Impressioni di un cooperante in Madagascar

Osservatorio Internazionale 2007 – Tra distanza e comunanza: impressioni di un cooperante in Madagascar

Incontro con Michelangelo Lanza

mercoledì 14 novembre 2007 – h 20,30
Salone Gandhi – Centro Studi Sereno Regis – via Garibaldi, 13 ? Torino

Impressioni di un cooperante in Madagascar

Grande isola a oltre 8000 km da casa mia (NW-Italia): 585.000 kmq, 20 milioni di abitanti, discendenti ben riconoscibili di immigrati proto-malesi giunti qui su piroghe con figli, anatre, maiali, riso e quant?altro attraverso 7-8000 km di oceano Indiano durante i primi secoli della nostra era ? una sconcertante epopea tramandata solo a voce e sovrastata dall?epopea dell?insediamento in un ambiente così vasto e vario, mantenendovi attraverso tanti secoli una sorprendente unità linguistico-culturale. Ambiente interessante non solo dal punto di vista umano ma naturale, nonostante le ferite invariabilmente prodotte dall?incontro ? pur non particolarmente cruento ? con ?i nostri?, essenzialmente colonizzatori francesi, per ca. 80 anni (1881-1961): una dozzina di grandi parchi ne testimoniano il valore eco-biologico, risultante dalla sua storia geologica Di tutto questo, io conosco solo una piccola parte, qualche decina di km a ridosso della costa SE a ca. 600 km e un giorno e mezzo di viaggio dalla capitale, Antananarivo, dove si arriva in 11 ore di volo da Malpensa; è un?ampia zona collinare calda gravemente deforestata ? resta ~17% rispetto a 60 anni fa (causa: taglio di legname pregiato e prove di piantagioni – vaniglia, spezie e caffè) ? fra il ciglio della dorsale montana centrale (alta fino a ca. 2800 m), temperata e relativamente prospera, e la lunghissima, diritta costa sabbiosa dell?oceano, dove si scaricano piogge monsoniche quotidiane per almeno tre mesi estivi (dic.-marzo) e i fiumi gonfi spesso non riescono a sfociare per il contrasto dell?oceano agitato e formano quindi lateralmente un sistema di lagune e stagni a ridosso delle dune costiere ? il Pangalana -(utilizzato come via di comunicazione per centinaia di km quasi prive di strade affidabili). Ciò favorisce ampie zone a malaria endemica e a bilharziosi (parassitosi letale del sistema sanguigno dovuta a un vermicello dell?acqua ferma e calda), causa del 18% di mortalità infantile e, insieme alla malnutrizione, di una vita media di soli 49(M)-53(F) anni; le condizioni precarie di salute, a loro volta, insieme alla povertà diffusa e alle difficoltà di comunicazione, rendono la zona decisamente derelitta e priva di prospettive di riscatto generalizzato ? anche per il degrado sociale indotto principalmente dal frequente abbandono da parte dei giovani, simile a quello sperimentato poche decenni fa nelle zone montane italiane. Qui c?è così poco che con modesti sforzi esterni si ottiene relativamente molto sollievo per la popolazione; così sono stato coinvolto in un ambizioso progetto di cooperazione gestito da due associazioni: una ong valdostana con esperienza ventennale in questa regione ? inizialmente in locali missioni cattoliche poi in piccole comunità gravitanti sulle missioni per qualche sostegno sanitario o per l?istruzione infantile, riconosciuta e aiutata dalla Regione VdA; e una milanese, ben più giovane ma versatile e consapevole dell?insufficienza di adozioni singole e di iniziative unilaterali. Il progetto Acqua Amica cerca di avvicinare l?acqua pulita e allontanare quella lurida; quindi di: realizzare modesti acquedotti ? 1.5-3 km, fabbisogno per 500-800 persone ? captando acqua pulita dall?alto corso di ruscelli, per evitare il rischio comune di contaminazione da ameba o bilharza dovuto all?attingere acqua da ruscelli dubbi o risaie (per degrado culturale e/o maldestro scanso di fatica da parte delle donne sovraccariche di lavoro); e ? prossimamente e faticosamente ? di realizzare latrine e accenni di fogna per interrompere il ciclo autonomo delle parassitosi mortali/invalidanti veicolate dall?acqua, da integrare forse (con adeguati aiuti pubblici) con interventi sanitari tempestivi di personale sanitario per vari mesi. Io partecipo passando un mese all?anno in un presidio congiunto di due ordini missionari (europei ma con religiose/i quasi solo locali) ? quindi con vitto e alloggio agevolati ? lavorando presso i villaggi vicini (entro una ventina di km).
