«Non rivendicare vittorie facili»: riesaminando la ribellione nera | James Pope

Siamo sull’orlo di un cambiamento radicale, ma questo sistema violento non può prescindere da una lotta. Questo momento determinerà dove andremo da qui in poi.

A Black Lives Matter protestor in Portland. June 4, 2020. Photo: Matthew Roth / Flickr

Gli inizi effettivi della nostra espressione sono post-occidentali (così come sono certamente pre-occidentali). È semplicemente necessario armarsi di una completa conoscenza di sé [;] l’intera tecnologia (che in fondo è solo l’espressione di chiunque) cambierà per riflettere l’essenza di un popolo liberato. Liberato da un oppressore, ma non solo; come ha ricordato [Askia] Touré, dobbiamo anche essere “liberi dallo spirito dell’oppressore”. E questo spirito, in quanto costrutto emotivo, può manifestarsi come espressione di arte o tecnologia o in qualsiasi forma.

Amiri Baraka, “Technology & Ethos” (1971)

Stiamo assistendo a un momento storico che tende verso un’epoca senza precedenti, ma la violenza mostrata dalla polizia militarizzata non è certo priva di genealogia storica o di tradizione filosofica. La gente di tutto il mondo è impegnata in questo momento nella ribellione pubblica e nelle proteste come risposta diretta e in solidarietà con le comunità di origine africana degli Stati Uniti. Ma il lavoro – il lavoro spirituale, intellettuale e fisico, non è ancora realmente iniziato.

A questo proposito, le posizioni del postmodernismo distorcono la capacità di comprendere e mappare tale genealogia storica, in quanto la sua tradizione filosofica è radicata in un liberalismo occidentale che immagina l’individuo come ultima unità di misura. Come visione del mondo, il postmodernismo suggerisce approssimativamente che nelle condizioni in cui si trova, l’individuo sarà sempre alla ricerca di un’identità.

Tuttavia, questa identità è radicata in un’etica individualista che cerca di capire il mondo. Insomma, e non per accanirsi su questo punto, le posizioni postmoderniste frammentano il tempo, separando i fenomeni da traiettorie più lunghe a cui esso è legato quando l’individuo si scopre come prodotto della propria visione del mondo. E le visioni del mondo sono guidate da una costellazione di valori, idee e concetti che si prestano come filtri alla comprensione di questo mondo.

Pertanto, se questi valori, idee e concetti sono mobilitati nella continuità di ciò che Achille Mbembe evidenzia come i processi di fabbricazione dei soggetti razziali, allora la nostra capacità di formare risposte collettive ai problemi globali è distorta.

Stando così le cose, coloro che cercano di contrastare questa attuale iterazione della ribellione nera promuovono diverse distorsioni attraverso i media, cioè puntano l’attenzione al saccheggio delle piazze invece che alle reali richieste dei manifestanti. E queste forze di contrasto, di fronte ad un maggiore uso di violenza da parte della polizia, cercano di limitare la rabbia di chi giustamente si indigna suggerendo che la gente stia rispondendo semplicemente ad un caso isolato di uso della forza da parte della polizia. Questo pensiero individualizza il momento di ribellione.

Più chiaramente, pensano che la gente si stia ribellando per il video di George Floyd. Che la gente sia semplicemente frustrata. Che la gente risponda a una mela marcia, per così dire. E pensano che la gente debba protestare solo pacificamente.

Questi “loro” che pensano, però, sono quelli che si trovano in posizioni di potere, dove il pensiero e l’azione sono costruiti su logiche capitalistiche razziali che mantengono e inoltre rafforzano i sistemi di disumanizzazione. C’è una realtà di fondo qui, però; non lo pensano veramente. “Loro” vogliono che tu pensi questo.

Il mondo africano non è semplicemente frustrato, non sono “piccoli bimbi” che hanno tutte le opportunità del mondo, eppure ingrati. Questo, nonostante vivano in stati nazionali che sono progettati contro il loro stesso essere. Gli africani non si limitano a rispondere ad un unico caso di violenza. In realtà, la gente sta istintivamente rispondendo alle realtà strutturali e storiche della violenza che in questo momento si è articolata in morti sproporzionate per l’attuale pandemia COVID-19, per la disoccupazione di massa, per le minacce da parte di fascisti che appoggiano funzionari politici e gruppi apertamente razzisti che fanno a gara con i mercanti di schiavi e le mafie da linciaggio stile Jim Crow; il tutto mentre uomini e donne discendenti dall’Africa sono ancora assassinati dalla violenza di una polizia altamente militarizzata, con il consenso dello Stato – davanti alle telecamere, in tutto il mondo.

Non dimentichiamo che le donne indigene continuano a scomparire, troppo spesso trovate assassinate e violentate.

In questo momento storico, in cui la modernità europea si sta fratturando di fronte ad ogni pensiero critico africano e ogni persona di discendenza africana, è essenziale afferrare a livello globale questa frattura e tirare con tutte le forze.

