Storia della violenza. Come è nato il servizio d’ordine che controlla il Balon di Torino

Francesco Migliaccio

Storia della violenza
(collage di stefania spinelli)

Era un sabato di sole nel quartiere di Borgo Dora, i visitatori passeggiavano tra le bancarelle del Balon mentre il venditore di jeans usati diffondeva dalle casse i soliti brani musicali. Tra la folla fuggiva un ragazzo inseguito da due agenti di polizia. Un uomo vestito di giallo e di nero – sulle spalle portava la scritta “Servizio Mercato Balon” – afferrò il fuggiasco e lo tenne stretto contro il muro fino all’arrivo degli agenti. Era la prima volta che vedevo in azione il servizio d’ordine creato dall’associazione dei commercianti del Balon: ecco una storia della violenza.

Da allora le stagioni sono trascorse: l’associazione ha richiesto l’allontanamento dei mercanti più poveri che vendevano nella via vicina, la giunta comunale ha emanato una delibera che ne sanciva l’esilio, i reietti hanno resistito nel quartiere per otto mesi, le forze dell’ordine sono giunte in autunno e hanno imposto i progetti d’esclusione. Lo scorso novembre gli straccivendoli emarginati hanno tentato l’ultima resistenza nel quartiere, disponendo al suolo la loro mercanzia tra i banchi autorizzati. Dinanzi a loro era schierato un reparto della celere: i caschi erano abbassati e i poliziotti avanzavano verso i venditori abusivi. Durante la carica d’alleggerimento apparvero i membri del servizio d’ordine: alle spalle, e d’improvviso, spinsero i mercanti indesiderati e solidali contro gli scudi alzati. Avvertii una mano sulla schiena e una voce urlare: «È ora, è ora!».

I vigilanti del Balon presidiano il quartiere ogni sabato di mercato e la seconda domenica del mese, giorno speciale di fiera della rigatteria. Indossano gilet neri che lasciano intravedere muscoli consunti dal tempo, polo gialle su pance di maschile baldanza. L’incedere pare quello di poliziotti senza distintivo ormai, il portamento da buttafuori in pensione. La vista è ancora buona e con atteggiamento fiero scrutano intorno alla ricerca di mercanti senza licenza, abusivi, teppaglia.

Alla fine di quest’ultima estate Bruno, storico venditore del Balon, mi ha descritto gli atteggiamenti delle guardie: «Mi hanno pedinato per mesi, tutte le volte che entravo al Balon. Se andavo a prendermi un tè al bar marocchino, c’erano loro che mi seguivano; se andavo al caffè del cortile del Maglio loro mi pedinavano fino a lì, prendevano il caffè con me. Poi, se ero da solo, cercavano di provocare. Questo succedeva l’estate scorsa, fino a settembre, ottobre».

Oggi Bruno è escluso dal mercato gestito dall’associazione dei commercianti: «Ho cominciato a fare il Balon che avevo quattordici anni: compravo i vestiti e andavo lì a rivenderli. Sono passati trent’anni. Non ho mai avuto problemi fino all’insediamento del nuovo direttivo dell’associazione: da allora sono iniziate le pressioni contro di me. Infine sono stato allontanato dal Balon, sono stato dichiarato pericoloso per il decoro e la sicurezza del mercato». Nel servizio d’ordine si riflette la linea d’azione dei governanti al Balon.

FUORI GLI IMPRESENTABILI

Da anni mi domando quale sia la ragione d’un servizio d’ordine di strada. Ho osservato le guardie private accostarsi ai venditori per controllare che siano in regola con i pagamenti, che ciascuno occupi lo stallo corretto. È sempre stato così? Un giorno di mercato ho chiesto a Roberto, venditore in Borgo Dora da decenni, se esistevano guardie private nel secolo scorso. «Il Balon – racconta Roberto –  era fatto di posti definiti che negli anni si tramandavano. I posti vuoti che restavano, ogni sabato venivano sorteggiati.

Arrivava il vigile con un sacchettino con dentro i numeri da uno a novanta: se pescavi uno ti piazzavi al primo posto vuoto, e così via. Si chiamava “il sorteggio” e si faceva per chi non aveva il posto fisso. Erano i vigili che gestivano le spunte per i posti fissi e il sorteggio». Il Balon era un’area di mercato governata da regole informali interne e controllata dalla polizia municipale. E così è stato fino al 2014.