La prima e dominante impressione su queste esperienze è ovvia – la distanza. Fisica: sorvolando per ore l?insistente increspata desolazione del deserto libico, del Darfur, della Nubia e dell?alto corso del Nilo e poi dell?acrocoro etiopico in foschi crepuscoli trafitti dal soffocato bagliore di tramonti lontanissimi, appena punteggiato da fioche rade lucine indicatrici della tenue precaria presenza umana in questa vastità che ne fu la culla migliaia di secoli fa, sovrastata dal cono impressionante del Kilimanjaro; planando infine verso terra senza luci dal basso che sfidino la densa notte tropicale; già nella capitale Antananarivo, pur gradevole fra le sue tante colline rosse e bassure allagate, con il suo disinvolto miscuglio di cybercafé e di fogne a cielo aperto, di fitte ricche bancarelle e sgangherati carrelli su rotelle rimediate che arrancano sovraccarichi fra i miasmi soffocanti del traffico a motore, di case dignitose fra tripudianti jacaranda azzurri e di improvvise cave e precari tuguri dove schiere di forzati di ogni età spolpano con disperata insistenza di fuoco e di martello il retro delle colline per vendere pietrisco all?edilizia mentre i bimbi ancora esenti dalla condanna quotidiana sguazzano ignari nelle luride pozze di acqua piovana e liquami ? indicatori della distanza socio-economica, di un potere d?acquisto medio ~1/40 del nostro; ma anche nel ritrovamento presso il bancone d?ispezione doganale di una valigia dimenticata da un mio compagno di viaggio all?arrivo il giorno prima, indizio di assenza dello stato d?assedio ormai quasi continuo e diffuso nei nostri paesi, autocelebrate oasi di diritto e rispetto personale. E poi, pur fra frequenti segni di imitazione di noi vazaha (=stranieri bianchi), emerge proditoria nelle zone fuori mano del sudest (mia meta) la distanza culturale profonda, come quando un equipaggio di camion bloccato al ciglio della pista fangosa con un guasto serio da impantanamento e intento a cuocersi un po? di riso su un fuoco di sterpi, risponde sorridendo anche il secondo giorno al nostro saluto di fortunati passanti; o quando un gruppetto di ragazzini che si ripara con me dal primo forte acquazzone stagionale conclude una vispa conversazione in francese (ambita chiave di comunicazione con il mondo extra-insulare) per cacciare ragni, diffuso integratore alimentare. Una distanza ambientale, rispetto anche ad altri luoghi esotici, affiora ad esempio nel folto di una tranquilla boscaglia percorsa per interrarci una tubatura, con un improvviso fruscio vicino che fa trasalire con il sospetto di qualche rischio di animale selvatico da affrontare, mentre qui, in tutta la vasta isola, di animali del genere non ce ne sono: a parte qualche silenzioso boa, le più evidenti presenze di ogni ambiente terrestre ? i mammiferi ? sono qui quasi assenti: i più evoluti sono gli elusivi lemuri ? fra scoiattoli e scimmie ? presenti con i loro gemiti e occhioni sbarrati solo in aree protette o ancora immuni dall?invadenza umana; gli altri animali domestici comuni ? zebù, maiali, anatre, polli ? sono giunti qui con l?uomo ossia per quanto se ne sa con i malgasci. Altra impressione è però una talora sorprendente comunanza del sentire e dei bisogni essenziali, riconfermata ad ogni sguardo, cenno di mano, sorriso, moto di stizza, fra e con questa gente d?immediata espressività, sempre accessbile, atta a stabilire un immediato ponte al di sopra della pur evidente distanza dai vazaha, incursori ignari di troppe cose oltre la propria sussiegosa autosufficienza: contatto mai aspro. (come ormai quasi ovunque al Sud, in Africa soprattutto), anzi chiave per esplorare la distanza, cioè per un?esperienza di autentico confronto fra sé ed altri con agio d?osservare l?altrui quotidianità da estranei privilegiati e di coltivare riflessioni per domande adeguate piuttosto che risposte gratificanti; esperienza che poco o tanto cambia, potenzialmente in meglio, sé e i propri interlocutori.
