Armi d’Italia

Riccardo Bagnato, Benedetta Verrini, “Armi d’Italia. Protagonisti e ombre di un made in Italy di successo”, Fazi, Roma 2005, p. 294

Per la prima volta viene fornito un quadro chiaro e aggiornato dell’industria e della normativa italiana delle armi, evidenziando le possibili conseguenze della riforma per la legge 185. Il made in Italy non è solo pizza, auto, scarpe e bei vestiti. È fatto anche da celebri pistole, adottate dai corpi di polizia di diversi Paesi nel mondo; da milioni di mine, ormai messe al bando ma ancora pronte ad esplodere in ogni angolo del Sudest asiatico e dei Balcani; da aerei ed elicotteri di ultima generazione. L’Italia, dal 1945 ad oggi, si è annualmente piazzata tra i primi dieci produttori di armamenti nel mondo; sono italiani i presidenti delle più importanti realtà armiere europee; un sostegno incondizionato all’industria non proviene da una sola fazione politica, ma coinvolge quasi tutto l’arco parlamentare; e, in epoca di grandi privatizzazioni, la massima parte della produzione di armamenti rimane, per il tramite di Finmeccanica, saldamente sotto il controllo dello Stato. Intanto, il 3 giugno 2003 il Parlamento italiano ha dato il definitivo via libera alla riforma della legge 185 del 1990, una delle normative più avanzate al mondo in materia di trasparenza e controllo sul commercio di armi da guerra. La riforma è stata inseguita per oltre un decennio dalla lobby degli industriali, ansiosa di liberarsi da una gabbia che le impediva di chiudere affari con clienti ottimi ma impresentabili; ed infine, nonostante un parziale successo di una grande campagna d’opinione, i controlli si sono allentati e buona parte delle produzioni e delle vendite sono state sfilate dalla rendicontazione pubblica. Di tutto questo, e di molto altro – anche delle tante operazioni ai limiti del lecito compiute da produttori, commercianti e dalle cosiddette banche armate a sostegno di esportazioni dirette verso i luoghi più caldi del pianeta – parlano Bagnato e Verrini in questo libro; nella convinzione che non si possa comprendere la politica estera d’Italia e d’Europa, i rapporti di entrambe con gli Stati Uniti, il nostro recente coinvolgimento in missioni di guerra “umanitaria” o “preventiva” senza comprendere il delicato intreccio fra industria armiera, potere politico e potere finanziario.