuro senza guerra, appena pubblicato da Liguori, raccoglie quanto è stato seminato in una vita di ricerca e di intense esperienze.
Diviso in quattro parti, nella prima sono esposti i fondamenti che hanno orientato il lavoro di L’Abate in ambito scientifico e di ricerca, che per lui, come nella migliore tradizione della peace-research, non è mai disgiunto dall’impegno educativo, sfociato nell’istituzione del Corso di Laurea per Operatori di Pace all’Università di Firenze nel 2001, e dall’azione diretta, di cui nel libro ci sono ampie testimonianze.
Quali premesse epistemologiche per fondare una sociologia della nonviolenza? Come affrontare correttamente, in questa prospettiva, i problemi della guerra e della pace? Poiché la pace è questione complessa e globale, è necessario assumere l’approccio della complessità, basato su tre principi: della causalità circolare, dell’interdipendenza e della reciprocità. E’ così possibile analizzare il circolo vizioso della guerra e comprendere come si può iniziare un processo discendente.
Condizioni per realizzare questo passaggio è essere consapevoli dell’interdipendenza tra livello personale e livello strutturale, il che , tradotto in una strategia di mutamento sociale, significa operare per far crescere il potere e la responsabilità dal basso ed elaborare un “programma costruttivo” che consenta di avviare delle alternative nel momento stesso della lotta, per “essere il cambiamento che si vuole vedere” (Gandhi).
Per fare questo è però indispensabile coordinare le forze in una rete di movimenti e organizzazioni che agiscono nei vari ambiti, sottolineando l’importanza dell’azione in prima persona, sia a livello individuale che nei gruppi di base.
Un importante paragrafo del libro affronta poi la questione di quale modello di essere umano sta alla base della ricerca per la pace.
L’Abate risponde riferendosi ai risultati delle sue ricerche su “I giovani e la pace”, dalle quali emerge che, nonostante molti dati empirici sembrino confermare l’ineluttabilità della violenza nel comportamento umano, se si analizzano più in profondità i contesti e le circostanze si scopre che ci sono ampi spazi di intervento possibili per contrastare le derive dell’indifferenza e dell’impotenza e per sviluppare l’assertività, che risulta essere un potente antidoto alla violenza e una componente essenziale dei comportamenti di pace.
L’opzione che sottende tutto il lavoro di L’Abate è dunque che guerra e pace non sono “fatti” che avvengono per caso o per qualche causa sconosciuta, ma sono piuttosto dei “processi” che iniziano e si sviluppano secondo certe modalità, sulle quali si può incidere, agendo in modo appropriato.
Un altro concetto centrale presente nel testo è una concezione positiva del conflitto sociale come strumento ineliminabile di riequilibrio e di cambiamento, a condizione che sia trasformato con gli strumenti dell’azione nonviolenta.
La seconda parte del testo è tesa allora a mostrare come agisce la nonviolenza, quali risultati ha dato nel passato e potrebbe dare se si predisponessero opportuni strumenti di intervento quali, ad esempio, i Corpi Civili di Pace, come alternativa all’intervento armato, soprattutto nella prevenzione dei conflitti e nei difficili processi di ricostruzione e riconciliazione post-conflittuali.
Nella terza parte sono analizzati i metodi nonviolenti, nella prospettiva di una strategia di trasformazione sociale, in particolare a partire dal cambiamento del modello strutturale di difesa, con l’introduzione della Difesa Popolare Nonviolenta (DPN) nel nostro paese.
Nella quarta parte sono proposti alcuni preziosi chiarimenti concettuali e terminologici e sono presentate le esperienze dei Laboratori maieutici all’Università di Firenze come esemplificazione di una metodologia nonviolenta che opera concretamente nella costruzione di una cultura di pace.
L’Autore riferisce ampiamente su «due esperienze fallite di prevenzione di conflitti armati, e cosa ci possono insegnare». Si tratta degli interventi civili preventivi da lui coordinati in Iraq nel 1990 e in Kosovo prima del 1999.
Chiude, infine, l’ultima parte una discussione con l’amico Gene Sharp, al quale l’autore rimprovera un approccio eccessivamente strumentale, che valorizza la nonviolenza soprattutto come “tecnica”, mentre per L’Abate essa non può essere disgiunta dai principi che ne sono il fondamento e che permettono di dar vita al progetto costruttivo. Solo operando nelle due direzioni, della lotta nonviolenta e della costruzione dell’alternativa (che comporta anche un modello di sviluppo decentrato, sostenibile e volto alla semplicità volontaria), si può giungere ad una vera e profonda trasformazione sociale.
In conclusione il libro, come scrive il suo stesso autore, “vuole aiutare le persone interessate, non solo a sognare un mondo più giusto, ma anche ad operare perché questo si possa realizzare, dando loro gli strumenti concreti per elaborare una strategia operativa di cambiamento che vada in questa direzione” (pag. 361).
Un libro ricco e denso, un “manuale di nonviolenza” costruito attraverso la sistematizzazione di ricerche, di lotte e di esperienze di vita, consegnato alle generazioni future.

(Il libro è reperibile presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi 13, Torino, tel 011.53 28 24, [email protected])