Questo vale anche per la mia esperienza, pur ripetuta su uno schema piuttosto povero: Brevi soggiorni preparatori nella capitale. Lunghi viaggi (600 km) in 4×4, con qualche disagio ormai confinato alle piste dell?ampia zona collinare fra costa acquitrinosa e il ciglio est della scarpata montana, con la foresta già influenzata dall?alito del lontano oceano, nei periodi prescelti per lo più calmo e sornione; scalo a uno dei due capoluoghi del nostro semi-selvaggio territorio d?intervento (con un fronte oceanico di ~200 km) su un reticolo di precarie lingue di terra fra lagune sinuose, dove far rifornimento di acqua imbottigliata e alimenti integrativi della parca dieta locale, per poi risalire il corso di un affluente del fiume Mananjary, inoltrandosi fra le basse erratiche colline e i languidi meandri infestati di coccodrilli, via via per una vecchia pista esausta tracciata ai tempi delle baldanzose piantagioni di caffè ormai rinselvatichite, fino a Vohilava, grosso borgo (6000 abitanti) alto su una bella ansa del fiume a 58 km dal capoluogo costiero e centro di riferimento per il raggio di una giornata di cammino (35-40 km) al limitare fra foresta e boscaglia residuale. Lì, l?insediamento presso una piccola ma ?domestica? missione religiosa dove si dorme e si mangia con il minimo di adattamenti ambientali (zanzariera, acqua filtrata, poca luce fotoelettrica serale ..) mantenendo così un adeguato rendimento al lavoro esterno, gravato dal calore e talvolta dall?umidità ambientali e da scorte limitate di acqua sicura. Poi, patti brevi e chiari con le comunità locali prescelte, mediati da una suora conosciuta della scuola o del dispensario della missione, per la loro continuativa disponibilità per un paio di settimane e l? impegno a una minima manutenzione successiva. L?insediamento dei cantieri con un paio di muratori assunti al seguito, la definizione dei punti di captazione, vasca di carico e distribuzione d?acqua nel villaggio sul percorso identificato nel precedente sopralluogo (che ha determinato l?accettazione del lavoro e la sua progettazione di massima almeno in quanto al materiale, non tutto disponibile in Madagascar), il trasporto del materiale (sabbia e ghiaia raccolte dal fiume sottostante per la malta, cemento, tondini di ferro, attrezzi ? lì esistono solo roncole e vanghe – rotoli di tubi, giunti, rubinetti, ..), a ruote fin dove si può, poi a spalla; lavoro intenso nelle piuttosto brevi giornate invernali/primaverili. Brevi serate nel gran buio sotto l?insolito sfavillante cielo australe, vuoto di movimenti riconducibili alla presenza umana, incombente abisso di spazio-tempo cui si affacciano per attimi le nostre e le altre innumerevoli minuscole vite in una muta scommessa, e infine, sonni che rinnovano alle promesse del prossimo occhio del giorno (sole, in malgascio). Infine, i collaudi e le feste inaugurali: preghiere, danze rituali e filastrocche ? lasciti riconoscibili dell?epopea transoceanica originaria; pranzi con riso, frutta ed eccezionale sacrificio di polli smunti; e doni – riso, canna da zucchero, banane, ..). Sopralluoghi di villaggi candidati a successive canalizzazioni e verifiche a quelli già provvisti di acquedotto. Ritorno con visite a scuole di cui si finanziano le mense o sedi di altri interventi di manutenzione/riparazione/potenziamento in residenze missionarie, scuole, ospedali e dispensari, arnie; visite a laboratori di artigianato per acquisti di oggetti in papiro, legno intagliato, tessuto ricamato e altro, da rivendere in Italia per finanziare le attività associative. Infine rientro ad Antananarivo, accordi e preparativi per un prossimo turno; congedo e lungo volo di ritorno ? con inversione di stagione.
Oltre sensazioni, riflessioni, valutazioni e prospettive di quel che si riceve e che si dà, affiorano ricordi sottopelle forse in cerca di senso compiuto ? soprattutto dall?entroterra della costa SE: l?eternità di colline selvagge con innumerevoli minuscole fiere primitive nicchie umane, i sussurri d?aliseo e gli improvvisi sussulti allarmati dei tolò (fagiani-diapason), le rade voci sparse e gli infiniti piedi nudi in cammino, le mute fatiche quotidiane e le frequenti risa, la solitudine e gli affollati ignoti cieli notturni sopra la vasta buia terra assopita, ?; qui l?avventura umana appare senza mistificazioni immane e precaria per quel che è. E una visita è un?esperienza densa, da preparare e assimilare con lentezza per compensare la velocità e la brutale disinvoltura con cui ci si viene catapultati dal volo, dal divario tecnologico e dal ruolo di donatori.
Miki Lanza

