Un report ambientale sui Territori Palestinesi Occupati

Elena Camino

Degrado ambientale e sofferenza umana: un report ambientale sui Territori Palestinesi Occupati

Una relazione ambientale passata sotto silenzio

Il 13 Maggio 2020 è stata pubblicata una relazione sulla situazione ambientale nei Territori Palestinesi Occupati realizzata dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). L’UNEP è un’organizzazione internazionale che opera dal 1972 a favore della tutela dell’ambiente e dell’uso sostenibile delle risorse naturali.

Questa relazione fornisce una visione d’insieme delle condizioni ambientali nel territorio palestinese occupato.  Riprendendo indagini e analisi già svolte in anni passati, viene presentata un’analisi delle condizioni attuali su ambiti che riguardano biodiversità, acqua, degrado del suolo, riduzione delle risorse naturali, gestione dei rifiuti; sono individuati i problemi attuali ed è fornito un insieme di dati utili per indirizzare scelte politiche basate sull’evidenza.

Photo By Nasser Nawaj’ah, B’Tselem – CC BY 4.0

Questa relazione non ha ricevuto la consueta attenzione che i media riservano ai documenti dell’UNEP, ed è passata quasi inosservata. È stata ripresa e divulgata sul web da un’Associazione, il Conflict and Environment Observatory (CEOBS).

Mappa dei Territori Palestinesi Occupati (Modificato da OCHA 2019)

Attenzione ai danni ambientali causati dalle attività militari

Il CEOBS ha iniziato le sue attività nel 2018, con l’obiettivo principale di aumentare conoscenza e consapevolezza sulle conseguenze che le attività militari e i conflitti armati provocano all’ambiente, e di conseguenza alle popolazioni umane che vi abitano.  Cerca cioè di mettere in discussione l’idea che l’ambente non sia altro che un testimone silenzioso e inerte dei conflitti armati. 

Il CEOBS prende le mosse da una precedente Associazione – The Toxic Remnants of War Project – che per sei anni aveva svolto ricerche e lavoro di consulenza e orientamento: il Progetto intendeva individuare nuove opportunità per raccogliere dati sui danni ambientali e sulle sofferenze umane da essi causati, e per utilizzare tali dati per stimolare iniziative di protezione ambientale. Il CEOBS intende proseguire su questo filone, aggiungendo alla documentazione dei danni ambientali anche delle indicazioni sui rischi che i danni ambientali possono innescare o peggiorare, creando – se non intervengono azioni di recupero e di bonifica – situazioni di crescente insicurezza.  

Il fine principale di CEOBS è di assicurare che le conseguenze ambientali dei conflitti armati e delle attività militari siano adeguatamente documentate e divulgate, e di sollecitare interventi di assistenza e sostegno alle popolazioni coinvolte da parte dei responsabili e delle istituzioni.

La relazione dell’UNEP sui Territori Occupati: ritardi e disattenzione

Il Direttore del CEOBS, Doug Weir, l’8 giugno pubblica un articolo con un commento e una riflessione sulla relazione dell’UNEP, che a suo parere presenta un quadro desolante della salute pubblica e della sostenibilità ecologica della Cisgiordania e di Gaza.

L’UNEP ha già eseguito in passato (2003, 2005, 2009) delle valutazioni delle condizioni ambientali dei Territori Palestinesi Occupati (Occupied Palestinian Territories – Opt) documentando il degrado ambientale connesso all’occupazione e ai ricorrenti periodi di ostilità. Tuttavia, nonostante le raccomandazioni espresse, non c’erano stati segni significativi di miglioramento: anzi, in molti casi il degrado e le sue cause si sono intensificati.

L’ultimo rapporto ha origine nel 2016, quando una risoluzione che chiedeva una valutazione è stata presentata dal Marocco e dal gruppo arabo alla seconda Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente, ma è stata contestata da Israele. Il rapporto pubblicato adesso – quattro anni dopo – rappresenta un compromesso tra le parti coinvolte; il ritardo è in parte dovuto a prolungati negoziati con Israele per ottenere l’accesso ai luoghi da esaminare. La pubblicazione, anche se molto ricca e dettagliata, ha ricevuto scarsa attenzione dai media. Il documento, un testo di 186 pagine intitolato State of Environment and Outlook Report for the occupied Palestinian territory 2020 è disponibile sul sito dell’UNEP.

Nelle pagine che seguono il Direttore di CEOBS fornisce alcuni dati sintetici sulla situazione, accompagnandoli con questa nota: «I dati dipingono una situazione inquietante di degrado ambientale, e delle sue conseguenze sulla salute e le condizioni di vita del popolo Palestinese. […] Se voi o la vostra organizzazione siete in grado di farlo, vi incoraggiamo a condividere il rapporto o il blog tramite le vostre reti. Collettivamente potremmo non avere la portata o l’influenza di un programma delle Nazioni Unite, ma forse siamo più liberi di parlare».

Acqua e clima

Israele e Palestina si trovano in una regione con grave stress idrico, che sta già subendo gli effetti del cambiamento climatico. Si prevede un aumento delle temperature tra 1,2°C–2,6°C entro il 2050, e una riduzione di 8–10 mm delle piogge entro la fine del secolo.

