Studiare la storia del fascismo per cancellarne il futuro

Alex Roberts

“Fascism: History and Theory” di David Renton ci offre un resoconto accurato degli studi marxisti del primo dopoguerra sul fascismo e una lezione su come combatterlo oggi.

Viene detto che viviamo in un periodo di fascismo. Donald Trump è fascista, o la Brexit è fascista. I complottisti dicono che mettere la mascherina è fascista mentre alcuni temono – non senza fondamento – che le recenti manifestazioni anti-lockdown siano un ambiente fertile per il fascismo. Ora, mentre il termine diviene sempre più dissociato dai movimenti e  dai partiti che originariamente portavano questo nome, c’è una qualche ragione, oltre all’interesse storico, per ripensare al fascismo associato a Mussolini e Hitler?

La risposta, io credo, è sì. Il fascismo ha rappresentato il peggio del ventesimo secolo, e persino una minima possibilità del suo ritorno – o di qualcosa di simile – è sufficiente perché si faccia tutto il possibile per evitarlo. É altrettanto vero che il fascismo non è attribuibile unicamente a un periodo storico o a un particolare contesto nazionale. Ci sono ancora persone che si fanno chiamare fasciste e guardano all’eredità del fascismo come una fonte di ispirazione per le proprie attività politiche. Inoltre, non è impossibile che qualcosa di simile alle condizioni e circostanze che hanno prodotto il fascismo riproduca nuovamente qualcosa del genere.

“Fascism: History and Theory” by David Renton is out now from Pluto Books

É dunque utile, persino tempestivo, che sia stata pubblicata una nuova edizione di Fascism: History and Theory di David Renton. Un’edizione rivisitata è giustificata, non solo perché Renston ha scritto parecchio sia sul fascismo che sull’antifascismo nei vent’anni passati dalla prima pubblicazione ma anche perché viviamo ormai in tempi radicalmente differenti. Questa tematica è esplorata più in profondità nel suo libro The Authoritarians, un utile testo di accompagnamento per Fascism.

Fascism restituisce un resoconto del fascismo del primo dopoguerra che è nato e che ha, alla fine, preso il potere in Italia e in Germania attraverso lo sguardo dei socialisti e dei comunisti che hanno scritto e che si sono organizzati contro di esso. I marxisti – compresi, tra gli altri, Leon Trotsky, Clara Zetkin, Antonio Gramsci, Walter Benjamin – dei quali scrive Renton, teorizzano un fascismo che è, per loro, una minaccia presente e crescente, tanto nei loro confronti quanto nei confronti di un più ampio progetto rivoluzionario. Alcuni, come Trotsky e Benjamin, non hanno vissuto abbastanza a lungo per essere testimoni del triste crescendo del fascismo, e alcuni, come Gramsci, ne furono le vittime. Di conseguenza, la natura e l’urgenza delle loro analisi è cambiata insieme al fascismo stesso, non avevano il beneficio del senno di poi né quello della straordinaria varietà di studi che sul fascismo che sono stati prodotti nelle decadi a venire.

Noi invece abbiamo questo beneficio e riconosciamo la lungimiranza delle loro analisi, in modo particolare rispetto a ciò che Renton chiama “la scommessa antifascista” – il riconoscimento del fatto che il fascismo è una forma particolarmente distruttiva di politica di destra, che ha la capacità di crescere rapidamente e di generalizzare le sofferenze esistenti. Possiamo, forse, prendere i loro spunti – il rifiuto di far del fascismo il loro mondo, la costruzione del fascismo come un insieme di contraddizioni intersecate, l’opposizione al fascismo organizzata come un fronte unito – e applicarli al nostro modo di organizzarci.

Che cosa dovrebbe prendere da questo libro l’antifascismo? Una semplice delucidazione delle posizioni all’interno del marxismo del primo dopoguerra è utile in se stessa, in particolare un’esplorazione di ciò che Renton chiama la teoria “dialettica” del fascismo che è opposta alla teoria “di sinistra” del fascismo – che argomentava che il fascismo era un semplice strumento di reazione capitalista – e alla teoria “di destra” – che dipingeva il fascismo come un movimento di massa indipendente rispetto alla classe capitalista.

La teoria dialettica respinge entrambe queste posizioni e punta invece a spiegare il fascismo tramite le sue stesse contraddizioni, in primo luogo tra gli interessi ristretti dei suoi leader e i più ampi interessi del suo supporto popolare. Questa contraddizione ha dato al fascismo la capacità di radicalizzarsi persino dopo aver conquistato il potere, in quanto la leadership non è stata in grado di rispondere alle richieste della sua base e dunque si è rivolta alla conquista esterna.

Gli antifascisti oggi dovrebbero guardare oltre questo particolare risvolto. Qualsiasi progetto antifascista di successo, sia esso una campagna, un gruppo o un fronte, dovrebbe ricercare le opposizioni interne al movimento al quale si oppone e lavorare per far pressione su di esse. Queste potrebbero essere contrasti tra la leadership e i suoi supporter, tra interessi divergenti in coalizioni precarie o tra ideologie di estrema destra.

Inoltre non è necessario essere d’accordo con la concezione trotskista di un fronte unito per riconoscere, correttamente, che l’opposizione a un movimento di estrema destra che cerchi di costruire un supporto di massa è meglio realizzata con un movimento che organizzi un opposizione di massa, un movimento che cerchi di accogliere le divergenze al suo interno. Ci dovrebbe essere spazio, all’interno dei movimenti antifascisti, per diverse tendenze e differenti tattiche.

Idealmente dovrebbe esserci coordinazione tra queste tendenze cosi che ognuna sia completata dalle altre. Dovremmo inoltre guardare ai movimenti degli anni recenti, come le mobilitazioni per gli scioperi annuali delle donne, che enfatizzano l’aspetto di riproduzione sociale e di cura che è spesso stato reso invisibile all’interno dell’antifascismo, e lavorare per far sì che chiunque, indipendentemente dalla propria portata, sia in grado di contribuire.

Viviamo in un tempo sempre più precario, definito dalla lenta catastrofe delle crisi climatiche e dal conseguente shock provocato dal collasso ecologico, dai disastri naturali e  dal degrado sociale. Il sud globale sarà il primo a subirne gli effetti, ma l’occidente non è immune.

In queste condizioni un certo tipo di fascismo potrebbe trovare terreno fertile. Persino più probabile, è l’espansione e l’intensificazione degli esistenti regimi statali fatti di confini, prigioni e controllo, così da governare meglio il nostro triste futuro. Vent’anni dopo Fascism: History and Theory continua a essere non solo un resoconto accurato dell’approccio marxista del primo dopoguerra al fascismo, ma fornisce inoltre un valido strumento per una vitale comprensione del fascismo, tanto nell’analisi quanto nella pratica.


Fonte: ROAR Magazine, 9 ottobre 2020

http://roarmag.org/essays/studying-the-history-of-fascism-to-cancel-its-future/

Traduzione di Stefano Pirisi per il Centro Studi Sereno Regis


 

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