MILANOMADAGASCAR Onlus
Qui sommes-nous et que faisons-nous au Madagascar?

Nous sommes une jeune association de solidarité avec le Madagascar, un pays grand presque 2 fois l?Italie avec 1/3 de notre population, parmi les plus pauvres et délaissés au monde (153ème sur 194 pays considérés par le classement Index de Développement Humaine de l?ONU-UNPD), où on agit directement un mois par an, sans dispersion d?argent ni d?attention, en collaboration avec la population indigène ainsi qu?avec AVSFM, une Ong valdôtaine active depuis 1983 dans le soutien à de petites communautés isolées près de missions catholiques europèennes situèes surtout dans la région côtière du sud-est (le triangle NosyVarika-Farafangana-Ifanadiana ? grande à peu près comme la Belgique), un territoire aux collines herbeuses, quelques zones de forêt épargnées (17% par rapport à il y a 60 ans, la plus part déparue pour obténir du bois de valeur et de plantations de palmiers à huile, café, canne à sucre, vanille, cannelle, girofle, surtout à bénéfice étranger) et aux gros fleuves se bifurquants en aval dans des lagunes et marais dûes à l?entrave par l?océan Indien au déchargement des masses d?eau des 3-4 mois de pluies constantes d?été; un territoire où l?on se déplace à pieds (nus), en pirogue et par peu de quatre-quatre et vieux camions entétés; un territoire en proie au paludisme, à la malnutrition et à des parasitoses endémiques handicapantes ou fatales (bilarzhiose et am?bose), souvent à la TBC et parfois au choléra et à la lèpre, ce qui cause une très haute mortalité infantile (18% jusq? à 5 ans) et une basse esperance de vie (40-53 ans).
C?est ici où nous travaillons à un projet pluriannuel ? Eau et miel ? avec une contribution de la Région Val d?Aoste et ? l?on espère – prochainement du Ministère des affaires étrangères, ainsi qu?à d?autres initiatives pour l?école, l?économie et la santé.
Le projet Eau et miel comprend l?aprovisionnement d?eau propre ? de sources où en amont de ruisseaux ? par des conduites en plastique et des borne-fontaines aux villages*, désormais habitués au contraire à puiser l?eau des cours d?eau plus voisins ou carrément des rizières (dans l?eau calme au dessus de 28°C la contamination est sûre), ainsi que prochainement la surveillance et en suite l?interruption sanitaire du cycle parasitaire, autrement continu dans un environnement si exposé au remuement des pluies. De plus on enseigne l?apiculture pour un miel précieux comme integrateur alimentaire et à la vente (également apprécié à l?exportation). On finance aussi une trentaine de classes primaires et secondaires auprès d?écoles gérées par plusieures missions catholiques (environ mille-troiscent élèves) en absence d?écoles publiques, en complétant les contributions insuffisantes des parents à l?écolage ainsi qu?en promouvant les services de cantine où cela est possible. Egalement, on distribue des médicaments offerts par des pharmacies et médecins de chez nous aux dispensaires éparpillés sur le territoire comme des indispensables compléments aux rares, souvent décevants hôpitaux de la brousse (carents en materiel et avec médecins itinérants); et on donne aussi régulièrement des vêtements aux plus démunis.
D?autre part on examine la possible vente d?un artisanat de valeur par le réseau de magazins équitables et solidaires, en même temps qu?on mûre patiemment des rapports de confiance avec les villages connus par nos travaux, de façon à les substituer en partie aux fournisseurs des missions ? ce qui pourrait même jouer comme prélude à l?introduction dans quelques endroits bonifiés d?un tourisme responsable.
Enfin, bien que d?une façon occasionelle selon l?argent résiduel, on intervient auprès de quelque cas d?urgence où on tombe dessus: rations alimentaires et/ou médicaments aux ?forcés? des graviers dans plusieures carrières derrière les collines résidencielles de la capitale Antananarivo ou bien aux détenus ?oubliés? de Fianarantsoa et Antsirabe, ou encore une petite rizière pour une veuve avec quatre enfants risquants, ou enfin une contribution financière ou en travail à la fonctionalité d?un nouvel hôpital isolé à plusieures dizaines de km à l?entour (Henintsoa), ou …
En perspective on travaille donc afin d?épaissir l?actuel réseau de relations et atteindre quelque forme de jumelage sincère où donner et recevoir soient une modalité consolidée et mutuelle plutôt qu?un pari optionel.
* Ambodimanga ? Nov.2003: 520 bénéficiaires, 3200 m de long, 5 borne-fontaines, 1 lavoir, 2 lettrines
Ambodihara ? Juin 2004: 410 bénéficiaires, 1500 m de long, 5 borne-fontaines
Lavakianja ? Sept.2006**: 600 bénéficiaires, 2200 m de long, 6 borne-fontaines
En août/septembre 2005 on s?est occupé d?inspections à plusieurs endroits des environs de Manajary pour des travaux à faire ainsi que du cablage de l?hôpital de Vohipeno/Henitsoa.

M.Lanza (chargé d?études et mise en application)