Le mappe mostrano la disponibilità acqua sotterranea osservata dal NASA Gravity Recovery and Climate Experiment. Dal 2006 si registra una netta riduzione in Medio Oriente (NASA, 2018).

La situazione è esacerbata da vari fattori: incremento della popolazione, scadente gestione delle risorse idriche, inquinamento, barriere al trasferimento tecnologico; a ciò si aggiunge il peso di un’ingiusta ‘temporanea’ suddivisione, che risale agli Accordi di Oslo. Sta aumentando la contaminazione dell’acquifero da cui dipende Gaza, sia per l’inquinamento che per l’infiltrazione di acqua marina. Solo il 4% è potabile. In Cisgiordania metà dei pozzi posseduti dai Palestinesi è asciutto. I sistemi di raccolta dell’acqua e gli impianti di riciclaggio delle acque reflue sono sotto-utilizzati. I corsi d’acqua e le falde sono inquinati dai rifiuti che provengono da città e villaggi palestinesi e da insediamenti israeliani.

Inquinamento e rifiuti solidi

La relazione dell’UNEP segnala che la gestione dei rifiuti solidi è inadeguata: ogni giorno circa 800 tonnellate finiscono in discariche non controllate. Gaza deve anche gestire lo smaltimento dei detriti prodotti nei periodi di conflitto.  Sono fonti di inquinamento, e minacce alla salute pubblica e dell’ambiente, le acque di scarico non trattate, le polveri e i liquami delle cave di pietra e dell’industria della pietra e del marmo, i pesticidi e fertilizzanti chimici utilizzati in eccesso.

Suolo, aria e acqua sono anche contaminati da rifiuti dell’industria elettronica, in particolare dagli scarti prodotti nei centri di recupero israeliani situati nei villaggi palestinesi: si tratta di 60.000 tonnellate di materiale ogni anno, che forniscono opportunità di lavoro ma nello stesso tempo causano problemi sanitari su entrambi i lati della Green Line.

Biodiversità e uso del suolo

Anche se di piccole dimensioni, i Territori Occupati presentano una varietà di ecosistemi, e la costa di Gaza, lunga 42 km, è tra le più produttive del Mediterraneo.  Ma il mare è minacciato da inquinamento, e da eccesso di pesca a causa dei pescherecci industriali che praticano la pesca a strascico oltre i limiti imposti da Israele.   Anche gli ecosistemi terrestri sono sotto pressione: frammentazione dell’habitat, desertificazione, crescente urbanizzazione, erosione del suolo per l’eccesso di pascolo… anche le misure di sicurezza messe in atto, con la costruzione di una barriera e l’impiego di personale senza competenza specifica ed esperienza, hanno danneggiato la biodiversità e i servizi eco-sistemici.

La gestione ambientale

I conflitti e le occupazioni, anche di lunga durata, portano sempre problemi e incomprensioni nei processi decisionali e nella gestione ambientale.  La relazione dell’UNEP segnala tre aspetti problematici:

  1. La cooperazione tra le istituzioni palestinesi e israeliane è inefficace;
  2. La diversità tra le leggi e le norme dei due soggetti istituzionali rende complicata e difficile l’azione;
  3. Le istituzioni Palestinesi sono tra loro in contrasto rispetto alle risorse e alle capacità, anche per la mancanza di dati attendibili.

In quanto potenza occupante, Israele è tenuta a proteggere le popolazioni che vivono nei Territori, facendosi carico dei problemi sanitari e sociali che derivano dal degrado ambientale: degrado che non rispetta i confini, e minaccia anche gli abitanti di Israele. Questo aspetto è stato sottolineato nella relazione dell’UNEP, che attribuisce a Israele la responsabilità di conseguire o meno i traguardi ambientali fissati dall’Agenda 2030.

L’importanza delle misure ambientali

In un documento introduttivo alla relazione la Direttrice esecutiva dell’UNEP, Inger Anderson, sottolinea che è necessario avviare iniziative concrete di gestione ambientale nei Territori Occupati, per proteggere le popolazioni e l’ambiente. Le azioni più urgenti riguardano la gestione dei rifiuti elettronici, il recupero e riciclo dell’acqua, gli investimenti per il ripristino della fertilità del suolo e per la valorizzazione delle risorse naturali per l’autoconsumo.

Doug Weir conclude il suo intervento sul blog mettendo in guardia contro i rischi dell’inazione, che porterebbero a un ulteriore peggioramento della situazione: «ma con la politica tossica dell’occupazione ci sarà di sicuro la tentazione di considerare ogni iniziativa come troppo difficile politicamente, troppo complessa, che richiede troppo tempo. Ma se non si affrontano questi problemi i Palestinesi saranno derubati dei loro diritti ambientali, e perderanno qualunque possibilità di sviluppo sostenibile. Non solo: come è successo con l’inquinamento dell’aria e il degrado delle coste, queste minacce ambientali finiranno per coinvolgere anche Israele».


1 commento

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  1. […] Observatory (CEOBS) – Osservatorio su Conflitto e Ambiente –  ho già fatto cenno in un recente articolo  a proposito del degrado ambientale nei territori […]

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