Nel dicembre 2013 la giunta comunale – era Fassino il sindaco – ha approvato un bando “per l’individuazione del soggetto attuatore per la realizzazione del mercato periodico tematico del Balon del sabato”. La gestione del mercato delle pulci è stata affidata all’associazione dei commercianti del Balon e così il controllo pubblico dell’evento è passato sotto la tutela di un ente di diritto privato. Da allora è compito dell’associazione – i cui membri sono negozianti, rigattieri, ristoratori del borgo – raccogliere le iscrizioni al mercato, affidare gli stalli, ricevere i pagamenti e versare al comune la quota del plateatico. Nel 2014 non esisteva ancora un servizio d’ordine strutturato, ma un gruppo di donne s’occupava dei controlli. Una di loro mi ha descritto il lavoro che svolgevano:

«Noi assegnavamo gli spazi e la mattina eravamo lì a verificare che tutto andasse in maniera regolare. Le prime due, tre settimane sono state di rodaggio, poi la gente ha iniziato a fidarsi e capire che, se il posto era pagato, non era necessario arrivare alle tre di notte: il posto era già lì. Era una cosa molto pacifica, si trattava solo di superare la vecchia abitudine».

Le vecchie abitudini erano disciplinate, le regole informali della strada appartenevano al passato.

Il 2016 è stato un anno di avvicendamenti: sono cambiati la giunta comunale e il direttivo dell’associazione dei commercianti. Una nuova generazione di antiquari, fautori d’una aggressiva politica di rinnovamento, ha assunto il comando del Balon. Secondo il nuovo presidente il mercato deve attrarre turisti e cittadini abbienti, deve presentare merci di qualità, essere affascinante, ordinato e pulito. Ne consegue che cianfrusaglie, poveri e individui impresentabili siano da emarginare, esiliare, così che le esigenze della riqualificazione commerciale siano coerenti con gli investimenti immobiliari nel quartiere. Per queste ragioni il nuovo direttivo dell’associazione ha preteso lo sgombero degli straccivendoli e ha ottenuto l’appoggio della città di Torino.

Mentre l’amministrazione comunale, in collaborazione con la questura, allontanava centinaia di mercanti poveri che calcavano i ciottoli di canale Molassi e l’asfalto di San Pietro in Vincoli, l’associazione epurava gli indesiderati che vendevano nelle vie di sua competenza.

«Il caso più grave – mi ha confidato ancora Bruno – è avvenuto l’estate scorsa, durante un sabato di Balon. Io ero in after e mi sono addormentato con le bottiglie intorno. Dopo trent’anni di presenza, questa sarebbe una prova secondo cui io non posso stare. Un giorno sono andato nell’ufficio dell’associazione e ho chiesto per quale motivo ero estromesso, ho domandato se il quartiere non fosse un luogo pubblico. Il funzionario dell’associazione mi ha risposto: “Questo è uno spazio privato”. Loro dicono che l’associazione ha vinto l’appalto comunale, e dunque l’appalto è privato. È come la storia delle enclosures. Ora, se riesco, faccio il mercato attraverso altre persone. E agli amici che mi ospitano hanno detto che saranno esclusi anche loro se continuano a perorare la mia causa. Posso dire che è un ricatto? Per questo è meglio se mi dai un nome finto nel tuo articolo. Chiamami Bruno»

Sapevo che la riqualificazione e il decoro – scrivo parole della loro lingua – hanno un sedimento di violenza. Eppure m’affascina qui ricostruire i passaggi graduali, gli incrementi concreti d’una forza che s’impone, e tracciarne una storia. Le donne che avevano il compito di controllare le licenze e assegnare gli stalli hanno abbandonato il lavoro nel 2016, in seguito a divergenze con il nuovo direttivo. Portavano un badge al collo, ma i vertici dell’associazione volevano che indossassero delle divise. Inoltre avrebbero dovuto essere accompagnate da uomini abili a dissuadere con la forza eventuali deviazioni dalla norma; loro invece preferivano disciplinare i venditori con il dialogo e non con la minaccia dei muscoli. Così nel giugno del 2016 ha debuttato il servizio d’ordine, corpo di energumeni male in arnese.

Il mercato ha riaperto alla fine della primavera dopo mesi di quarantena e il numero di guardie è aumentato. Ho visto all’ingresso di via Mameli un uomo calvo e imponente – un profilo degno d’una pagina della Marvel – sostare guardingo; su corso Giulio Cesare un bravo brizzolato indossava auricolari; in via Andreis un controllore con le braccia tatuate scrutava la strada; altri uomini in divisa presidiavano gli ingressi lungo il fiume con il vano compito di contare le persone in entrata e in uscita. E un drappello a piedi marciava tra tavolini e rigattieri stringendo walkie talkie d’epoca. Le divise gialle e nere mi sembrano formare un corpo organico in crescita, nutrito da eventi imprevisti ma generato dalle scelte politiche di amministrazioni di vario colore. Raccontano alcuni ristoratori che le guardie si siano recate nei locali e abbiano chiesto un contributo volontario per sostenere l’associazione colpita dalla crisi di questi mesi.

