ULTIMI POSTI PER IL SEMINARIO SULLA METODOLOGIA DEL CONSENSO

LA METODOLOGIA DEL CONSENSO riguarda un genere di approcci alla gestione del processo decisionale e del conflitto accomunati dall’attribuire valore fondamentale alla relazione e alla gestione partecipata e trasparente del potere, nonché alle forme della comunicazione che, in tali approcci, sono orientate al conseguimento di accordi piuttosto che di decisioni, il che comporta l’abbandono dei metodi basati sul voto (il consenso è una forma di accordo; accordo e decisione sono cose ben diverse).
Consenso, in questa sede, vuol dire ?accordo nel disaccordo?. Quindi un accordo consensuale implica sempre una certa misura di disaccordo, altrimenti ci troveremmo di fronte ad un accordo unanime. Consenso e unanimità sono cose assai diverse e colgono aspetti assai diversi dell’esperienza decisionale. La mc punta a fare convivere creativamente le differenze, non a negarle, a rimuoverle, o ad appiattirle (falso consenso). Il consenso è una evoluta forma di accordo, che implica e promuove l’esercizio di una partecipazione creativa e responsabile, capace di attraversare in modo nonviolento l’inevitabile conflitto. Il consenso maturo arriva sempre dopo il confronto, e spesso dopo il conflitto, non prima.
Al fine di favorire una simile partecipazione è necessaria un’appropriata metodologia, dove la sensibilità e la competenza alla facilitazione del processo decisionale sono aspetti centrali. La facilitazione, in ultima analisi, riguarda la ?forma della comunicazione? attuata da un gruppo, per cui non si tratta mai di scegliere se avere o meno la facilitazione, bensì verso quale forma di facilitazione si vuole tendere (esattamente come è impossibile non comunicare, è impossibile non facilitare). L’affidamento esplicito (formale) del gruppo a suoi membri (oppure a persone esterne al gruppo) di particolari funzioni legate alla gestione del processo decisionale, dà vita alla figura del facilitatore; tuttavia far coincidere la facilitazione con la figura del facilitatore, oltre a non cogliere cruciali aspetti di quel fenomeno complesso chiamato comunicazione (da cui tutto dipende), potrebbe avere gravi conseguenze (per esempio la tendenza alla passivizzazione dei partecipanti). Una simile visione della facilitazione orienta la (auto)formazione dei soggetti interessati alla mc (cioè la larga o potenziale maggioranza della gente, non solo i professionisti o i talentuosi volontari) più verso lo sviluppo di una sensibilità alla complessità (lavoro sulle premesse) che verso l’acquisizione di tecniche specifiche (che richiedono centinaia di ore di seria formazione). Sviluppata la necessaria sensibilità, i modi, le forme, (le tecniche) diventano naturale conseguenza del contatto diretto con la realtà.

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