Oggi non consumo

Oggi non consumo
di Paul Ariès – 11/05/2007

Fonte: Carta

La società di consumo è triste, ingiusta e impossibile: non solo perché il 20 per cento degli uomini fanno loro l’86 per cento delle risorse planetarie ma perché questo “inferno climatizzato” non è generalizzabile visto che supera la capacità stessa di rigenerazione degli ecosistemi. Dobbiamo quindi farla finita con questo dominio degli uni sugli altri e di tutti sul pianeta per vivere semplicemente come umani.

Si tratta di una scelta responsabile ma anche utopica: è l’unica capace di ridare un senso a valori come la libertà. Vogliamo opporre alla logica economica bulimica l’obiettivo di vivere con “meno beni ma più legami”. La costruzione di un progetto politico basato sulla “gratuità dell’uso e il rincaro del cattivo uso” permetterebbe di risolvere le questioni ambientali e sociali attraverso il ritorno al politico. Solo la prospettiva di uno “sciopero generale del consumo” può ridare potenza ai piccoli di fronte a questa infima minoranza di potenti che si ingrassa con il nostro mal vivere e con la distruzione di ogni cosa.
Questo sciopero sarebbe concepito come un vero e proprio movimento sociale con le sue rivendicazioni collettive opposte al governo e ai datori di lavoro. Né proseguimento dell’approccio di semplicità volontaria né movimento di boicottaggio mirato ma un modo di rifiutarsi come consumatore.

L’ipercapitalismo non ha ancora inventato le strutture materiali che incatenano il consumatore alla società di consumo. È il falso godimento del consumo che impedisce di smettere di consumare e non obblighi materiali. In che modo il capitalismo potrebbe obbligare a comprare, al di là del necessario, cioè di quello che non è consumo? Nel caso dello sciopero dal lavoro, il tempo gioca contro chi sciopera. Ma gioca a favore di chi si astiene dal comsumo. Il potere perso dai produttori che si rifiutano di esserlo [questo è il senso profondo di ogni atto di sciopero] può quindi ritrovarsi nei consumatori che si rifiutano di rimanere tali.
Lo sciopero generale del consumo sarebbe incontestabilmente l’apoteosi di una strategia conseguente di disobbedienza civile. Innanzitutto perché trasgredirebbe l’imperativo assoluto di consumare. Attaccherebbe quindi il sistema in ciò che ha di più vitale e sacro. I futuri ex consumisti devono imparare a usare questa arma, celebrando ogni mese di novembre “la giornata senza spesa”. Organizzando movimenti mirati attorno a rivendicazioni semplici e facilmente comprensibili, facilmente vittoriosi. L’altro punto forte di uno sciopero generale del consumo è che non separa la meta dal cammino, poiché uscire dalla sfera del consumo è contemporaneamente l’inizio e la fine di questa rivoluzione. Solo questa prospettiva di sciopero generale del consumo può dare ai più deboli il massimo di forza collettiva. Finché sussiste il compromesso fordista, il capitalismo ha bisogno della nostra compromissione quotidiana per realizzare i suoi profitti.

Non potrebbe essere che lo sciopero generale del consumo permetterà di tenere il più a lungo possibile di fronte a un avversario che non ha nessuna intenzione di soddisfare la nostra volontà di vivere meglio? Non potrebbe, questo sciopero generale del consumo, permettere di unire i più piccoli e dividere quelli che vivono del dominio degli uni sugli altri e di tutti sul pianeta?
Non illudiamoci: il sistema non resterà senza reagire. Farà il suo ricatto sull’occupazione, minaccerà la cassa integrazione. Lo sciopero generale del consumo, come qualunque movimento sociale, è fondamentalmente la creazione di un rapporto di forza: sarà, probabilmente, prima sconfitto. Verrà di nuovo la febbre dell’iper-consumo. Ne rimarrà un piccolo seme che piano piano germoglierà. Un altro sciopero del consumo succederà ai precedenti?
Ogni sciopero generale costituisce un’operazione di catarsi collettiva perché svela i meccanismi intimi del sistema. È per questo che è così difficile riprendere il corso normale delle cose dopo questo svelamento i cui effetti emancipatori segnano una vita. Scommettiamo che sarà difficile tornare ad essere semplici “forzati del consumo” dopo aver sperimentato un’altra vita. Il cittadino si rifiuta in quanto consumatore, come chi sciopera si rifiuta come produttore per viversi in modo politico.

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