Tata-Fiat: Medha Patkar scrive ai parlamentari italiani

Medha Patkar

Gentilissimo/a
Sono certa che ricorderà l’incontro nel Vostro ufficio al Parlamento Italiano sulla questione degli insediamenti Tata-Fiat per la produzione della “low cost car” a Singur, nel Bengala occidentale (India). In quell’occasione Le illustrai la brutalità di quelle requisizioni e lo scenario di disperazione che ne è conseguito. Sono cosciente del ritardo con cui riprendo la questione, dovuto al fatto che al mio ritorno in India un altro e persino più drammatico progetto di requisizione nell’area di Nandigram (sempre nello stato del Bengala occidentale) mi ha assorbita completamente. Di nuovo ci sono stati molti morti, un numero imprecisato di feriti, numerosi casi di stupro, la questione non è ancora chiusa. Al riguardo so che c’è stata anche una nuova Interpellanza presso il Vostro Parlamento. (Interrogazione a Risposta Scritta nella seduta del 15/11 ndr).

Vorrei dunque qui di nuovo ringraziarLa per l’attenzione dedicatami. E di nuovo ricordarLe l’impegno di sollevare tale questione all’attenzione del vostro Primo Ministro, dei vari Ministeri competenti e all’intero parlamento. Circa le corresponsabilità della compartecipazione Fiat nel summenzionato progetto non dovrebbero esserci dubbi. E restano gravissimi gli abusi sul piano dei diritti umani che ancora oggi pesano sulla popolazione di Singur.
Anche oggi infatti, nel momento in cui scrivo, sono molti i contadini, lavoranti, artigiani, pescatori di Singur che non ritengono persa la loro battaglia. Il tentativo di ricreare condizioni accettabili di sussistenza, dopo essere stati privati della sicurezza del lavoro nei campi, è una lotta impari. E dobbiamo tristemente registrare la notizia di un altro suicidio, pervenutaci ieri: si chiamava Shankar Patra, ex lavorante a mezzadria, privo di titoli e quindi senza alcun “diritto” di indennità. Incapace di far fronte alla situazione si è suicidato a Dobadi, un villaggio abitato quasi esclusivamente da famiglie che per generazioni lavoravano la terra nelle stesse condizioni di mezzadria e che, come quella di Shankar Patra, non avranno alcuna possibilità di venire riassorbite dal progetto “low cost car”.

Un simile caso di suicidio si era verificato mesi fa, in un villaggio poco distante. Il 10 dicembre (giornata internazionale dei diritti umani) mi sono recata a visitare la famiglia, la vittima si chiamava Shankar Das.

Lo stesso giorno una vostra delegazione italiana veniva ricevuta dal Governo del Bengala occidentale, con la promessa di nuove “terre e opportunità”. Vorrei qui ricordare che resta prima da risolvere la situazione di Singur, che la partita su Singur non è affatto chiusa, che ci sono ben 350 acri di terra (su un totale di circa un migliaio di acri “requisiti”) circa le quali il contenzioso è ancora aperto, sui quali l’Alta Corte di Kolkata ha già emesso un giudizio di illegalità alla fine di Febbraio – e se ne attende un altro entro breve.

Nel caso di Nandigram, dove era stato proposto un vasto insediamento petrolchimico, lo spettacolo del disastro che ormai identifica la parola stessa “industrializzazione” in Bengala occidentale, è tale da mozzare il fiato. Le decine di migliaia di persone che si sono opposte alle requisizione con la sola arma dei loro corpi, sono state in modi diversi “puniti”: chi con la morte, chi subendo gravi ferite corporali, la maggior parte perdendo tutto.

Inquantificabile il numero di abitazioni e campi che sono state distrutte, date alle fiamme. La resistenza della popolazione è stata così compatta che quel progetto di industrializzazione è stato per il momento “congelato”, ma il cosiddetto “fronte della sinistra” che governa in Bengala occidentale, ha consumato così la sua vendetta. E se tutto questo succede in Bengala occidentale, se tutto questo corrisponde ad una “campagna di industrializzazione” che è stata inaugurata dalla Prima Industria indiana (la conglomerata Tata) in collaborazione con la Prima Industria italiana (Fiat) e su un progetto che, come abbiamo appreso dai vostri stessi documenti ufficiali, “ha fatto da perno” agli investimenti dall’Italia specificamente in quella regione – figuriamoci cosa può succedere in altre regioni dell’India, dove lo stesso “modello di sviluppo” viene replicato con le stesse caratteristiche di anti-democrazia, in totale opposizione alla volontà delle popolazioni e nella più assoluta impunità.