Il direttivo dei commercianti appalta il servizio di sicurezza a Piemontestoria, un’associazione di studiosi dilettanti. Leggo sul loro sito che i principali interessi “sono la storia contemporanea, soprattutto quella dell’Ottocento e del Novecento”. I membri offrono al pubblico servizi di archiviazione e catalogazione, ricerca storica e trascrizione di documenti, supporto editoriale e organizzazione di mostre ed eventi. Piemontestoria, inoltre, collabora con il mercato di Borgo Dora e fornisce un supporto per l’organizzazione d’un carnevale resuscitato, offre guide turistiche per riscoprire il volto antico del quartiere e aiuta “attivamente con la squadra degli stewart [sic]”.

Finalmente sono menzionate anche le guardie private del Balon. L’associazione dei commercianti finanzia Piemontestoria per le consulenze storiche offerte, ma il denaro assicura ogni sabato il salario d’improvvisati controllori in divisa. Passeggio tra i banchi dei robivecchi e mi domando quali siano le qualifiche di Piemontestoria. E secondo quale legittimità possano gestire la sicurezza dello spazio pubblico? Quale diritto hanno di esercitare una forma non codificata di violenza privata che accompagna il procedere della riqualificazione urbana?

Durante l’anno Piemontestoria organizza mostre, esposizioni e conferenze dedicate alle uccisioni delle foibe. Gli eventi sono accolti in diversi comuni della regione e talvolta coinvolgono le scolaresche. Ho trovato di recente una foto che ritrae il presidente di Piemontestoria, nonché capo e addestratore delle guardie al Balon. Egli siede in cattedra durante un dibattito nella sede di Aliud, un circolo di estrema destra a sud della città. Attorno a una manciata di ascoltatori le pareti declamano: “Destra identitaria”, “Il futuro è nelle radici”, “La parola suona e l’esempio tuona!”, “Niemals”. Scendono dall’alto bandiere con i simboli di Dalmazia, Istria e Azione giovani. Deduco che l’associazione dei commercianti ha costituito una piccola squadra di picchiatori, diretti da esponenti legati all’estrema destra torinese. In Borgo Dora la violenza organizzata è funzionale a ridurre e contenere la conflittualità di un quartiere in trasformazione: un fenomeno dall’eco nota.

Lo scorso autunno il quartiere era occupato dalle forze dell’ordine per evitare il ritorno degli straccivendoli. Allora ho notato membri del servizio di sicurezza del Balon dialogare con agenti della polizia in borghese. E uomini in divisa gialla segnalare ai vigili urbani i venditori abusivi, affinché fossero multati o fermati. Mi sembravano segni d’una informale legittimazione: una ferita in una democrazia che forse non c’è. Mi domando anche quanto importanti siano le responsabilità dell’amministrazione cittadina. Nel settembre 2019 i principali quotidiani della città riportavano la notizia di un’inchiesta della procura per presunte irregolarità fiscali dell’associazione dei commercianti. L’ente, infatti, avrebbe violato le regole del bando comunale, aumentando di cinque euro il costo di ogni stallo.

Nonostante queste ombre la città di Torino, nel dicembre del 2019, ha rinnovato di due anni la concessione a favore della medesima associazione. Questo è solo l’ultimo sintomo dell’incondizionato appoggio politico che l’attuale giunta ha assicurato ai gestori del mercato delle pulci. Ho domandato ad Alberto Sacco, assessore al commercio, se fosse a conoscenza di un corpo di sicurezza privato in Borgo Dora. «Onestamente no», ha risposto. Ho descritto le relazioni con l’estrema destra e l’assessore ha ammesso: «È la prima volta che lo sento. Non ho mai ricevuto alcuna segnalazione». Ora l’ha ricevuta.

Ho disegnato una genealogia d’un servizio d’ordine privato. Adesso la mia attenzione non si concentra tanto su una truppa scalcagnata di controllori pagati da una gilda di mercanti, ma sui meccanismi istituzionali, le concessioni, le delibere, i bandi, i patti sottaciuti che creano le condizioni di possibilità per la nascita di un corpo di polizia privata. Questa storia coinvolge le giunte comunali presenti e passate, così come riguarda le istituzioni addette all’ordine pubblico – ecco, il servizio d’ordine del Balon mi appare come la manifestazione concreta d’un processo di disciplinamento del territorio urbano.

Oggi è sabato e il cielo è grigio mentre scrivo, ma intorno a me sento il vociare del mercato, le musiche, i passi spensierati tra vestiti usati. Non so se il tempo che viene porterà un cambiamento, ma mantengo almeno una speranza: che alcuni passeggiatori nel borgo possano intuire nella pace d’un sabato all’aria aperta i segni della violenza e, degli esclusi, sentire i fantasmi.

Fonte: napoli monitor

https://napolimonitor.it/storia-della-violenza-come-e-nato-il-servizio-dordine-che-controlla-il-balon-di-torino/


 

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