L’illegalità dell’annessione israeliana della Cisgiordania e il ruolo dell’Unione europea

Vito Todeschini

Il 1° luglio si avvicina, ma la mossa israeliana non può tuttavia non avere ripercussioni internazionali più ampie

Il primo luglio potrebbe avvenire l’annessione israeliana degli insediamenti in Cisgiordania e della Valle del Giordano. 

Si tratta di uno dei punti chiave del programma del nuovo governo israeliano, frutto dell’accordo raggiunto lo scorso aprile dal Likud di Benjamin Netanyahu e dal partito Blu e Bianco di Benny Gantz. 

L’obiettivo è di accelerare i tempi e sfruttare la presenza di Donald Trump alla Casa Bianca, evitando il rischio che le elezioni statunitensi di novembre privino Israele del suo più compiacente alleato. La mossa israeliana non può tuttavia non avere ripercussioni internazionali più ampie, data l’illegalità di qualsiasi piano annessionistico dei territori palestinesi.

Insediamenti israeliani e annessione di fatto

Sin dal 1967, quando i territori palestinesi (Cisgiordania, Gerusalemme est e Striscia di Gaza) e le alture del Golan (Siria) furono occupati nel corso della Guerra dei Sei Giorni (il Sinai fu in seguito restituito all’Egitto), Israele ha attuato un piano di vera e propria colonizzazione tramite la costruzione di insediamenti e il trasferimento di migliaia di coloni (a oggi più di 600mila). 

Agli insediamenti, di carattere sia residenziale che industriale, si aggiunge un complesso sistema di infrastrutture viarie, idriche e di altro genere, in maggioranza a uso e consumo dei soli coloni israeliani. 

Lungo il corso degli anni tali politiche hanno dato vita a un’annessione di fatto delle aree su cui gli insediamenti sono collocati, alcuni dei quali sono stati incorporati all’interno di Israele attraverso la costruzione del “muro di separazione” con la Cisgiordania.

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La politica degli insediamenti mira a ottenere una serie di obiettivi strategici per Israele, tra cui l’espansione del territorio israeliano oltre la linea verde (il confine di fatto tra Israele e Palestina delineato dall’armistizio del 1949); l’appropriazione delle risorse naturali della Cisgiordania, in particolare l’acqua; e la frammentazione del territorio palestinese, al fine di limitare la libertà di movimento tra i principali centri urbani della Cisgiordania e facilitare il controllo sulla popolazione locale, soprattutto in caso di sollevazioni.

Come affermato dalla Corte internazionale di giustizia, gli insediamenti israeliani sono illegali ai sensi del diritto internazionale in quanto violano la quarta Convenzione di Ginevra, la quale vieta a uno Stato occupante di trasferire parte della propria popolazione all’interno di un territorio occupato. 

La costruzione di insediamenti in Cisgiordania costituisce inoltre un crimine di guerra secondo lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, su cui potrebbe nei prossimi mesi essere aperta un’indagine formale.

Annessione e diritto internazionale

Fino ad ora Israele ha formalmente annesso Gerusalemme est (1967 e 1980) e le alture del Golan (1981), evitando di compiere lo stesso passo rispetto alla Cisgiordania. Tuttavia la ventesima legislatura (2015-2019) ha segnato un cambio di passo alla Knesset (il parlamento israeliano) con l’introduzione e l’approvazione di progetti di legge aventi lo scopo di annettere formalmente gli insediamenti in Cisgiordania.

Un’annessione di qualsiasi porzione della Cisgiordania segnerebbe un’ulteriore violazione grave della legalità internazionale da parte di Israele. 

Gli atti di annessione infrangono uno dei principi basilari del diritto internazionale moderno e della Carta delle Nazioni Unite, ossia il divieto di acquisizione territoriale tramite l’uso della forza. È proprio sulla base di questo principio che l’Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza dell’Onu hanno dichiarato l’illegalità dell’annessione di Gerusalemme est e delle alture del Golan.