Ancora più importante, è essenziale ottenere una chiarezza di obiettivi e costruire significati limpidi.

George Jackson ha scritto: «Ci troviamo oggi costretti a riesaminare l’intera natura della coscienza rivoluzionaria nera e la sua posizione all’interno di una società di classe…”.

In questo momento, infatti, è fondamentale il riesame di tutta la natura del pensiero radicale e rivoluzionario nero. In effetti, le risposte che si troveranno sono radicate in un’idea di umanità ampliata. Sono critiche alle ristrette nozioni di giustizia. Risposte che si trovano al centro di una vera e propria prassi su cui la modernità europea sostiene di essersi costruita. È anche qui che si pone il problema della coscienza radicale e rivoluzionaria nera, che espone anche le contraddizioni di questi fondamenti, permettendo così a coloro che sono legati a questi principi di esporre tutte le proprie contraddizioni.

Non tutto è perduto; l’educazione politica diventa allora la richiesta del giorno.

A questo proposito Fred Hampton fornisce un’analisi strutturata e puntuale del ruolo dell’educazione politica in questo riesame. Egli sostiene l’importanza dell’educazione politica rivoluzionaria.

L’educazione – più chiaramente, un’educazione politica – deve essere evidente. Si noti che essere “educati” significa saper leggere. L’importanza rivoluzionaria della lettura è fondamentale. La lettura secondo Paulo Freire: «non si esaurisce semplicemente decodificando la parola scritta o il linguaggio scritto, ma piuttosto anticipa e si estende alla conoscenza del mondo. La lettura del mondo precede la lettura della parola, e la successiva lettura della parola non può fare a meno di leggere continuamente il mondo. Il linguaggio e la realtà sono dinamicamente intrecciati. La comprensione raggiunta dalla lettura critica di un testo implica la percezione del rapporto tra testo e contesto».

Pertanto, il nostro discorso ribelle e libero deve essere radicato in una coscienza critica dei diritti umani, in particolare una coscienza critica africana dei diritti umani (CAHRC).

È qui, la piattaforma che guida la domanda: cosa si può costruire dopo? Da questo CAHRC, dobbiamo impegnarci allora in cinque attività:

  1. Cercare di istituzionalizzare questo momento, interrogandoci e costruendo sui modelli e sull’eredità del Consiglio per gli Affari Africani; Organizzazione dell’Unità Afroamericana; una tradizione radicale nera che fa tendenza in TransAfrica; iniettare le nostre energie nella visione articolata da Vincent Harding nell’Istituto del Mondo Nero;
  2. Sviluppare la raffinatezza ideologica per una maggiore chiarezza verso l’obiettivo;
  3. Collegare tutti gli sforzi organizzativi con i collegamenti internazionali – essendo gli obiettivi organizzativi panafricani;
  4. Consolidare progetti scritti e non scritti di critica nera in una sostenuta contronarrazione, che fornisca una risposta strutturata all’ingiustizia e all’autocritica; e
  5. Tutto ciò deve essere costantemente radicato in una coscienza critica africana dei diritti umani, che è, di fatto, una critica e un’espansione della teoria e della pratica dei diritti umani, come attualmente organizzata nell’industria dei diritti umani.
  6. Man mano che iniziamo a passare alle fasi successive della ribellione, ci deve essere movimento, secondo le parole di Kwame Ture, da una risposta inconscia a una risposta cosciente e organizzata.

Soprattutto, ci sono due strategie necessarie offerte da Amilcar Cabral per implementare: 1) coloro che sono impegnati nella lotta, devono praticare con fermezza la nozione di suicidio di classe; e 2) soprattutto, quello che è combattuto e già guadagnato; “Ogni membro responsabile di un movimento deve avere il coraggio delle sue responsabilità, esigendo dagli altri un adeguato rispetto per il proprio lavoro e rispettando allo stesso modo il lavoro degli altri. Non nascondere nulla alle masse del nostro popolo. Non dire bugie. Esporre le menzogne ogni volta che vengono dette. Non mascherare difficoltà, errori, fallimenti. Non reclamare vittorie facili”.

È in questa genealogia storica che camminano i popoli africani. È in questa tradizione ancestrale che vivono. George Jackson fornisce più chiarezza: «Dobbiamo dimostrare con l’azione le nostre previsioni sul futuro». E aggiungerò, in tutta l’opportunità della critica nera, perché il futuro della nostra umanità si basa su questo.

james pope

james pope è attualmente professore associato e coordinatore del programma Africana Studies presso la Winston Salem State University (North Carolina, USA). Esplora il pensiero radicale Africano e la resistenza culturale in relazione all’interazione tra diritti umani, movimenti sociali, razza / razzismo e formazione della coscienza critica.


Fonte: ROAR Magazine, 11 giugno 2020

Traduzione di Andrea Zenoni per il Centro Studi Sereno Regis


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