E’ lecito sollevare qui la questione dell’ipocrisia di tante imprese che si dicono impegnate sul fronte dello “sviluppo etico” o in termini di “responsabilità sociale”: un tratto unificante di tutte le Imprese del Nord e Sud del mondo, quando si tratta di investire in India.

Ma per tornare al caso di Singur, lo ripeto: la partita non è chiusa, c’è ancora gente che reclama ciò che è stato loro tolto, c’è ancora gente che rifiuta le cifre dei “compensi” fissati dai “padroni” perchè non c’è compenso che possa equagliare la sicurezza delle terre – c’è ancora gente che rifiuta quelle cifre perchè ridicolmente basse rispetto ai reali valori di mercato. Il fatto è che tra questa gente e le loro terre c’è oggi un alto muro, difeso notte e giorno dalla polizia.

Oggi, 18 dicembre è l’anniversario della morte di una ragazza che si chiamava Tapasi Malik, e che l’anno scorso – quando quelle terre erano state appena requisite e pattugliate notte e giorno contro la “protesta” dei contadini – è stata trovata carbonizzata. L’autopsia ha accertato che è morta bruciata viva, dopo essersi selvaggiamente difesa, dopo aver subito lo stupro di gruppo di una squadraccia assoldata per fare la guardia a quel muro. Le indagini del Central Bureau Investigation hanno poi individuato I responsabili, entrambi membri del Partito Comunista Indiano (M) che in Bengala occidentale si è rilanciato con la “new face” di Bhuddadeb Battacharjee – interlocutore su cui l’Italia ha soprattutto puntato per il raddoppio dell’interscambio commerciale con l’India. I responsabili di quell’orrendo crimine sono finalmente in prigione – ma la famiglia della ragazza non ha ricevuto neppure una rupia di indennità. Oggi a a stringersi intorno alla famiglia di Tapasi Malik ci sarà una piccola folla di intellettuali, attivisti, esponenti della società civile.

E’ dunque in questo contesto, in rappresentanza dell’Alleanza Nazionale dei Movimenti popolari dell’India e di numerose altre organizzazione, che di nuovo mi rivolgo a voi con questo mio appello.

– Di nuovo vi chiedo di sollevare la questione all’attenzione del Parlamento Italiano e sollecitare il Governo Italiano a prendere una posizione in difesa dei più fondamentali diritti umani e legali delle popolazioni dell’India, in relazione a eventuali investimenti o interessi italiani sia per il passato che per il futuro.
– Di nuovo vi chiedo di risollevare il caso presso Fiat, e sollecitarla a riconoscere le proprie corresponsabilità per quanto riguarda le violazione commesse nei territori di Singur. A fronte dei profitti spettacolari che Fiat trarrà (sta già in effetti traendo, in termini di capitalizzazione finanziaria) da tale investimento, ci sono migliaia di famiglie ridotte in miseria. E molte di esse ancora sperano, come abbiamo visto, di riavere indietro ciò che in effetti non hanno consensualmente ceduto nè venduto.
– Di nuovo vi chiedo di organizzare al più presto, come già avevo sollecitato, un sopraluogo nell’area, perchè possiate rendervi conto di persona dell’emergenza creata, e di persona constatare la totale distanza tra la “realtà dei fatti” e quella degli incrementi del vostro interscambio commerciale.

La vita della nostra gente non può essere ridotta a co-efficienti e percentuali.

E la povertà dell’India diventa ogni giorno più grave e visibile di prima.

In rappresentanza dei Movimenti e delle Organizzazioni dell’India attendo fiduciosa una Vostra risposta a questa mia lettera. Che indirizzo a voi, in quanto rappresentanti politici di una certa parte dell’Italia – e che indirizzo a tutti gli Italiani ai quali voglio esprimere la nostra massima vicinanza e solidarietà, soprattutto a quelli che hanno perso recentemente i loro affetti più cari, vittime di un sistema che distrugge, saccheggia e umilia, più di quanto non riesca a creare.

Di nuovo grazie per l’attenzione prestata, e nell’attesa di una risposta,

Medha Patkar


 

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