Come noto l’attuale amministrazione statunitense supporta appieno le politiche israeliane. Il piano Trump per il Medio oriente afferma testualmente che Israele non è giuridicamente vincolato a restituire il 100% dei territori palestinesi occupati, e prevede che la maggior parte degli insediamenti si incorpori all’interno di Israele. 

A conferma di ciò il Segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato che qualsiasi decisione riguardante future annessioni dei territori occupati spetta esclusivamente a Israele. Si tratta di un’inversione di tendenza nella politica estera statunitense, la quale ha sempre invariabilmente condannato gli insediamenti israeliani in Cisgiordania.

Il ruolo dell’Unione europea

Segnali di contrarietà sono invece pervenuti dall’Europa. L’alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, ha dichiarato che l’Ue considera qualsiasi atto di annessione come una violazione grave del diritto internazionale, confermando la posizione secondo cui gli insediamenti israeliani sono illegali. 

Va però segnalato che tale dichiarazione è stata fatta da Borrell a titolo di Alto rappresentante: l’Ue non ha infatti adottato una posizione comune sulla questione a causa dell’opposizione di alcuni stati membri, inclusi Italia e Ungheria, in seguito a un’attività di lobbying da parte israeliana. La Reuters ha raccontato di un confronto aspro tra gli stati membri dell’Ue in merito al dossier israelo-palestinese e di come l’unanimità di voto, necessaria all’adozione di una posizione e di una risposta comuni, non sia all’orizzonte. 

Singoli stati, come Francia e Irlanda (cui si aggiungono Lussemburgo, Belgio, Portogallo, Slovenia, Svezia, Malta e Finlandia), sono invece stati più espliciti nel richiedere a Israele di non procedere oltre con l’annessione.

La mancanza di unanimità nel condannare i piani annessionistici di Israele rischia di compromettere una risposta forte ed efficace da parte dell’Ue nel caso in cui il governo di Tel Aviv decida di passare dalle parole ai fatti. 

Come principale partner commerciale di Israele, l’Ue ha la capacità di esercitare le necessarie pressioni per costringere il governo Netanyahu-Gantz a rinunciare ai propri intenti. Un’annessione israeliana della Cisgiordania si configurerebbe come una situazione del tutto equiparabile all’annessione della Crimea da parte della Russia. 

In quest’ultimo caso l’Ue ha non solo unanimemente dichiarato l’illegalità dell’azione russa ma ha anche adottato sanzioni mirate di carattere economico e diplomatico per spingere il Cremlino a tornare sui propri passi. Potrebbe Israele rinunciare ai vantaggi economici che la partnership europea gli garantisce? Difficile crederlo.

L’Ue deve essere pronta a reagire in modo adeguato alla possibile annessione israeliana di parti della Cisgiordania. 

Misure da adottarsi nell’immediato includono la sospensione dell’accordo di libero scambio fra Ue e Israele, l’esclusione dai fondi di ricerca europei (Horizon 2020), la sospensione dei visti e delle relazioni diplomatiche, nonché l’adozione di sanzioni mirate (congelamento dei beni all’estero e divieto di ingresso nell’Ue) nei confronti di membri del governo israeliano. Una risposta tardiva, incerta o inefficace minerebbe la credibilità dell’Ue sulla scena mediorientale e internazionale. Essa ha inoltre l’obbligo, derivante dal suo trattato fondativo, di promuovere la “rigorosa  osservanza  …  del  diritto  internazionale,  in  particolare  [il]  rispetto  dei  principi  della  Carta  delle  Nazioni  Unite”. 

La questione è se l’Ue sia disposta a venir meno a uno dei suoi principi fondanti, e se sia pronta ad affrontare le ripercussioni diplomatiche e politiche conseguenti a un suo fallimento nel reagire ai piani annessionistici di Israele.


Fonte: Q Code Magazine, 25 giugno 2020


 

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