Il messia al semaforo di Moni Ovadia
Il messia al semaforo
Il semaforo negli ultimi anni ha assunto una duplice valenza nel nostro sistema segnico: quella tradizionale di indicatore (sempre più labile) di interazione nel traffico e quella non codificata di pietra miliare di una relazione umana fugace e distratta. Questo totem dell?alternanza luminosa, a Gerusalemme in un crocevia della Road number I, mi ha regalato una tranche de vie imprevista che mi insegue da un paio di anni come se chiedesse che le venga conferito un senso.
Due bambini palestinesi, uno più grandicello e uno minuscolo, stazionano lì aspettando che scatti il rosso con un rudimentale armamentario da lavavetri. Al rosso, il maggiore, con piglio professionale, si accinge alla pulizia del nostro vetro ricevendone un compenso sproporzionato rispetto alla prestazione. La mia non è generosità quanto piuttosto il segno di un surplus di disagio per non essere al suo posto, una sorta di sindrome da profugo sub specie aestethica.
In quella circostanza io non guardavo il mio lavavetri, perché ero mesmerizzato dal suo collega minuscolo che saltava come un cangurino nel disperato quanto vano tentativo di raggiungere il lunotto anteriore di una vettura affiancata alla nostra. Questo piccino consapevole tuttavia che il fallimento della sua impresa non dipendeva dalla sua incapacità ma da un temporaneo deficit di statura, rideva di sé e anche del mondo adulto che nega l?infanzia e non sa essere all?altezza dei bimbi che volano, o almeno ci provano. Quell?irresistibile fanciullino palestinese è rimasto per me il più degno e titolato rappresentante di quel popolo dei semafori che conta molti dei suoi cittadini nei crocevia delle nostre strade. La loro età varia dalla prima adolescenza alla vecchiaia, i loro volti non resi lisci dalle pigre comodità della nostra società ?affluente? sono ancora autentici perché segnati dalla necessità. A loro dedichiamo stizza, insofferenza, disprezzo o nel migliore dei casi una svagata e facile solidarietà. Eppure, talvolta ho l?impressione che proprio fra quel popolo disperso possa celarsi il Messia. Quello ebraico che è sempre in ritardo si manifesterà per noi a semaforo verde scattato, mentre tesi nella fatica di programmare il prossimo week-end sgommeremo per scartare il lavavetri di turno.
Il bagliore del suo apparire si rifletterà in uno spicchietto remoto del nostro retrovisore… ahimè! Troppo tardi.
(Moni Ovadia, Vai a te stesso, Einaudi 2002, pp. 151-153)
In allegato lo stesso testo in formato word