Guerra agli animali, infamia umana

Guerra agli animali, infamia umana – Corriere della Sera – 15 nov 07
In una raccolta le parole dedicate da grandi autori alla compassione.

Il dolore dell’animale che viene ucciso, ha scritto Schopenhauer, è più grande del piacere di chi lo mangia. Il bilancio della vita è un deficit, il suo peccato originale che la costringe a vivere di morte e a creare sofferenza. È un passivo che si può ridurre, ma non eliminare, come si illudono ecologisti e animalisti, anche perché i nostri oscuri cugini di cui ci siamo proclamati e fatti padroni non sono soltanto il cane o il gatto di casa, le bestie che possiamo osservare e accarezzare, ma anche tutte le specie inappariscenti che non possono destare in noi affetto. Mattatoio di milioni di esseri umani, il mondo lo è ancor più di animali; è un edificio impastato di sangue.
Le religioni raccolgono una domanda di redenzione che riguarda non solo l’uomo bensì l’intera creazione: «Tutto il creato ? dice San Paolo ? condannato a non aver senso soffre e geme come una donna che partorisce». L’ebraismo mostra una turbata attenzione al dolore animale: nello Schiavo di Isaac Bashevis Singer, Jakob, guardando le vacche destinate al macello, pensa che pure per loro deve esserci la salvezza e recita il Kaddish, la preghiera funebre, per la piccola farfalla bianca che ha vissuto un sol giorno e senza peccato.
Se c’è un peccato mortale, questo è la crudele e imbecille aggiunta di sofferenze gratuite a quelle inevitabili. Anche nei confronti degli animali, di quel vitello dagli occhi «larghi e bagnati» che, in un passo memorabile della Storia di Elsa Morante, ha una «prescienza oscura» della sua sorte. La lettera che Rosa Luxemburg ? pochi mesi prima di venire massacrata in quanto comunista, nel 1919, con i calci dei fucili da parte dei Corpi Franchi parafascisti ? scrive dal carcere alla moglie di Karl Liebknecht (leader comunista spartachista poi assassinato insieme a lei) è un documento di altissimo valore morale. Karl Kraus, il beffardo vendicatore dell’umanità oltraggiata, pubblicando la lettera nella sua rivista «Die Fackel» con la quale combatteva da solo contro la guerra e l’orrore del mondo, scriveva che essa avrebbe dovuto venir accolta nei libri di scuola.
Kraus non era né comunista né socialista: era un conservatore, uno spirito aristocratico, satirico e religioso che difendeva le vittime di ogni violenza; non condivideva il pensiero marxista-libertario di Rosa Luxemburg, una delle più grandi figure del movimento internazionale. Ma sapeva che le classi dominanti non erano meno feroci dei tribunali rivoluzionari e che i padroni erano pronti ad ogni abiezione pur di restare padroni; aborriva la violenza rivoluzionaria, ma sapeva che spesso chi, giustamente, se ne scandalizza, tace invece sulle dame dell’alta società che si deliziavano di assistere alle fucilazioni anche di bambini della Comune di Parigi. Che il diavolo si porti la prassi del comunismo, scriveva, ma che «Dio ce lo conservi come costante minaccia sulle teste» di coloro che per salvare il loro dominio spediscono senza batter ciglio moltitudini alla guerra, al massacro e alla morte.
Imprigionata e avviata alla sua fine, ma intatta nella sua gioia di vivere ? proprio perché è pronta a perdere la sua vita e così la salva, secondo il detto evangelico ? Rosa è tanto aperta al mondo da patire e sdegnarsi per la sofferenza di un bufalo che vede, nel cortile, picchiato senza ragione a sangue, mansueto e stupefatto di quella crudeltà che non riesce a capire ? gli occhi dell’animale morente, ha scritto Rossana Rossanda, hanno uno stupore insostenibile. Aliena da ogni sentimentalismo da società zoofila, Rosa Luxemburg coglie nel muto dolore della bestia quel pianto di ogni altro male e di ogni vita che Saba (in una famosa poesia ricordata da Marco Rispoli, il quale ha curato con finezza il volume, che comprende altri testi di grandi autori dedicati alla sofferenza animale) coglieva nel belato della capra legata. Quel bufalo è più vicino a Dio della zotica nobildonna e proprietaria terriera ungherese che insulta Rosa Luxemburg e che Kraus si rammarica di non poter prendere a frustate al pari di quel bufalo, così come i muggiti dei buoi avviati al macello sono più umani di quelli dei bestiali violenti degli stadi, che non meriterebbero un destino molto migliore.
Il ruolo di padrone del creato che l’uomo si assegna, scrive Rispoli, è «fallace»; volersi padroni è essere servi e consegnarsi alla frusta, come quell’animale che in un aforisma di Kafka si frusta da solo «per diventare padrone». Scriveva Noventa, grande poeta cattolico, classico e anticonformista: «Mi me credevo ? Un uomo libero/ E sento nascer ? In mi el paròn».

Claudio Magris